Giancarlo Dotto (Rabdoman) per Dagospia
ATTO PRIMO. VINCITORI
Scena prima. I memorabili
L’eterno ritorno del mondo preso a calci. Si comincia con il pallone d’oro a Cristiano Ronaldo il Glamourous e si finirà con Leo Messi l’Autistico. Suo, della Pulce, anche il gol che stende. Quello contro il Bayern al Camp Nou. Due piccioni con una favola, l’enorme Boateng che crolla a terra preso da vertigine parossistica e il montatissimo Neuer trasformato in un pupazzo di panna dal pallonetto di Messi.
Ma io, prima ancora, ci metto la trama siderale di Florenzinho. Quando il gol è acido lisergico. C’è sempre il Barcellona di mezzo. La squadra del capolavoro seriale. L’”incredibile” picciniano, un canone della sua telecronaca esclamativa, questa volta gli resta strozzato in gola. Muore nel suoi dirsi, come un’ernia fuoriuscita tra la terza e la quarta sillaba.
L’”incredibile” più credibile di sempre tra le migliaia declamate negli anni. Ter Stegen, il portiere del Barca. Si ritrae come spaventato. La reazione di Florenzi. Lui, l’autore del capolavoro, firmato con il suo destro da sniper e mirino elettronico incorporato, che fa? Si acceca come Edipo. Si copre la vista. Il suo capolavoro lo eccede, lo trascende.
Non bastano gli abbracci dei compagni, gli oooh dei tifosi e degli avversari, i titoli di tutto il mondo per convincerlo che trattasi di farina del suo calcio. Prima ancora di essergli fuggita di piede, la “cosa” gli è fuggita di testa. Il tabellino certifica che il gol è suo, ma la firma di chi è?
Sempre in tema Roma, a fare il giro del mondo è il selfie di Francesco Totti in pieno derby, due gol in acrobazia. Immortalare se stesso prima che se ne occupino gli altri. Il paparazzo di se stesso. Per restare nel cortile nostrano, è sempre Juventus.
Perde i pezzi pregiati, Pirlo, Tevez, Vidal, ne trova altri, ma la sua colonna erculea oltre che sonora è sempre la stessa, la “Babobuchi”, i quattro schierati dietro, in rigoroso ordine alfabetico, Barzagli, Bonucci, Buffon, Chiellini. Cambiano gli allenatori, ma loro restano. Insostituibili. Non spremetevi troppo a catturare la formula segreta dei successi Juventus.
Pepi Guardiola, lui sì. Miglior allenatore di qualunque mondo. Così sarà per i prossimi dieci anni. Il suo Bayern non trapianta nulla o quasi del Barca, ma canta, eccome, il suo calcio. Geometrico, accerchiante, profondo. Inesorabile. Il miracolo mostrabile a Barcellona non è più Messi, ma i due che gli girano attorno, Neymar jr e Luis Suarez. Adoranti e complici, mai rivali.
Scena seconda. Gli stupefacenti
Di sicuro Claudio Ranieri, imperatore a Leicester. Non cercatelo sulla carta geografica. Né chiedetelo a lui dove si trovi. O come e perché. Se è vero che ci scorre un fiume o se sia la terra natia dell’elephant man. Non lo sa nemmeno lui. Leicester è un luogo di fantasia più o meno piantato nella campagna al centro della Gran Bretagna.
Sor Claudio, proprio lui, quello del “Sapete che nuova c’è? Scordatevi il bel gioco”, quando arrivò a Trigoria, domina la Premier e molla il calcio in culo definitivo a Mourinho, quello che lo liquidò come vecchio, perdente e ignorante.
Ci metto Maurizio Sarri. Da Empoli a Napoli è come passare dai sandali da francescano alle babbucce di Briatore. Lui sa come farsi amare. Gonzalo Higuain lo ama e se lo palpeggia appena può. Uscito a pezzi e alquanto ciccio dall’era Benitez, diversi chili in più da depressione incombente, l’argentino ha ritrovato tutto il suo oro. Citazioni per Sinisa Mihajlovic, l’unico allenatore al Milan degli ultimi trent’anni, insieme a Leonardo e a Seedorf, capace di non fare da stuoino di Berlusconi e per Roberto Mancini che ha fatto di Tohir il suo stuoino.
DE LAURENTIIS HIGUAIN SARRI TAVECCHIO
Scena terza. I rampanti
Di sicuro Paulo Sousa a Firenze. Arriva da Basilea, come dire il quasi nulla calcistico, e trova una città che non sa darsi pace. Due lutti insieme da smaltire, Montella e Salah. Gli basta un mese per cancellare l’uno e l’altro. Mai visti i Della Valle così euforici. Voce da ventriloquo e idee chiare. Gli riesce tutto o quasi, tranne il recupero di Giuseppe Rossi. Ma quelli sono miracoli.
Marco Verratti sempre più idolo a Parigi e Lorenzo Insigne sempre più profeta a casa sua. Neuer non è più solo. Giovani portieri crescono. David De Gea tiene in vita Van Gaal a Manchester, Thibaut Courtois, infortunato, non ce l’ha fatta a salvare Mourinho. Allison Ramses Becker di Porto Alegre, 23 anni per un metro e 93, si è preso il Brasile e ora si prenderà la Roma.
ATTO SECONDO. VINTI
Scena prima. I fatti, rifatti & strafatti.
Più che mai il primo della lista quando si tratta di strafare e rifare. Diego Armando Maradona a 56 anni si rifà viso e labbra. Ora sembra un mix tra Bombolo e una Bambola gonfiabile. Lacrime paradossali. Quando esultare fa male, se il contesto è l’Olimpico, lo stadio più horror del mondo.
Federico Marchetti, portiere della Lazio, si strappa per festeggiare il gol di un compagno. La vendetta del nonsense. Roma la citta in cui il calcio è morto, è anche la città in cui più si parla di calcio. Le lacrime di Gianluca Cariolato, portato via in barella, durante Napoli-Roma. Unico evento rimarchevole di una partita inutile. S’infortuna di brutto zompettando con una bandierina in mano. Piange per il dolore, ma anche perché sa della sua figura di merda planetaria.
Piange pure Yassine Yarrouche, arbitro della serie A tunisina. Lo insultano, insinuano cose sulla madre, la moglie e tutta la famiglia. Lui scoppia in lacrime, inutilmente consolato dai giocatori. C’era una volta Silvio Berlusconi presidente del Milan. E c’era Adriano Galliani, oggi amministratore scellerato dello stesso Milan. Statue di un passato che non torna. L’agonia rossonera costa centinaia di milioni e non diverte.
Scena seconda. I cacciati e gli sputtanati.
Sensazionale a Londra. Flop del Chelsea. Il calcio in culo a Josè Mourinho è epocale. Non ci si crede. ha il sapore forte e peccaminoso della lesa maestà. Tre nomi importanti tra coloro che sono sospesi, Louis Van Gaal a Manchester ha ormai dalla sua solo il suo proverbiale sguardo assassino, Rafa Benitez a Madrid nemmeno quello. Prima ancora Milano, Londra, Napoli.
La gogna del rubicondo mister è un itinerario turistico: tocca tutte le capitali d’Europa. In bilico Rudi Garcia a Roma, dove chiunque è in bilico. Sconta le cattive lune dei suoi giocatori, dei suoi dirigenti e di se stesso, ma sconta soprattutto la fregola sanguinaria di una piazza smaniosa di allinearsi al titolo incorporato nel destino del mister, dal giorno del suo arrivo a Roma: “Voglio la testa di Garcia”.
Ci voleva questo fantomatico comitato etico. Otto anni di squalifica a Joseph Blatter e a Michel Platinì, sloggiati dalla Fifa e accusati d’essersi inventati in Qatar il più improbali dei mondiali, premiandosi per questo con un generoso bonifico.
Scena terza. I violentati e i vituperati.
“Conte per me è come un figlio”. Carlo Tavecchio ha con la parola lo stesso rapporto che ha uno zombie con la domenica di Pasqua. Disastro garantito. Non sa che i figli vogliono la morte del padre e, spesso, viceversa. “Morto un papa, se ne fa un altro”. Oggi non c’è bisogno nemmeno che muoia.
Ma il tribolo di uno come Tavecchio non è in quello che dice, ma nella tortura di non poterlo dire. Per assecondare la sua malsana ambizione, l’omino è condannato ogni volta a rimangiarsi le sue uscite contro froci, ebrei e negri. O a biasimare pubblicamente ciò che in privato condivide, come l’uscita di Felice Belloli, presidente della Lega nazionale dilettanti, a proposito delle “quattro lesbiche “ del calcio femminile.
Sul podio dell’anno anche Vladimir Putin che assegna il suo personale Nobel per la pace a Joseph Blatter, descritto come “un uomo ammirevole che ha dato un grande contributo alla sfera umanitaria”. Irresistibile.
Non male nemmeno il “Per lo scudetto ci siamo anche noi” di Sinisa Mihajlovic. Altro meritato riconoscimento per Mario Balotelli: il calciatore più insultato del pianeta sul web. Non c’è di mezzo il pallone ma si tratta comunque di calcio e pedate, il caso di Valentino Rossi. Un esterno sinistro preciso sulla tibia di Marc Marquez.
Citazione per gli ultras del Boca Juniors e quelli della Roma. I primi spruzzano una spray urticante sugli occhi dei giocatori rivali del River Plate. Lesioni alla cornea per quattro di loro. I secondi convocano i giocatori sotto la Sud, dopo la disfatta con la Fiorentina, e li tappezzano di sputi da cima a fondo. Anche questo è amore.