PRESIDENTI NEL PALLONE - VIPERETTA SHOW A “TIKI TAKA” (VIDEO): “PREZIOSI? GLI AVEVO DETTO CHE AVREBBE PERSO IL DERBY ALL’85ESIMO E AVREBBE DOVUTO CHIAMARE L’AMBULANZA” - “L’UDINESE? UN FUOCO DI PAGLIA” (VIDEO)
1. VIDEO - MASSIMO FERRERO A “TIKI TAKA”
2. PRESIDENTI NEL PALLONE - “VIPERETTA” SHOW
Francesco Persili per Dagopsia
«A Preziosi glielo avevo detto che avrebbe perso il derby all’85esimo e avrebbe dovuto chiamare l’ambulanza. Gasperini accetti la sconfitta. Tanto perderà anche il derby di ritorno». Un fuoco d’artificio continuo, uno spettacolo d’arte varia e avariata, Massimo Ferrero a Tiki Taka è avanspettacolo puro. Scherza, motteggia, punge, dissacra. Anche l’imitazione di Crozza non regge il confronto: meglio l’originale. «L’Udinese al terzo posto? Un fuoco di paglia».
Cassano? «Magari potesse tornare alla Samp. Se la testa l’aiutasse un po’ di più sarebbe uno dei migliori». Sulle orme di Costantino Rozzi al “Processo del Lunedì”, Viperetta davanti alle telecamere non perde spontaneità. Si aggiusta il ciuffo argentato, e parte: «Sono un uomo istintivo, appassionato, vivo di momenti».
Un istrione, come nella canzone di Charles Aznavour, a cui la scena dà la giusta dimensione. Per il calcio dei tempi di «Checco e Nina» e «del gol de Turone» non serba alcuna nostalgia ché «solo i vecchi ricordano». Meglio godersi l’Attimo fuggente doriano. Il suo «allenatore-poeta» Sinisa Mihajlovic che cita JFK, Churchill e Che Guevara, l’aria dell’alta classifica, i servizi che rimandano la sua coreografia col fazzolettone blucerchiato, gli abbracci con Ricky Tognazzi e le corse sotto la gradinata per festeggiare la vittoria nel derby. Viperetta non è stato il primo presidente a lasciarsi andare.
Si ricorda un Ciarrapico che piomba in pigiama all’Olimpico direttamente dall’ospedale dopo una vittoria della Roma in Coppa Italia sul Milan. E Vittorio Cecchi Gori in piedi sulla balaustra ad ogni gol di Batistuta. E prima ancora Romeo Anconetani che per festeggiare il ritorno in serie A sale sulla torre di Pisa, 254 gradini, e oplà, ci mette sopra la bandiera nerazzurra, e la ribattezza la Torre Vincente.
Esultanze pazze che resuscitano l’anima più autentica del calcio. Quello vissuto di pancia e di cuore nelle piazze calde, quello delle storie che mandano in tilt le emozioni. Sceneggiature perfette per un film. Come sa bene il patron della Sampdoria che prima o poi farà un kolossal sul calcio ma per ora si contenta di aggiungere un nuovo capitolo all’epica dei presidenti nel pallone. Vulcanici, appassionati, teatrali. Tutto tranne che «ricchi scemi».
E subito il pensiero torna alle intuizioni da fantasista di Lucianone Gaucci che porta il Perugia dalla serie C alla Coppa Uefa collezionando iraniani, coreani, cinesi, e un libico (il figlio del Colonnello Gheddafi) tra ritiri punitivi, esoneri e liti con presidenti delle squadre avversarie. A Vincenzo Matarrese, numero uno del Bari, dà del mascalzone brandendo un ombrello. E l’altro, di rimando: «Gaucci, siamo di serie A». Un tormentone che diventa virale, come il video, cliccatissimo su YouTube.
L’insostenibile leggerezza del football. Rivalità, scazzi, e poi amici come prima. Un calcio selvaggio e sentimentale - per usare categorie care al cuore blanco dello scrittore spagnolo, Javier Marias, tifosissimo del Real Madrid - imprevedibile, eccessivo. Storia di ogni maledetta domenica di quei favolosi anni Ottanta.
Dell’«amalgama» che il presidente del Catania Massimino avrebbe voluto acquistare si è fin troppo favoleggiato così come del sale che Anconetani sparge con finalità scaramantiche sul prato dell’Arena Garibaldi di Pisa, anche se l’uomo-simbolo di quel periodo resta Costantino Rozzi, il Presidentissimo dell’Ascoli.
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Calzini rossi e cappotto di cammello, come porta-fortuna, per salvare l’Ascoli era disposto a scendere a patti con maghe e fattucchiere. Il giorno della partita parcheggia la macchina sempre nello stesso posto, con due ruote sul marciapiede. Una fama di mangia-allenatori degna di Zamparini e un legame che va al di là del campo con Mazzone. Un giorno al suo Carletto, in odore di dimissioni, manda a dire: «Se decide di andarsene, non gli sparo mica, lo faccio rapire». Folclore, ma non solo.
Calcio dal volto umano. Lo stesso che oggi porta in scena Ferrero che «vola basso e schiva il sasso» per godersi con passione e leggerezza il potente spettacolo del football. Come faceva Paolo Mantovani, l’artefice della vera SampGloria. Quella sì, una storia da film.