IL SAMBA TRISTE DEL BRASILE - DUE ANNI DOPO IL FLOP DEL MONDIALE IN CASA, LA SQUADRA DI DUNGA ELIMINATA DALLA COPPA AMERICA - LA “SELEÇÃO” E’ UN’ACCOZZAGLIA DI PIPPONI CON QUALCHE ILLUSIONE DESTINATA A RESTARE TALE (GABRIEL E LUCAS LIMA) - L'ASSENTE NEYMAR: “ORA CI PIOVERA’ MERDA ADDOSSO, ANDIAMO A VINCERE I GIOCHI”
Enrico Sisti per “la Repubblica”
Il Perù gli dà una mano, quella di Raul Ruidiaz che decide la partita, per uscire di scena. Profondo Brasile. Immenso nella sua improvvisa pochezza così come lo era nella sua presuntuosa grandezza. Paga carissima una rete irregolare ma non può nascondersi dietro la sfortuna o l’ingiustizia. E’ diventato una disarmonica e accidiosa accozzaglia di talenti di seconda fascia con qualche illusione che forse resterà per sempre un’illusione (Lucas Lima e Gabriel).
Non si sente il rombo di un motore vivo, è senza centrocampo, in difesa offre calciatori di media qualità spacciati per campioni e in attacco, con Douglas Costa infortunato, brancola nel buio provocato dalle accecanti luci del passato, in un “dopo Ronaldo” che sembra non voler finire mai, fatalmente deleterio. Mancava Neymar. Ma neppure Neymar, stella e non leader in campo, era riuscito a evitare le brutte figure del Mondiale del 2014 e della Coppa America del 2015.
Il campione del Barcellona si è schierato con i suoi compagni e in questo modo ha provato a ricostruire a posteriori una specie di famiglia in disgrazia: «Ora ci pioverà merda addosso, forza amici vinciamo i Giochi, so bene cosa vuol dire andar lì e lottare per quella maglia!».
La terza magra è più raggelante delle altre perché il girone del Brasile era talmente abbordabile da sembrare, senza offesa, poco più di una formalità (Perù, Haiti, Ecuador). Invece la squadra di Dunga è riuscita a esibire soltanto una crescente, epidemica inadeguatezza. Il contagio al ribasso sta toccando una generazione dopo l’altra:
«Ci vorranno anni per ricostruire », ammette il presidente federale Del Nero. Il Brasile attuale ha dimostrato di poter travolgere Haiti e al tempo stesso di non avere alcun attributo individuale e collettivo per affrontare le vere difficoltà. Non è squadra.
La vecchia legge che facilitava la partenza dei giovani è un alibi politico che non regge più. Ora manca la qualità, quella autentica. Dentro e fuori. Panchina compresa. Sostengono che l’obiettivo principale fosse l’oro ai Giochi. Tuttavia essere umiliati così a due mesi da Rio 2016 non può alimentare grandi speranze né assorbire la vergogna. «Andremo avanti con Dunga».
Ma di fatto la seconda era Dunga si chiude qui. Collasso di una programmazione sbagliata o del tutto inesistente, fallimentare gestione psicologica del gruppo. Gli antichi dettami del calcio più romantico e amato del mondo si sgretolano. Lo spreco delle risorse naturali ha reso il Brasile schiavo delle proprie diversità. Una volta il valore aggiunto era quella magica combinazione di mondi distanti, era veder giocare affiancati Gerson e Pelè, Falçao e Cerezo, Romario e Bebeto, Rivaldo e Ronaldinho, era ammirare lo storico alternarsi di Cafu e Leonardo sulla fascia.
Ora la fusione non c’è, gli stili aggrovigliati e le etnie sovrapposte non producono più mosaici virtuosi o letterari. Ora non c’è un solo atleta vestito con quella maglia che sappia spiegare a quale mondo appartiene e cosa, davvero, sia in grado di fare. Pare che non abbiano voglia. Se poi ci si mette l’ennesima mano de dios non resta che la saudade del tempo che fu e che adesso non c’è più anche per colpa del Perù.