SELEÇAO, CIAO CIAO - DOPO LE SETTE PAPPINE PRESE DAI TEDESCHI AL MONDIALE, IL BRASILE VA FUORI DALLA COPPA AMERICA, PER LA PRIMA VOLTA NON PARTECIPERÀ ALLA “CONFEDERATIONS CUP” - UN CICLO E' FINITO
Francesco Saverio Intorcia per “la Repubblica”
Il Brasile ha mal di pancia, e continua a digiunare. Non è un alibi, solo un’attenuante, per l’eliminazione in Copa America, ai quarti e ai rigori, contro il Paraguay: 15 giocatori, ricorda Dunga, sono stati colpiti da un virus intestinale.
Resta l’ennesimo flop. «Ma non dimentichiamo che questa è una competizione dura, siamo stati 40 anni senza vincerla, fino all’89. È una bella lezione - commenta il ct - ci servirà di insegnamento per le qualificazioni mondiali». Quelle, il Brasile non le ha mai fallite, ma un sentimento di rassegnazione ora si fa strada nella torcida: quando la squadra ieri ha lasciato il Radisson Hotel di Concepción, non c’era neppure un tifoso a contestarla.
Dovevano essere anni gloriosi per la Seleção: il Mondiale in casa, per lavare il lutto del Maracanaço; la Copa America in Cile; l’Olimpiade a Rio. Si ritrova a mani vuote: pure nel 2011, in Argentina, fu eliminata ai quarti dal Paraguay, e i brasiliani fallirono quattro rigori su quattro. Cominciò allora a logorarsi il rapporto con Mano Menezes, sostituito dai padri della patria (Scolari in panchina, Parreira supervisore: gli ultimi due ct campioni del mondo) per rincorrere il miracolo last minute. Scelta improvvisata, disperata, infruttuosa.
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Dunga si è insediato sulle rovine fumanti del Mineiraço, dopo 11 risultati utili s’è inceppato avendo perso Oscar, Marcelo, Luiz Gustavo, Danilo e lo sciagurato Neymar, che di nuovo ha abbandonato la nave alla tempesta. Al Mondiale, Zuniga gli fracassò una vertebra. Qui, si è messo fuori gioco lui con la testata al colombiano Murillo.
Per la prima volta il Brasile non disputerà la Confederations Cup del format Fifa (4 vittorie, 3 di fila). È un altro sintomo della crisi: si era sempre qualificato come campione del mondo o sudamericano, nel 2013 “solo” come paese ospitante, l’assenza certifica l’astinenza da vittorie internazionali.
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Non vince il Mondiale dal 2002 e l’anno scorso era testa di serie solo perché padrone di casa, altrimenti sarebbe finito in seconda fascia. Non alza la Copa America dal 2007, anno del suo ultimo Pallone d’oro, Kakà. Al Mondiale U20 (5 titoli) ha appena perso la finale contro la Serbia, ma due anni fa neppure c’era. La rosa di Dunga ha 26,9 anni di media, 18 su 23 giocano all’estero. Resta il Paese leader per esportazioni, nel 2014 sono partiti 689 calciatori.
E su 13mila trasferimenti effettuati nel mondo, 1493 erano di brasiliani, altro primato. Ma le stelline vanno via sempre più giovani, per fuggire alla crisi dei club domestici, affogati dai debiti col Fisco (solo quelli di A hanno 1,2 miliardi di euro di tasse arretrate) e costretti a vendere subito i migliori, senza farli prima maturare in casa. Anche questa diaspora precoce spiega la difficoltà, per qualsiasi ct, di dare oggi un’anima alla Seleção, di formare un gruppo che esalti il Dna brasiliano.
Il presidente Del Nero ha rinnovato la fiducia a Dunga, ma è lui in realtà sotto la lente adesso: il sistema rischia di essere travolto dagli scandali dopo l’arresto dell’ex n. 1 Marin nell’ambito dell’inchiesta sulla Fifa. Una commissione parlamentare farà luce sull’ipotesi di corruzione interna. Il promotore è Romario, eletto con il partito socialista: «Il sistema è marcio, dobbiamo moralizzarlo ».