Dario Pappalardo per “la Repubblica”
Con Matthew Barney si gioca al gatto col topo. Tre mediatori- addetti stampa, in due lingue diverse. Richiesta di credenziali su chi intervista. Appuntamento telefonico, poi silenzio. Marcia indietro: meglio inviare le domande via mail. Premessa di fondo: nessuna parola su Björk.
Ovvero sulla star islandese della musica che dell’artista e performer Barney è stata compagna nella vita e sul set fino al settembre 2013. Lei ha fatto sapere che l’ultimo album, “Vulnicura”, del 2015, è ispirato alla loro separazione. Lui tace. Sono sempre le immagini a parlare. E il corpo, soprattutto. Nato nel 1967 a San Francisco, Barney è un atleta di talento e un medico mancato che si fa notare subito come studente d’arte a Yale.
Nel video realizzato a vent’anni, Drawing Restraint (“Disegno sotto sforzo”), si arrampica alle pareti dello studio, cercando di vincere la trazione di una fascia elastica che lo lega al pavimento. Comincia così una sfida in cui l’artista- performer alzerà sempre più la posta. Per lui e per chi guarda i suoi film.
Fino al ciclo Cremaster (in cinque parti: 1994-2002), dove Barney trasforma il corpo in un campo di battaglia: diventa via via gigante dal volto tumefatto, uomo-ariete, mago, diva. Si sottopone a operazioni chirurgiche, se serve. Mescola nelle immagini leggende celtiche, riti massonici e religiosi, elementi della cultura pop con ossessioni private.
Costruisce una mitologia personale di uomini, macchine, creature fantastiche dalla sessualità polimorfa, dove il corpo e il codice genetico sono in continua mutazione. I suoi eroi devono superare prove impossibili in un mondo postapocalittico con leggi imperscrutabili e schiaccianti.
L’umano diventa postumano. Accade anche nelle cinque ore e mezzo di River of Fundament, che viene proiettato oggi a Bologna alle 17.30 come evento realizzato dal Teatro Comunale di Bologna e da Bologna Fiere in occasione dei 40 anni di Arte Fiera. È un’opera totale, wagneriana quasi, con le musiche di Jonathan Bepler, che si ispira a un romanzo di Norman Mailer, Antiche sere.
La narrazione inizia nell’Egitto dei faraoni, ma incrocia poi più piani temporali. Mailer stesso, morto nel 2007, era apparso in Cremaster 2. River of Fundament comincia proprio con la ricostruzione della veglia funebre dello scrittore: nel cast ci sono anche Salman Rushdie e Jeffrey Eugenides.
Barney, come è stato il suo rapporto con Mailer?
«In realtà è stato molto più diretto mentre lavoravo a River of Fundament che in passato quando potevo parlargli. Il testo del suo romanzo Antiche sere ha funzionato da libretto per il film. E così il compositore Jonathan Bepler e io abbiamo passato un sacco di tempo a cercare di entrare nella testa di Mailer per tentare di capire le sue intenzioni. Non mi era capitato per nessun altro progetto».
Mailer è anche un personaggio del film, interpretato da sette attori diversi tra cui lei stesso…
«Come personaggio, Mailer incarna l’archetipo della mascolinità estrema. Nel mio lavoro ho bisogno di personaggi così per creare relazioni tra estremi opposti e dare vita a uno spazio ibrido, nuovo. È la mia forma di scultura».
Alcune scene sono difficili da tollerare per un pubblico comune. Si pone mai un limite nella sua arte?
«Vedo il mio lavoro come un ospite in un corpo ospitante. Penso che, una volta che il corpo ospitante sia stato occupato, allora la mia opera può prendere qualsiasi forma consentita da quel corpo. In questo caso, il corpo ospitante è il romanzo Antiche sere. Ed è un romanzo sessualmente molto esplicito, così gran parte delle immagini deve rispondere a questo».
Il sesso è un elemento che ricorre nelle sue opere.
« River of Fundament ha un contenuto sessuale esplicito diverso, rispetto alle altre mie opere. Ha più a che fare con la natura, è più concreto. Nel romanzo di Mailer ci sono descrizioni del sesso con cui io stesso non mi sento a mio agio. Ma la sfida era proprio questa: riuscire a rappresentarle lo stesso».
Non pensa mai al pubblico?
« River of Fundament è concepito come un’opera lirica. Ma il pubblico di riferimento è quello interessato alle performance. Per questo è stato presentato nei festival di Performing Art. In contesti diversi la ricezione sarebbe differente. Il contesto in cui si presenta un lavoro del genere è fondamentale ».
Nell’ultimo atto, c’è un coro di sosia di Hemingway. Quanto è importante la letteratura nel suo lavoro?
«La letteratura in questo caso è il corpo che ospita il mio lavoro, quindi è stata molto importante. Abbiamo ricreato come sfondo del film la cerchia letteraria e culturale che circondava Mailer a New York».
Nelle sue opere sembra voler creare ex novo una nuova mitologia. Pensa che il mondo contemporaneo abbia bisogno di nuovi miti?
«Penso che la contemporaneità sia piena di nuovi miti. Non sono il solo a crearne. Ma al tempo stesso sono interessato a occupare miti già conosciuti. Ho bisogno della mitologia per dare una struttura al mio lavoro».
Che idea ha del mercato dell’arte contemporanea?
«Ci sono tanti mercati dell’arte contemporanea. Molti di più di quanti si creda. Ma sono più interessato al rapporto sul lungo termine tra gli artisti e le loro opere ».
Crede che l’arte debba modificare la realtà?
«La mia realtà personale di certo è stata modificata, sperimentando l’arte sulla mia pelle».
Per realizzare “River of Fundament” ha impiegato sette anni. Quando lavora e per quante ore al giorno?
«Lavoro tutti i giorni, almeno dalle 9 del mattino alle 6 del pomeriggio. Talvolta anche molto di più. Ora sono concentrato su un’installazione a Oslo, all’Astrup Fearnley Museum».
Che spettatore è Matthew Barney? È stato influenzato dall’horror: “L’esorcista”, “Venerdì 13”, “La casa”... Oggi cosa guarda?
«Mi interessano le performance, la danza. Amo guardare un performer alle prese con uno scopo da raggiungere. Sì, mi piace ancora l’horror, ma purtroppo non si producono così spesso dei buoni film dell’orrore. Non è vero? ».
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