Vera Schiavazzi per “la Repubblica”
Si può usarlo per restaurare un grande quadro di Gustave Courbet per il Musée d’Orsay o per dare nuova vita alle guglie del Duomo prima dell’Expo, come stanno facendo molti americani. Ma il crowdfunding per l’arte, qualcosa di un po’ diverso da quello che all’origine del fenomeno si erano proposti i singoli e le piattaforme che volevano far diventare realtà creazioni hi-tech e progetti ambiziosi di start-up, può essere applicato anche a iniziative più piccole.
Come sta facendo Art Basel raccogliendo 20 o 30.000 euro per un’esposizione collettiva nel quartiere cinese di Sydney, o un concerto sulle colline di Los Angeles. Se servono 125.000 euro per rifare com’era un tempo la piccola cella di Roma dove San Francesco d’Assisi alloggiava quando veniva a incontrare i lebbrosi, i frati si organizzano e li chiedono online.
Se ne occorrono alcune altre decine per riprendere gli scavi in uno dei siti più famosi della Gran Bretagna, ecco che parte un progetto heritage, e i fondi si trovano, perché la scoperta delle radici ha i propri fan. Ma anche un nuovo disco trova quelli che vogliono appoggiarlo: così ha fatto Roberto Prasseda, uno dei pianisti italiani più apprezzati, per mandare nei negozi musiche di Mendelssohn in un doppio disco edito da Decca, attraverso un sito come musicraider. com: per partecipare, bastavano 8 euro.
A Torino, a Palazzo Madama, con un crowdfunding soprattutto tra i cittadini piemontesi, la collezione di ceramiche della famiglia D’Azeglio è potuta tornare all’origine; allo stesso modo il Salotto Cinese del Museo di Rivoli ha finanziato il suo restauro. Alla Biennale di Venezia 178.000 euro sono stati raccolti per le iniziative collaterali del padiglione italiano, mentre a Napoli 75.000 sterline, raccolte soprattutto all’estero, servono a ricoprire e restaurare un chiostro a Santa Caterina a Formiello.
Al Louvre lo hanno utilizzato per comprarsi le Tre Grazie di Cranach: tre quarti li ha versati il museo, uno i donatori. A New York la Books of Wonder, la più grande libreria per bambini, stava per chiudere ma i 100.000 dollari raccolti in rete l’hanno salvata.
In Italia, in ogni regione, ci sono piattaforme ad hoc, come Forward, che sostiene progetti dedicati alla Toscana: dopo aver vinto nel 2013, The Hub Firenze si è messo in marcia per restaurare il portico bolognese di San Luca. E ancora: c’è un progetto per realizzare un film dal libro forse più famoso di Tiziano Terzani, “Un indovino mi disse”.
Ma ciascuno può usare il crowdfunding per un progetto per finanziare l’arte? Non proprio: meglio essere coordinati con una rete, e sapere che il 4 per cento è trattenuto dalle quote bancarie e il 5 dalla stessa piattaforma. Morale: è il 91 per cento della somma quello che arriva al progetto.
Ed è un vero peccato quando non si raggiunge l’obiettivo e manca una piccola quota, perché in questo caso non si incassa nulla e quel che c’è deve essere restituito nelle tasche dei donatori, come prevede la prima regola di questa pratica.
In Italia, le piattaforme che hanno già raggiunto successi e insuccessi in grado di essere esaminati sono 42.
Come Smartiza.it che ha già basato i suoi progetti su 5.100 persone che prestano, in attesa di norme definitive da parte della Consob. Finora i numeri raccontano di 15.000 collette fatte e 23.000 milioni di euro raccolti. Si può essere ottimisti, se si considera che in America e in Canada si parla di 1,6 miliardi di dollari, ma nel resto del mondo “soltanto” di 110.000. Basta scegliere la raccolta giusta, quella che farà inorgoglire i cittadini e raggiungere l’obiettivo.