IL “PAPARAZZO” DEI RE - DAI RITRATTI DI CORTE ALLE “FOTOGRAFIE” ROMANE: LA FRANCIA DEDICA PER LA PRIMA VOLTA UNA MOSTRA A VELAZQUEZ MA MANCANO I SUOI CAPOLAVORI PIÙ CELEBRI
Giovanna Poletti per il “Corriere della Sera- La Lettura”
Vietato deludere. Questa, strano ma vero, è la prima mostra che la Francia dedica a Velázquez e per questo ha voluto portare a Parigi 51 dipinti del maestro di Siviglia. Solo il Louvre poteva orchestrare una simile estensione di gamma. Nelle sale del Grand Palais si sente la mancanza di qualche opera mentre altre potevano forse restare a casa, ma certamente si è voluto rendere quest’appuntamento imperdibile. Per la prima volta sono messe a confronto stelle del firmamento del Prado, del Metropolitan, del Kunsthistorisches e della National Gallery di Londra, con alcuni mostri sacri custoditi in piccoli grandi musei di tutto il mondo. Prestiti eccezionali, ottenuti con fatica da istituzioni che hanno nei capolavori di Velázquez solidi e persino singoli punti di forza.
Si tratta di accostamenti esaltanti, impossibili, che siamo abituati a fare solo sulle pagine dei libri e che invece il curatore Guillaume Kientz ha ricostruito ad arte sala per sala, scandendo l’evoluzione di un artista che non ha avuto paragoni se non con se stesso. Alcuni potranno lamentare che si notano grandi assenze. I capolavori più celebri dello stringato repertorio del maestro sono infatti per la maggior parte conservati al Prado (che ne conta 49). Per statuto, il museo può concederne però in prestito solo sette per volta. Senza eccezioni.
Las Meninas , che forse tutti speravano di vedere a Parigi, è da sempre dichiarata opera inamovibile. Poco importa, per raggiungere le 120 opere in catalogo, Kientz ha chiamato a rapporto numerosi artisti che hanno preceduto, seguito o inseguito la cometa del pittore del re.
Un percorso nuovo, valido, che a scapito di qualche inevitabile caduta qualitativa, mette a fuoco e talvolta illumina pittori rimasti nell’ombra oscura del sommo maestro. La rassegna prende inizio dagli esordi sivigliani, quando il giovane Diego lavora nell’atelier di Pacheco e impara a dipingere interpretando le tipiche cromie del suo maestro.
velazquez rissa davanti all'ambasciata di spagna
Nel 1618, nemmeno ventenne, ne impalma la figlia e dipinge il suo primo capolavoro, la statuaria Immacolata Concezione della National Gallery di Londra. La sua produzione si arricchisce con scene di genere e bodegónes , come l’umile Mulatta del Chicago Art Institute che emerge con timida circospezione dal buio di una cucina o la Scena di taverna del Museo di Budapest di merisiana memoria.
La mostra prosegue con una bella serie di opere di Ribera, Maino, Cavarozzi e Tristan, scelte con sagace coerenza di temi. Sono dipinti realizzati in Spagna o arrivati dall’Italia, che ribadiscono i contatti di Velázquez con la pittura caravaggesca prima del 1622, anno della sua partenza per Madrid. Alcuni limpidi e sintetici ritratti di quel periodo sono di forza inesauribile. Gli sguardi del Gongora di Boston o dello pseudo Juan de Fonseca di Detroit, già prefiggono il transfert emotivo che caratterizzerà i ritratti di corte realizzati per Filippo IV e gli Asburgo di Spagna.
La grande sala seguente, dedicata al primo viaggio in Italia, avvicina per la prima volta L’Officina di Vulcano, la Tunica di Giuseppe e la tavoletta con la Rissa davanti all’Ambasciata di Spagna della Galleria Pallavicini. Tutte e tre le opere, che narrano episodi profani e mitologici, sono realizzate con un sorprendente fermo-immagine che consente di cogliere le espressioni sui volti di ciascun personaggio. Elaborate sugli stimoli della cultura classica antica e moderna, le prime due imponenti scene raccontano storie di menzogne e tradimenti con incredibile attualità, così come la piccola Rissa sembra il fotogramma di un paparazzo romano cui nessun dettaglio sfugge.
Poco oltre, la Venere allo specchio della National Gallery conquista un intero spazio. Con prodigioso colpo di scena è messa a immediato confronto con l’Ermafrodito, celebre marmo romano che Velázquez probabilmente ha visto nella collezione di Scipione Borghese. L’esatta contrapposizione fisica delle terga candide, immote e gelate della scultura, con quelle rosee, sfumate e vibranti della Venere, accende di sensualità una sala che, per la verità, è pervasa da inattesa atmosfera boreale.
Dopo la parentesi come ritrattista di corte, celebrata con opere straordinarie, come la celebre Contessa di Monterrey di Berlino, o l’elegante ritratto a figura intera di Don Pedro de Barberana arrivato da Forth Worth in Texas, si passa al secondo viaggio in Italia, intrapreso dall’artista nel 1650 per acquistare opere antiche per decorare l’Alcazar di Filippo IV.
la tunica di giuseppe velazquez
Punta di diamante di questo momento è il Ritratto di Innocenzo X della Doria Pamphilj. Davanti a questo ritratto, accostato tra l’altro a quelli di Camillo Massimo o di Camillo Astalli, il visitatore viene proiettato verso un’altra dimensione, difficilmente ripetibile, che obnubila e mette in subordine i pur validi ritratti di corte eseguiti in quegli anni da fedeli e validissimi allievi come Pietro Martire Neri e Juan de Pareja.
Merita una nota a parte Juan Bautista del Mazo, genero dell’artista ed entrato a far parte del suo atelier a Madrid già nel 1631. Collaboratore, imitatore ma anche dotato di un personale gusto per la stesura del colore, è qui ampliamente studiato dal curatore che gli consacra una grande sala. Le opere di sua mano sono 25. Sorprendono e a volte persino stupiscono ma, dopo aver visto Velázquez, è come buttare sale su una piaga: la ferita inferta dal confronto non si potrà più rimarginare.
ritratto di filippo ivvelazquez 1