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Negli anni sessanta e settanta molte discoteche in Italia furono progettate da architetti appartenenti al movimento dell’architettura radicale, che riuniva diverse tendenze di ricerca e sperimentazione e rifiutava il concetto funzionalista secondo cui “la forma segue la funzione”, quindi ogni edificio deve riflettere lo scopo per cui è stato creato.
L’architettura radicale si contrapponeva al passato sfruttando le potenzialità del kitsch, del colore, dell’ironia e distorcendo le proporzioni: il modo in cui usiamo gli oggetti, sosteneva il movimento, deve sovvertire l’idea che abbiamo dell’oggetto stesso.
space electronic firenze giardino
La mostra “Radical disco: architecture and nightlife in Italy” (all’Institute of contemporary art di Londra, fino al 10 gennaio) esplora le innovazioni che l’architettura radicale realizzò in discoteche come il Piper Club di Roma, nato nel 1965 e progettato da Manilo Cavalli e Francesco e Giancarlo Capolei. Il Piper diventò presto la discoteca più famosa d’Italia, dove si esibivano i protagonisti della scena musicale beat italiana e gruppi stranieri ai loro esordi, come i Pink Floyd. Negli anni sessanta il Piper era frequentato da artisti contemporanei del calibro di Piero Manzoni e Andy Warhol, ma suscitò la curiosità anche di giovani architetti che ruotavano intorno all’università di Firenze.
il piper di torino 1966 bamba issa forte dei marmi bamba issa forte dei marmi 1970 laltro mondo rimini 1967 altro mondo rimini piper roma
Firenze era infatti la casa di due gruppi importanti per l’architettura radicale: Superstudio e il Gruppo 9999, ispirati dal locale Electric Circus di New York e dalle teorie del filosofo Marshall McLuhan. Il Gruppo 9999 progettò lo Space Electronic, che ospitava le performance del Living Theatre e un giardino al suo interno. Nel resto d’Italia, Ugo La Pietra diede vita al Bang Bang, una discoteca ricavata da una boutique, e a Forte dei Marmi il gruppo Ufo progettò il Bamba Issa, ispirata al fumetto di Topolino del 1951 Paperino e la clessidra magica.
Questi spazi univano innovazione, arte, musica, teatro e tecnologia e furono tra le poche realizzazioni concrete delle teorie dell’architettura radicale. Ma a metà degli anni settanta chiusero o persero il loro spirito delle origini.