SE CAPITATE A VENEZIA, NON POTETE PERDERE LA PIU’ STRAORDINARIA E GRAFFIANTE MOSTRA OGGI IN SCENA: AL TEMPO DI WEIMAR, IN CUI L’ORMA DI HITLER SI PROFILA, COME UN’OMBRA RAPACE, ESPLODONO GLI ARTISTI DELLA “NUOVA OGGETTIVITA’” (OTTIMA PER CAPIRE L’ARIA CHE TIRA, OGGI)
Marco Vallora per La Stampa
Nella mostra veneziana sulla Nuova Oggettività a cura di Stephanie Barron e Sabine Eckmann si squaderna un formicolante percorso artistico, nella Germania provata dalle feroci sanzioni del Trattato di Versailles. Dal 1919 (fine della Prima Guerra Mondiale) al 1924, in cui l’orma di Hitler (liberato dal carcere) si profila, come un’ombra rapace, all’orizzonte della Nazione, per approdare fino al 1933.
Nel 1924 Thomas Mann pubblica La Montagna incantata, che oggi vien ritradotta come «Magica». «Realismo Magico», è una delle tante definizioni (ovviamente in dialogo con l’omonima rivista italiana) che il critico Franz Roh usa, per tentare d’impaniare questa nuova ed inafferrabile generazioni di pittori, che sfugge ad una vera definizione onnicomprensiva.
In realtà il vero titolo del suo libro pionieristico è Nach-Expressionism: «Dopo l’Espressionismo», che coinvolge artisti come appunto de Chirico e Carrà, Derain e Mirò, Max Ernst e, paradossalmente, pure Kandinsky, in fuga dalle temperie espressionistiche. Roh deve comunque vincere, con una definizione anche mercantilmente efficace, per contrapporsi alle mosse dell’altro critico di grido del momento, Hartlaub, che preferisce occuparsi prevalentemente di artisti tedeschi: come Beckmann, Mense, Schrimpf, il pittore classicista delle figure-manichino, molto amato da Carrà, che gli dedica una piccola monografia.
Hartlaub, quest’«avvertito sismografo» dei rivolgimenti dell’arte tedesca, che si prefigge di far meglio conoscere, con la mostra epocale di Mannheim, del 1925, progenitrice di questa veneziana (e non a caso aperta dalla presenza della Zingara Addormentata del Doganiere Rousseau) lancia un’altra formula-slogan, ancor più fortunata: quella della Neue Sachlichkeit, della Nuova Oggettività.
Come scrive Gabriella Belli, che ha fortemente voluto questa mostra, gemellata con Los Angeles: «La Nuova Oggettività, con i suoi molti realismi, da quello di denuncia a quello di satira, ora algido e imperturbabile, ora stupefacente e magico (…) dà una degna rappresentazione a quell’ansia di verità, che di lì a poco avrebbe portati gli artisti a emigrare o a consegnarsi alla ferocia del Nazismo». ?
george grosz ritratto dottor felix j weil 1926 258
Si guardi per esempio l’algido ed allarmante ritratto del dottor Haustein, di Christian Schad, artista emblematico di questa corrente, che non diventa mai una vera scuola, tanto son differenziate le personalità. Un’implacabile esattezza, quasi fotografico-chirurgica, per non-svelare questa figura inquietante, e dottorale, che però rimane inespressa.
Un capo, comunque, per cui è difficile provare empatia: le mani di marmo, scolpite, come in omaggio alla pittura nordica, di Cranach o Baldun Grien, un sorriso ambiguo, sopito, da foto segnaletica, i monumentali risvolti della glabra camicia. Ma sullo sfondo, ultimo avatar del cinema espressionista delle «ombre inquietanti», si profila non l’ombra realistica del falsamente quieto dottore (ecco il paradosso lampante), ma una sagoma minacciosa, che s’allontana fumante, scheletrica.
Ricordo embrionale del Doppio, del «sosia» romantico: figura psicanalitica dell’Unheimlich, del Perturbante freudiano. L’Espressionismo che deforma, che fa deflagrare colori impazziti, che entra sin nella psicologia esacerbata dell’artista, via via sarà dimenticata, rimossa. ?
A partire da quest’implacabile impassibilità impersonale. Le persone diventano cose, macchine, utensili impassibili e straniati. Le macchine stesse (fotografate pure da un grande come Renger-Patzsch) si dilatano, in questi ritratti ignudi di marchingegni senz’umanità. Caldaie o telai di Grossberg e Radziwill, che si metamorfosizzano in idoli ambigui, totemici. Persecutori (né si dimentichi che Metropolis, di Lang, nasce in quegli anni).
È difficile stabilire, come succederà poi con il consumismo vitaminico della Pop Art, se si tratti d’una critica sociale, inesorabile, dell’alienazione macchinica, marxiana, o d’un elogio messianico della tecnologia, che pulisce, risana, provoca, in un ambiente asettico. Clinico impulso positivista di Ritorno all’Ordine post-avanguardistico, al Dio-Mestiere.
I critici marxisti come Lukacs e Balasz s’indignano, per questo «cosalismo» esasperato, pre-totalitario, che invece il messianico Bloch guarda, con stupore epifanico. Quello del Tavolo di Toilette di Ploberger, vanità che si fa vanitas: una sorta di tavolo operatorio della vuota beltà rispecchiata, trappola d’iperealismo, in cui l’occhio viene come sirenato, dallo stupore magico, ma la realtà magnetizzata, allucinata, perde invece ogni senso di concreta realtà.
artiThe Lion Tamer by painter Max Beckmann cle B EBD x
Realtà che Grosz «monta» insieme, cinematograficamente, immaginando una strada simbolica, all’epoca della Repubblica di Weimar, inflazionata (un uovo vale cento miliardi di marchi) l’impietoso capitalista arricchito dalla guerra che sovrasta il reduce, cieco e monco, in miseria. Mentre il night simbolico dell’antifrastica «Bellezza» di Otto Dix, amministra e mesce insieme, brechtianamente, prostitute, garçonnes, gagà, perversioni e lenocini, mentre il negro inocula la febbre del jazz ed il lenone s’accinge ad una telefonata, forse delatoria, senza domani.