Jerry Saltz per “Vulture”
Innanzitutto l’arte è il luogo che rende le persone libere. Questa straordinaria apertura è ciò che la rende vitale e in continua trasformazione. O almeno, un tempo era così. E’ diventata meno flessibile, la sua libertà, quella fondamentale di esprimersi anche in maniera bizzarra, sembra essersi ridotta drasticamente.
Quando questi zingari e implacabili radicali sono diventati conservatori? Com’è potuto accadere che si sia costituita una sfera dove regole non scritte e rigidi moralismi su cosa piace e dispiace, su cosa è permesso dire e tacere, sono dettati dai social media, spesso anche in modo anonimo?
Forse il mondo dell’arte sta applicando la sua micro-versione di vampate improvvise, come succede ai politici, alle figure pubbliche alle popstar, trasformando ogni gesto, tweet, selfie, o foto scema, in un atto contestato all’interno di una guerra di identità. E’ strano, e triste, perché l’arte è sempre stato il luogo dove si fuggiva da tutto questo.
Le piattaforme social sono diventate un luogo di epurazione, piene di piccoli Savonarola. Vieni insultato se ti permetti di dire che non odi i dipinti di George Bush, vieni definito razzista se osi criticare l’installazione della fabbrica di cioccolato di Oscar Murillo, sessista, stupratore, pervertito se posti su “Facebook” qualche foto controversa di donna. Non importa che sia un autoscatto, postato dalla donna stessa.
Eppure lo stesso disgusto non lo hanno ispirato immagini medievali di uomini castrati, torturati, indemoniati, o di uno stupro scolpito dal Bernini. Anzi, piacevano a tutti. Il concetto di decenza è stato invocato solo per via del genere (femminile) e del mezzo (la fotografia invece che la scultura o il dipinto). Naturalmente si può citare Virginia Woolf: "Io scrivo quello che voglio, e loro dicono quello che vogliono».
Ma non è questo che succede ai critici o agli artisti: Carroll Dunham dipinge una nuotatrice nuda e lo definiscono “pedofilo”, Christopher Williams ha usato una foto in topless per promuovere la sua mostra al MoMA e il mondo dell’arte lo ha etichettato come “sessista”. Se non segui l’ordine sessuale e razziale corrente, sei da condannare. La cosiddetta “decenza” è anche ossessionata dai soldi: se un artista ha successo commerciale, il suo valore viene subito messo in discussione.
Il pregiudizio e la bigotteria va combattuto sul campo sociale e politico. L’indignazione è un’arma. Ma trattare l’arte allo stesso modo, con lo stesso odio, è progresso politico o ignoranza estetica? Una cosa simile è già successa negli anni Novanta. Se non facevi arte politica era considerato frivolo, non degno di nota. L’arte doveva stare dalla parte giusta. E così un pittore come John Currin veniva stroncato solo perché forse era repubblicano, non importava che lo fossero anche tutti i collezionisti che compravano e rendevano ricchi gli artisti progressisti.
Perché sono tornati i comandamenti di 20 anni fa? Forse perché oggi tutti hanno una voce e un’opinione su tutto. E quella singola voce, anche se isolata, ha grande cassa di risonanza. Forse perché, data la perdita di autorevolezza della politica, la gente si dà le regole da sola, riprende quelle che avevano funzionato l’ultima volta, vent’anni fa, quando si sapeva cosa fosse giusto o sbagliato, ci si accordava,. Stiamo facendo la stessa cosa di allora, in nome di principi migliori ma con la stessa identica chiusura mentale che tramuta ogni virtù umana in aliena e orribile. Se esistono solo modi accettabili per esprimere se stessi, allora non esiste alcuna libertà di espressione.
jerry saltz artesesso nell'arte
Una delle migliori armi dell’arte è il cattivo gusto. Ciò che sembra brutto, sbagliato, diverso aiuta a espandere il concetto di arte. L’arte non è qualcosa di addomesticato, buono, appropriato. Operare all’interno di regole non è arte. E’ accettazione.
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