1. IL GIALLO DELLE VENDITA DI TELECOM ARGENTINA: PERCHE' L'OPERAZIONE NON E' STATA MESSA TRA QUELLE “CON PARTI CORRELATE” VISTO CHE LE GENERALI, AZIONISTE TELCO, SONO SOCIE DELLA FAMIGLIA WERTHEIN, CHE HANNO UNA QUOTA DELLA TLC SUDAMERICANA? 2. QUALI VANTAGGI AVRANNO I WERTHEIN? E PERCHE' LA CESSIONE E' STATA CHIUSA IN FRETTA E FURIA NONOSTANTE L’OPPOSIZIONE DI ZINGALES E CALVOSA E LE RICHIESTE CONSOB? 3. TROPPI DETTAGLI RESTANO OSCURI. A PARTIRE DAL PREZZO: TELECOM ARGENTINA HA IN PANCIA 650 MLN $ CASH, ED È STATA VENDUTA A 960 MLN: IN PRATICA TELECOM HA INCASSATO SOLO 310 MLN. CHI È L’ACQUIRENTE MARTINEZ GUZMAN? QUALI SONO I SUOI RAPPORTI COL GOVERNO KIRCHNER? E SOPRATTUTTO: PERCHÉ ALIERTA AVEVA QUESTA FRETTA?

Claudio Gatti per "Il Sole 24 Ore"

I verbali delle ultime riunioni del Consiglio di amministrazione di Telecom Italia sequestrati dalla Guardia di Finanza su richiesta della Consob contengono alcuni dettagli finora mai resi pubblici. Che sollevano interessanti interrogativi sia per Telecom Italia sia per il suo consigliere in quota Generali, Gabriele Galateri di Genola, protagonista di un'imbarazzante rettifica.

L'Aula Mario Baratto è una delle sale più belle del palazzo fatto costruire a metà del '400 dal doge Francesco Foscari e ai più noto come Ca' Foscari, sede ufficiale dell'università veneziana. Un tempo era l'Aula Magna. Oggi funge da sala conferenze. Assolutamente unica al mondo, essendo posizionata in volta del Canal, ossia sulla curva più ampia del Canal Grande e quindi con una vista che spazia dal Ponte di Rialto fino alle Gallerie dell'Accademia.

Lunedì 11 novembre al convegno su "Cambiamento climatico e gestione del rischio" promosso da Assicurazioni Generali, nella Sala Baratto erano stipate una sessantina di persone. A dare loro il benvenuto, assieme al rettore Carlo Carraro, è stato il presidente di Generali Gabriele Galateri.

Ma la gestione del rischio delle calamità naturali non era il problema che in quel momento doveva impensierire Galateri. Ce ne era uno molto più impellente. Ma che non avrebbe potuto affrontare pubblicamente quella mattina in quella sala. Era un affare che avrebbe trattato dopo pranzo al telefono. Da tenere assolutamente riservato. E infatti così è stato. Finora.

L'unica traccia pubblica viene da uno stringato comunicato ufficiale messo in rete da Telecom Italia alle 20.30 di quello stesso giorno: «Il Consiglio di Amministrazione di Telecom Italia si è riunito oggi sotto la presidenza di Aldo Minucci per approfondire il processo di cessione delle partecipazioni dirette e indirette del Gruppo in Telecom Argentina, già oggetto di discussione nella riunione dello scorso giovedì 7 novembre. Al riguardo si conferma il mandato al management a finalizzare la cessione». Cinquantasei parole in tutto. Che non spiegavano molto.

Il Cda di Telecom Italia si era riunito pochi giorni prima, il 7 appunto, quando aveva preso la decisione di conferire al management il mandato di chiudere l'operazione di vendita di Telecom Argentina. E in più, di emettere un prestito obbligazionario a conversione obbligatoria - l'ormai famoso "convertendo" che, dopo gli esposti dell'azionista di minoranza Marco Fossati e dell'associazione dei piccoli azionisti Asati, ha portato Guardia di Finanza e Consob negli uffici del colosso delle Tlc.

Perché convocare un Cda a quattro giorni dal precedente? Per «confermare il mandato al management a finalizzare la cessione» di Telecom Argentina? Forse. Ma non solo. C'era un'altra vicenda da sbrigare.

Nelle ricostruzioni giornalistiche del dibattito interno al Cda è stato riportato che due consiglieri di minoranza, i professori universitari Luigi Zingales e Lucia Calvosa, hanno votato contro l'operazione argentina. Il primo perché non avrebbe avuto informazioni sufficienti, la seconda per via di un potenziale conflitto di interessi di uno dei soci di Telco, il veicolo costituito da Telefonica, Intesa Sanpaolo, Generali e Mediobanca che con il 22,5% delle azioni ordinarie controlla Telecom Italia. Ed è stato spiegato che il socio in questione era Generali, che è in società con la famiglia Werthein, azionista di minoranza di Telecom Argentina.

La sintesi, nella sostanza, è corretta. Ma i verbali di quel Cda, sequestrati dalla Guardia di Finanza e ora nelle mani della Consob, contengono dettagli ulteriori. Il Sole 24 Ore ne è venuto a conoscenza e ha ora elementi sufficienti per una ricostruzione più precisa. In realtà, nel Cda del 7 novembre il consigliere indipendente Calvosa, prima di esprimersi, aveva chiesto agli altri membri di dichiarare se avessero un potenziale conflitto di interesse.

E, puntigliosamente, aveva fatto mettere a verbale la propria disponibilità a esprimere un voto favorevole solo a condizione che non vi fossero tali posizioni di conflitto. In quell'occasione Galateri non aveva esplicitato fino in fondo la situazione di potenziale conflitto.

Invece almeno potenzialmente un qualche conflitto c'era, perché Generali, di cui Galateri è presidente, con i Werthein non solo da lungo tempo condivide affari ma ha anche un grosso credito. La conferma è arrivata da Generali stessa, in una comunicazione all'ufficio legale della società telefonica. A quel punto è stato ritenuto necessario un intervento riparatorio.

Nel weekend del 9 e 10 novembre è stato così convocato un Cda straordinario in conference call per l'11 nel primo pomeriggio per sanare la situazione. Telefonicamente Galateri si è dunque... spiegato meglio. Il Sole 24 Ore ne ha chiesto conferma allo stesso Presidente di Generali il quale, pur in poche parole, ha spiegato che «c'è stata una dichiarazione fatta nel consiglio del 7 e ulteriormente precisata nel consiglio dell'11. Questa è la realtà».

Ma evidentemente quella "precisazione" non è stata ritenuta insignificante da Lucia Calvosa, che su quella base ha deciso di votare contro l'operazione. Anche perché c'erano buoni motivi per dubitare dell'opportunità di chiudere in fretta e furia. Aveva senso vendere senza gara a un fondo che aveva offerto 960 milioni di dollari quando - secondo quanto risulta al Sole 24 ore - nel 2010, in un'asta poi abortita, erano arrivate manifestazioni di interesse da parte di gruppi argentini che si aggiravano attorno agli 800? Telecom Italia ci ha spiegato che: «Le offerte non sono comparabili» e che che quelle del 2010 «si aggiravano sui 700 milioni...e non furono considerate soddisfacenti dal punto di vista ...della garanzia del finanziamento».

Resta il fatto che nel 2010 Telecom Argentina aveva 300 milioni di dollari di debito, mentre adesso ha circa 650 in cassa. Il che vuol dire che prima di chiudere tre anni in straordinaria crescita, Telecom Argentina era stata valutata quasi un miliardo di dollari in più! Possibile non ci fosse sul mercato un'opzione migliore? E chi poteva assicurare che i Werthein, soci di Generali, non finissero con trarre un qualche vantaggio da questa vendita così frettolosa?

Insomma un dubbio era legittimo: che quella della vendita di Telecom Argentina dovesse essere considerata un'operazione con parti correlate e quindi essere trattata come tale.
Il management e la maggioranza del Cda del gruppo di Corso Italia non hanno pensato fosse così. Ma, Calvosa a parte, alla Consob il dubbio forse è venuto. A Il Sole 24 Ore risulta che proprio l'11 abbia contattato Telecom Italia chiedendo chiarimenti sulla vendita argentina ai sensi dell'articolo 115 del testo unico della finanza, quello relativo alle comunicazione verso l'Autorità.

Il Sole 24 Ore ha chiesto a Consob l'ora esatta alla quale è stata comunicata questa richiesta, ma l'authority ha preferito non fare commenti. Telecom Italia ci ha comunicato che il cda dell'11 è iniziato alle ore 15, che «la richiesta di Consob è pervenuta nel corso dei lavori e che «il general counsel della società ne ha preso conoscenza a fine cda», quindi non ne ha potuto informare i consiglieri.

A noi è stato invece detto che la comunicazione iniziale sarebbe arrivata prima che il Cda iniziasse e comunque sicuramente prima che si concludesse (cosa avvenuta attorno alle 16.30). Ma si sarebbe arenata per qualche motivo a noi ancora non chiaro. Un fatto è certo: la richiesta ex 115 non è stata comunicata ai consiglieri prima che si esprimessero proprio sull'operazione attenzionata dall'autorità di vigilanza. A rifletterlo sono i verbali di quel consiglio, nei quali non si trova traccia della richiesta Consob.

 

 

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