CONFESSIONI DI UN CORPO PERICOLOSO - LA STORIA DI UN EX-COMMESSO DI ABERCROMBIE & FITCH, ASSUNTO COME TUTTI PER VIA DELL’ASPETTO DA MACHO, INDOTTO A DISCRIMINARE CLIENTI E COLLEGHI NON ABBASTANZA BELLI

da www.salon.com

di Oliver Lee Bateman

E' accaduto piuttosto innocentemente: mi trovavo alla Fiera del Lavoro del campus e un uomo sulla trentina mi si è avvicinato: «Ehi, sembri un universitario e di qualità. Giochi a rugby? Sei un atleta?».

Indossava le infradito e disse: «Recluto per Abercrombie & Fitch, cerchiamo universitari che possano rappresentare il nostro maschio». Mi chiese se avevo il diploma, non importava in cosa. Mi lasciò il biglietto da visita, mi diede un appuntamento per il lunedì successivo: «Sarai un vice-responsabile. In realtà, può essere qualunque cosa nella nostra compagnia. Parti da un negozio, poi ne gestisci dieci, o vai nella sede a New Albany per la nostra rivista. Siamo fantastici, reclutiamo solo gente fantastica».

Questo fu il colloquio di lavoro. Ecco tutto. Firmai il contratto nel 2002, anno eccellente per l'azienda. L'offensiva maglietta "Wong Brothers Laundry Service-Two Wongs Can Make it White" (che riprendeva un vecchio motto razzista "Due Wong non fanno un bianco") andava a ruba dagli scaffali, e qualche impiegato la rubava per rivenderla a prezzo più alto su ebay.

Il trimestrale "A&F Quarterly" fu un fenomeno, un catalogo fotografico che rasentava il soft-porn. Fino ad allora io sapevo solo che Abercrombie & Fitch realizzava buoni soprabiti. Scoprii che la musica del negozio A&F era così alta che si sentiva anche da fuori. Non sapevo che il losco amministratore delegato Mike Jeffries voleva riconcepire il brand e "sessualizzarlo".

Si lavorava tante ore, ma io non diedi il mio meglio. Pensai che avrebbero avuto il mio corpo ma non la mia anima. Ecco parliamo dei corpi. Di tutti i corpi che entravano in negozio, ma che non entravano nei vestiti che vendevamo. I commessi dicevano con orgoglio che non avevamo la taglia Large. Come a dire, noi siamo fighi e tu no.

Le domeniche c'erano le riunioni dei manager nel negozio centrale. Ogni singolo rappresentante era scelto in base all'apparenza. Contava l'aspetto estetico, non altro. Ad esempio io ero catalogato come una B, anzi una B-.

La A spettava a chi era più in forma, magro, muscoloso, magari abbronzato ma sempre bianco, e disprezzava le donne e le minoranze, in particolare asiatiche. C'era una vera e propria ossessione per la bellezza. Venivano licenziati quelli più bravi di me, ma non altrettanto "perfetti". Non vedevo l'ora di uscire da quell'inferno.

Ricapitolando: c'è questa terribile, malefica, volgare compagnia per cui io e altri migliaia di giovani sciocchi abbiamo lavorato. E' gestita dai peggiori stronzi in circolazione. I suoi commessi vengono scelti per i loro corpi fenomenali e ariani (c'era anche un indiano, ma era relegato al magazzino), ridicolizzano i clienti grassi e detestano chiunque non sia "di qualità". Quando ho mollato il lavoro, ero in piena depressione.

Dopo aver perso la causa contro alcuni latini-afro-asiatici americani discriminati sul lavoro, nel 2005 Abercrombie & Fitch promise di rivedere i suoi criteri di reclutamento. Nel 2006 l'amministratore delegato Mike Jeffries continuava a dire nelle interviste che "la bellezza è tutto. La gente bella che lavora nei nostri negozi attira altra gente bella. Ci interessa quella, non altri. Siamo elitari? Assolutamente sì». Per fare questo lavoro, guadagna 45 milioni di dollari annui.

Oggi insegno storia a giovani ragazzi annoiati che mi ricordano me a vent'anni e cerco di convincerli a riflettere sui modelli culturali che ci circondano . E' il miglior modo per fare penitenza.

 

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