Enrico Arosio per “l’Espresso”
GIAN ARTURO FERRARI RAFFAELE DUDU LA CAPRIA
''Gianni ci crede, Gianni ci crede». È Gian Arturo Ferrari, richiamato dalla famiglia Berlusconi alla vicepresidenza Mondadori con funzioni pienamente operative. «Pierga non vuole, Pierga non vuole». S'intende Piergaetano Marchetti, storico consigliere di Rcs Mediagroup. E Paolo? «Paolo non parla, Paolo non parla». Trattasi di Paolo Mieli, presidente di Rcs Libri che, quando non vuol far trasparire neanche un'oncia dei suoi pensieri strizza gli occhi e allarga un sorriso ineffabile da monaco del Ladakh.
PIERGAETANO MARCHETTI GIULIA MARIA CRESPI INAUGURAZIONE MITO ALLA SCALA FOTO FRANCO CORTELLINO
Allusioni e silenzi, più sussurri che grida nei sacrari del potere cultural-mediatico milanese e nelle occasioni mondane della borghesia "old money". Nella capitale italiana dell'editoria vecchia e nuova, la chiacchiera del momento è la trattativa tra Rcs Libri e Mondadori per dar vita a un grande polo del libro che potrebbe sfiorare o raggiungere il 40 per cento del mercato italiano.
Una concentrazione di risorse umane, capitali, prodotti culturali che porterebbe a una posizione dominante tale da sollevare l'attenzione dell'Autorità antitrust. E che s'intreccia con la questione, politicamente calda, della successione al "Corriere della Sera" di Ferruccio de Bortoli, direttore in scadenza ad aprile, e con i rapporti tra gli azionisti milanesi e i soci torinesi, la Fca degli eredi Agnelli, orientati a far confluire sotto un unico ombrello "Corriere", "Gazzetta dello Sport" e "La Stampa".
PIERGAETANO MARCHETTI ALLA RIUNIONE MANAGER RCS FOTO DI RCS SIAMO NOI
Ma cominciamo dal primo scenario. A ben vedere, l'alleanza Rcs-Mondadori ricorderebbe il matrimonio combinato dei genitori di Alessandro Manzoni: Pietro Manzoni, possidente lombardo, aveva 46 anni e tante terre quando impalmò la milanese Giulia Beccaria, 20 anni appena, beltà e prestigio.
Un quarto di secolo di differenza, come tra il 1921, nascita della Arnoldo Mondadori Editore, e il 1949, varo della Biblioteca universale Rizzoli. Se si avverasse, si tratterebbe di «alleanza strategica» (formula ufficiale) o di «pesce grande mangia pesce piccolo» (sostanza bruta)? I rapporti di forza dicono questo: Rcs Libri ha fatturato nel 2013 251,8 milioni, con soli 4,2 di margine operativo lordo. La Mondadori Libri segnava 334,3 con un margine di 46,2, undici volte tanto.
Secondo: Rcs Mediagroup ha urgente necessità di far cassa. Indebitato per 500 milioni, deve onorare molte scadenze bancarie entro il 2015. Come dice un'autorevole fonte editoriale che non vuol essere citata: «Hanno venduto Flammarion; hanno venduto sottocosto l'immobile di via Solferino; ora hanno ceduto una quota a JcDecaux; l'operazione Recoletos in Spagna è stata negativa: o si fa un aumento di capitale o da vendere restano solo i libri, i gioielli di famiglia».
Via Solferino è stata ceduta nel 2013 al fondo Blackstone per 120 milioni, nonostante, ricorda un'altra fonte, circolassero valutazioni di «quasi il doppio». Una cifra simile al valore del settore libri di cui stiamo parlando, stimato tra i 100 e i 120 milioni. Ma per Mondadori, il pesce grande, il prezzo sarebbe ancora troppo alto.
L'alleanza è fortemente voluta dall'amministratore delegato rizzoliano Pietro Scott Jovane, manager all'americana gradito ai vertici di Fca, Fiat Chrysler Automobiles (Giovanni Agnelli e C. con il 16,7 per cento è il primo azionista di Rcs Mediagroup). Scott Jovane in tre anni dovrebbe riassettare le finanze del gruppo.
Ma con De Bortoli non si parla da mesi. E il consiglio di amministrazione, specchio di un azionariato disomogeneo, è molto diviso, come si è visto nell'ultima riunione del 12 febbraio. Pro aumento di capitale sono in pochi; favorevoli a vendere i torinesi; prudenti o contrari Marchetti, la famiglia Rotelli, Urbano Cairo; Mediobanca (con il 9,9 per cento) è orientata a uscire; Diego Della Valle, il consigliere "new money" noto per le uscite aggressive e ostile ai patti di sindacato, ad amici confida che «si è rotto le scatole» della questione Rizzoli. A complicare le cose, la posizione ambigua della Banca Intesa Sanpaolo di Giovanni Bazoli: è socia minore di Rcs, col 4,1 per cento, ma è anche una delle banche creditrici: deve incassare, entro l'anno. Un bel guazzabuglio.
OSCAR NIEMEYER - SEDE DELLA MONDADORI A SEGRATE
In ballo è la leadership del mercato del libro in Italia, un campo di battaglia che ha perso soldati e cavalli negli ultimi tre anni, causa crisi dei consumi, ma che mantiene un suo blasone. Mondadori è il dominus nel mercato dei bestseller anglo-americani e non solo: pensiamo ai vari casi E. L. James, John Grisham, Dan Brown, o a fenomeni come Licia Troisi nel fantasy italiano.
Al tempo stesso Segrate controlla Einaudi, la real casa torinese diretta da Ernesto Franco a cui ha lasciato ampia autonomia e che ha a tutti gli effetti risanato. Paolo Repetti, editor di Einaudi-Stile libero, si dà rilassato: «Della fusione abbiamo parlato poco o nulla. L'autonomia dei marchi non mi sembra così a rischio».
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Ma un altro brand di pregio come Electa, editoria d'arte, Mondadori lo ha - al contrario - assimilato e inghiottito. I marchi Sperling & Kupfer e Piemme sono in sofferenza. I ricavi dall'editoria digitale crescono a ritmo lento (l'e-book, in Italia, non supera il 4,4 per cento del mercato librario). Difficile che Marina Berlusconi abbia richiamato Ferrari per caso, dopo la separazione del ramo Libri dal ramo Periodici: e infatti "Gianni" è già lì che si lamenta dei danni fatti in sua assenza.
E dalla parte del venditore? Accanto alla capogruppo Rizzoli (che tiene insieme i soufflé di Benedetta Parodi e le sciccherie di Fosco Maraini) ci sono bocconi ghiotti ma ingombranti, e gelosi delle loro prerogative. Come la brillante Bompiani diretta da Elisabetta Sgarbi, con i suoi Piketty e Houellebecq, Paulo Coelho e Umberto Eco, che con la Rizzoli da tempo già compete su anticipi e diritti d'autore; figurarsi se arriva la Mondadori.
E come la controllata maison Adelphi, sofisticata creatura di Roberto Calasso, che ne possiede, con fedeli alleati, il 42 per cento. All'Adelphi non fanno esattamente il tifo per la fusione. Calasso il Carismatico (che non ha mai investito nella sua successione) dispone di un diritto di prelazione in caso di cambi di controllo azionario in Rcs. E si mormora che, con l'aiuto di partner indipendenti, potrebbe anche sganciarsi.
Poi c'è la veneziana Marsilio. Anche l'editore Cesare de Michelis dispone di un'opzione "put and call" se cambia la proprietà, ed è uno dei pochi che dichiara il suo pensiero a "l'Espresso": «Bisogna vedere. O è un'alleanza strategica dei marchi per affrontare la rivoluzione del libro, che consenta a tutti di rafforzarsi rispetto alle librerie e ad Amazon. Oppure è un'operazione finanziaria della Rizzoli, col rischio di svendere per fretta. Voglio capire».
La lettura «pesce grande mangia pesce piccolo» prevale. Lo sottintende Giuseppe Laterza, dell'omonima editrice indipendente (la famiglia controlla più del 50 per cento, e una quota è delle Messaggerie della famiglia Mauri): «Ora non commento. Lascio la lettura del futuro a Jeremy Rifkin», ironizza: «Il tema delle concentrazioni, da Bertelsmann-Random House a Gallimard-Flammarion, non è nuovo e non è un tabù. Ma il raddoppio delle quote di mercato non è in sé garanzia di felicità».
CURZIO MALTESE E GIUSEPPE LATERZA jpeg
Questione delicata: a chi conviene? È più facile dire: chi ha da temere. Un rischio c'è per l'inseguitore, la terza forza, il Gruppo editoriale Mauri Spagnol, pur spalleggiato dalle potenti distribuzioni Messaggerie. Stefano Mauri, il presidente, non vuole commentare.
Ma non è un segreto che un colosso vicino al 40 per cento sarebbe un'aspra sfida per i pur vivaci marchi Gems, la Guanda diretta da Luigi Brioschi con la sua narrativa di qualità, la Longanesi e la Salani che godono di buona salute e azzeccano bestseller sorprendenti, la saggistica di Bollati Boringhieri. Come osserva scherzoso uno dei più noti agenti letterari, Marco Vigevani, l'eventuale colosso sarebbe «una specie di Unione Sovietica rispetto alla Confederazione Elvetica» (cioè Gems, che lascia ampia autonomia culturale a tutti i propri brand).
amazon uccide la vita sessuale
Gli agenti letterari, che fanno il lavoro di intermediazione tra gli autori e le case editrici, guardano con qualche ansia allo scenario-pachiderma. E così i librai indipendenti, che anno dopo anno, schiacciati dalla crescita di Amazon e dalle grandi catene (Feltrinelli, Messaggerie, Mondadori, Giunti) o chiudono o si piegano a una sorta di franchising obbligato. Nel Sud, già oggi le vetrine di tanti piccoli librai sono Mondadori-oriented.
Tra gli editori medio-piccoli, umori altalenanti. Da Baldini & Castoldi, da Castelvecchi, da Iperborea non giungono grandi segnali di allarme. Un editore di saggistica alta come Il Mulino coltiva i suoi giardini. La Skira di Massimo Vitta Zelman si è addirittura ricomprata da Rcs le proprie quote e ha il fatturato in crescita.
Più complesso è il caso Feltrinelli. Come catena di librerie, con la sua rete di punti vendita in 57 città, che spesso sono anche apprezzati luoghi d'incontro e di scambio, controlla un quarto del retail italiano, ma in un mercato calante. L'attività di editore di libri, al confronto, è piccina. Carlo Feltrinelli, che ha sempre detto «Non siamo immobiliaristi», ha investito una grossa cifra nella nuova sede milanese del gruppo e della Fondazione, il bel progetto degli svizzeri Herzog & de Meuron. Ma nel 2013 la holding Effe 2005 ha perso quasi 18 milioni di euro (di cui una bella fetta con la rete tv LaEffe) su un fatturato di 442. Feltrinelli sta già diversificando gli asset.
Poi c'è chi sposta gli accenti: sulla distribuzione e la guerra dei prezzi. «Non vedo bene una eventuale fusione Mondadori-Rizzoli. Io sono per la pluralità. Ma per i librai indipendenti una concentrazione importante è già avvenuta: quella tra la Pde di Feltrinelli e le Messaggerie; tanto che l'Antitrust ha dovuto verificare», commenta Raffaello Cortina, libraio-editore di saggistica alta:
«A Milano resistiamo noi e la Hoepli. Ma tanti piccoli rischiano di uscirne stritolati. Poi c'è l'effetto della legge Levi del 2011 sugli sconti sui libri. Ha posto un freno ad Amazon e alla liberalizzazione totale, ma gli sconti del 15 per cento favoriscono comunque le vendite online. Ci vorrebbe un limite più basso per gli sconti: il 5 per cento, come in Francia». Comunque vada, la sensazione è che siamo solo all'inizio.