L’EUROPA VUOLE STANGARE GOOGLE? E GLI STATI UNITI INTERVENGONO A DIFESA DEL COLOSSO DEL WEB E DELLA SUPREMAZIA HI-TECH AMERICANA: “NON DIVENTI UN PROCESSO POLITICO” - GLI USA TEMONO LE LEGGI NEI SINGOLI STATI MEMBRI
Paolo Mastrolilli per “la Stampa”
Difesa delle leggi europee, o risposta protezionistica all’incapacità di competere con la tecnologia americana? Il governo degli Stati Uniti sospetta che la vera motivazione del provvedimento avviato ieri dalla Ue contro Google sia la seconda, al punto che l’assistente segretario di Stato per l’economia, Daniel Sepulveda, ha lanciato questo avvertimento: «Massimo rispetto per le leggi, ma il processo e i rimedi devono essere basati su fatti imparziali, e non politicizzati».
IL FONDATORE DI GOOGLE SERGEY BRIN CON LA MOGLIE ANNE WOJCICKI
Dopo tre anni di negoziato che non ha portato ad un accordo Washington si aspettava questo sviluppo, che consentirà di mettere in chiaro elementi dell’accusa e della difesa. Gli americani invece sono più preoccupati da progetti di legge nazionali, come quello francese che vorrebbe obbligare Google a rendere pubblici i suoi algoritmi.
La storia delle battaglie antitrust fra Bruxelles e Washington nel campo tecnologico comincia con la causa contro la Microsoft, avviata per la verità dalla compagnia americana Sun Microsystems nel 1998, e conclusa nel 2007 dopo il braccio di ferro con il commissario Mario Monti con la condanna dell’azienda di Bill Gates, costretta a pagare 2,2 miliardi di euro di multa e garantire maggior accesso ai competitori.
La compagnia di Mountain View però pensa di avere una strategia di difesa migliore: «Google sarà pure il motore di ricerca più usato, ma ora la gente può avere accesso alle informazioni in numerosi modi diversi, e le accuse di danni per i consumatori e i competitori hanno dimostrato di essere fuori bersaglio».
L’argomento si basa su quattro punti: oggi esistono molti motori di ricerca, come Bing, Yahoo, Quora, DuckDuckGo, e sistemi di assistenza tipo Cortana di Microsoft e Siri di Apple; ci sono decine di servizi specializzati come Amazon, Le Guide, Expedia, eBay, Idealo di Axel Springer, tra i più popolari per lo shopping in Germania; gli utenti usano sempre più i social media tipo Facebook, Twitter e Pinterest per cercare i «consigli per gli acquisti»; nel settore dell’informazione, i siti di Bild e Guardian ricevono l’85% del traffico per via diretta, e solo il 10% arriva tramite Google.
Il monopolio in sostanza non esiste, soprattutto in America, dove i motori di ricerca sono diversificati. Se l’Europa non ha questi strumenti la colpa è sua, e invece di proteggersi usando i tribunali, farebbe meglio a sviluppare la ricerca e vincere competendo sul mercato.
Ciò farebbe bene anche all’economia del Vecchio Continente, che già si giova molto dell’imprenditoria americana. Basti pensare che Apple in Europa ha 18.300 dipendenti e 671.500 posti creati attraverso l’indotto, Facebook ne ha creati 784.000 e generato 51 miliardi di attività economica, e Google ha investito 2,1 miliardi nella creazione dei data center.
Questi argomenti sono veri, ma non bastano a spiegare l’intera vicenda. Tra le aziende che hanno promosso la causa europea contro Google ci sono anche la tedesca Axel Springer e la News Corp di Murdoch, di solida tradizione liberista. Almeno dal loro punto di vista, quindi, la causa non è ideologica, ma di sostanza.
Al loro fianco si sono schierate diverse aziende americane, dalla Microsoft e TripAdvisor, fino ad Expedia e Yelp, che si sono lamentate con Bruxelles per i comportamenti di Google, che porterebbe via i loro clienti favorendo le proprie attività commerciali sul suo motore di ricerca, che in teoria dovrebbe essere solo uno strumento neutrale offerto agli utenti. Dunque esiste un malcontento americano verso la compagnia di Mountain View, che però ha scelto di manifestarsi usando le autorità europee, probabilmente perché le considera più amichevoli verso le loro posizioni rispetto a quelle degli Stati Uniti.
In America le cause antitrust hanno una lunga storia, dal settore petrolifero contro Standard Oil a quello telefonico, fino a Microsoft, ma ora il governo è sempre più attento alla crescita e al progresso tecnologico che la Silicon Valley genera. Di sicuro all’Europa non farebbe male di considerare anche questo aspetto, e investire nel settore, oltre a proteggersi nei tribunali.