Angelo Aquaro per "la Repubblica"
Quel volpone di Bob Greifeld, il manager che risollevò il Nasdaq dalla crisi della bolla hi tech e lo portò a sfidare la supremazia dello Stock Exchange di Wall Street, pensava di cavarsela con pochi spiccioli. Ma adesso non solo i bidonati di Facebook gli hanno presentato un conto da centinaia di milioni: vogliono anche portarlo in tribunale. Sì, l'ultimo atto dello sfortunatissimo debutto del social network in Borsa rischia adesso di consumarsi in un palazzo di giustizia: non proprio il luogo dove si risolvono le controversie tra "amici".
FACEBOOKLa banca svizzera Ubs ha presentato un conto stratosferico da 350 milioni di dollari. Knight Capital Group si acconterebbe di 30 o 35 milioni. Stessa cifra per i signori di Citadel e un pochino di meno la richiesta invece di Citigroup: 20 milioni. Ma che cosa vogliono esattamente questi signori e perché il Faceflop rischia di trasformarsi in una debacle non solo finanziaria ma anche giudiziaria per la Borsa fino a ieri più amata d'America?
Tutto comincia quel fatidico 18 maggio, il giorno dell'attesissima Ipo. Quando, fra l'altro, invece di controllare che tutto andasse in ordine, il bravo Bob aveva pensato bene di andare a festeggiare in quel Menlo Park, raggiungendo l'amico Marck Zuckerberg a suonare la simbolica campanella dall'altra parte degli States. Ma hai voglia a suonare. Ricordate come andò? Il nuovo software che la Borsa aveva predisposto per l'occasione andò in tilt e il titolo dovette ritardare di mezz'ora l'attesissima quotazione.
FACEBOOK DAVANTI A JP MORGANDi più. Anche dopo l'inizio ufficiale gli investitori grandi e piccoli continuarono ad avere problemi: il sistema non dava l'ok sulle transazioni e i trader non sapevano più a che prezzo stessero comprando. Ecco perché, adesso, dall'Ubs all'ultimo dei privati mezza America chiede al Nasdaq il conto: per i soldi persi per colpa di quel software maledetto.
Il buon Greifeld per la verità continua a dirsi tranquillo: giudiziariamente sostiene di non avere niente da temere. I patti sono chiari, dice, nei contratti che facciamo con gli investitori è scritto che loro accettano in caso di guasto ad adeguarsi alla accomodation policy.
Una accomodation molto accomodante per il banco: il Nasdaq vorrebbe cavarsela infatti con una quarantina di milioni in tutto da distribuire ai pretendenti, più qualche sconticino qui e là sulle transazioni prossime venture. Ed è già tanto. All'inizio pensava di poterne uscire attingendo al fondo per legge riservato ai rimborsi normali - appena 3 milioni - più una decina di milioni che non avrebbe dovuto neppure prendere dalle casse: perché erano i soldi che comunque la stessa Borsa aveva realizzato con l'Ipo.
Morgan StanleyCome finirà? La trattativa prosegue. La Sec, l'organismo di controllo delle Borse, non ha
ancora dato il via libera alla proposta-Greifeld. E intanto i giuristi si dividono. Può davvero il Nasdaq essere portato in tribunale, come una utility qualsiasi, per il disservizio? O in
questo caso, come la Borsa pretende, agisce invece come una sorta di autorità istituzionale e quindi immune da denunce? In ballo non ci sono soltanto qualche centinaia di milioni: ma anche la reputazione e quindi il destino della Borsa hi tech che sognava di fare le scarpe al vecchio New York Stock Exchange di Wall Street.