FERRARA: "NON MANGIO NUTELLA, MA ORA VADO A COMPRARE UN BARATTOLO PERCHÉ SÉGOLÈNE ROYAL NON PUÒ IMPORMI LA SUA VISIONE SOCIALISTEGGIANTE DELLA VITA" - CINQUE COSE DA SAPERE SULL'OLIO DI PALMA PER NON FARSI PRENDERE IN GIRO DALL'ULTIMA MODA PARA-SALUTISTA
1. LA NUTELLA PRIVATA - LA ROYAL E LA DIFFERENZA TRA UNA VISIONE SOCIALISTEGGIANTE DELLA VITA E UNA VERA IDEA LIBERALE
Giuliano Ferrara per “il Foglio”
Non sono un consumatore di Nutella. Provvedo in molti altri modi a farmi del male o del bene, dipende. Quanto alla deforestazione, seguo le indicazioni virgiliane sull’arboricoltura, che non la prevedono sebbene la natura se ne stia lì, anche nel poema georgico millenario, per essere trattata e manipolata. Il poeta si occupa dell’umore selvatico di cui spogliarle, le piante, con innesti e trapianti (exuerint silvestrem animum) e ammira il verdeggiare dei boschi sacri.
Così faccio io nel mio piccolo. Ma che cosa vuole da me Ségolène Royal, ministra gallica, quando mi bistratta il barattolo di cioccolata alla nocciola? Gli esseri umani hanno un’anima, e il mondo classico era maestro nell’arte della Beseelung, dell’animare il mondo che circonda gli uomini. Anche la Nutella ha un’anima, come dimostrò Nanni Moretti. Dunque come si permette un ministro segretario di stato di dirmi quello che devo mangiare?
isis recluta donne con nutella e gattini 5
E’ questa intrusione nelle passioni private e nei consumi privati l’essenza del mondo moderno? Sarò io a scegliere, secondo l’uso e l’appetito e la crapula e l’ascesi, con l’aiuto se del caso di un medico fidato o di un coltivatore amico, ma mai e poi mai deve intromettersi il potere pubblico.
Invece abbiamo costruito un universo dietetico, e Michelle Obama ci istruisce da mane a sera su come fare a mantenere la fitness, e nella Casa Bianca fanno gli orti biologici, e invece di mettere ordine in un mondo sanguinoso ci spacciano ricette disgustose di cosce di pollo con contorno di mais, ed esaltano la verdura sfacciatamente, memori della jacquerie dei broccolari americani che colpirono duramente un giudizio scorretto di Bush padre: “I hate broccoli”.
Ma diceva quello che non piaceva a lui, il presidente wasp, non quello che deve dispiacere a te: e lì è tutta la differenza tra una visione socialisteggiante della vita e una idea liberale dell’esistenza che non rinuncia alla capacità privata di alimentare lo spirito e la materia di cui siamo fatti secondo scelte individuali, familiari, sociali ma non pubbliche. Il community organiser su scala universale, come il ministro républicain impiccione, sono un pericolo privato e pubblico.
Anche il Papa vuole la mia conversione ecologica. Penso di averla incorporata nelle mie idee e nei miei comportamenti del tempo che segue il peccato e accompagna l’espiazione: sono contro lo scarto degli esseri umani, sono contrario alla nozione inquinante che il genere sia un innesto culturale, sono figlio della chiesa pur senza essere nella chiesa (paradossi). Punto.
Se poi devo giudicare la questione del clima, penso che dipenda tutto dall’energia del sole e niente da quella umanoide, ma non pretendo di avere ragione per forza privata né sopporto che mi si dia torto per obbligo pubblico o confessionale, tanto più se per motivi ideologici o interessi non verificati.
Vorrei si introducesse nello spirito apocalittico e disordinato del tempo una quantità data di malinconia e di serenità, anche di rassegnazione come ecologia della mente: mi emoziona Franco Prodi quando parla delle nuvole e smania contro i truffaldi del mutamento climatico antropocentrico, mi irrita Al Gore quando mi spiega in dettaglio la sceneggiatura del film-catastrofe che ha appena girato. Ora vado a comprare un vasetto di Nutella, e avrete capito bene il perché, spero.
2. 5 COSE DA SAPERE SULL’OLIO DI PALMA PER NON FARSI PRENDERE IN GIRO
Alice Pace per www.wired.it
È l’ingrediente al momento più discusso dei nostri cibi. L’olio di palma divide l’opinione pubblica tra chi lo vede come una minaccia, lo boicotta e vorrebbe bandirlo dalle nostre tavole e chi invece, pur raccomandandone un consumo limitato, tranquillizza sulla sua non tossicità. Si tratta di un grasso vegetale prodotto in larghissima scala (a partire soprattutto da piantagioni in Indonesia e Malesia) ed entrato a far parte ormai di moltissimi dei nostri prodotti da supermercato: dai biscotti alle creme dei dolci, dalle merendine ai cibi pronti in generale, ma anche nei saponi, in molti prodotti per l’igiene personale e nella produzione di biodiesel.
Le critiche nei suoi confronti riguardano sia il fronte della salute, dove viene accusato di compromettere il sistema cardiovascolare, provocare il diabete e persino il cancro. Ma anche il fronte della sostenibilità ambientale, dove il capo d’accusa è la deforestazione in atto in vaste aree del Sud-Est asiatico, terribile per gli equilibri e le specie animali. Così come sono inaccettabili le condizioni di sfruttamento in cui vivono intere comunità sottomesse alla monocoltura della palma da olio. Abbiamo cercato di fare chiarezza in materia di salute e ci torniamo con alcuni concetti chiave che possono aiutare a non farsi raggirare dai tanti esempi di disinformazione in proposito.
1. LA GUERRA AL SINGOLO INGREDIENTE È INSENSATA
Un bravo nutrizionista difficilmente parlerà di “alimento buono” o “alimento cattivo”, bensì di “regimi dietetici buoni” o “cattivi”. E all’interno di un regime nutrizionale bilanciato, e quindi di generale contenimento di grassi saturi, c’è spazio anche per l’olio di palma. Come c’è spazio per il burro, per il cioccolato, per le patatine fritte. Purché siamo tutti consapevoli che non possiamo mangiare questi cibi ogni giorno o, peggio, più volte al giorno, ma che dobbiamo stare molto attenti a mantenerne basso l’ apporto.
Le raccomandazioni del nostro Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (Cra), ente pubblico che studia gli alimenti e il loro ruolo nel mantenimento della salute e nella prevenzione di malattie correlate all’alimentazione, e che rispecchiano di fatto quelle internazionali, pongono l’asticella del consumo dei grassi saturi al 10% massimo sul totale delle calorie giornaliere. Un 10% che però non racchiude solo l’olio di palma, bensì anche i grassi saturi provenienti da altre fonti alimentari.
Tanto più che in Italia, certificano gli esperti del Cra, la maggior fonte di grassi saturi sono i formaggi, i salumi e la carne in generale. Che contengono, diversamente dall’olio di palma, anche colesterolo, così come ne contiene il burro. Sì, anche quello biologico o a chilometro zero, che alcuni millantano come sostituto ideale dell’olio di palma, trascurandone evidentemente il profilo nutrizionale.
2. NON È CANCEROGENO (COME INVECE LE SIGARETTE)
Il fumo di sigaretta è ricco di sostanze cancerogene, come gli idrocarburi aromatici e le nitrosoamine. Nell’olio di palma, sostanze cancerogene non ce ne sono, perciò chi paragona il consumo di olio di palma al vizio di fumare, si sbaglia di grosso.
Quando si parla di cancro e olio di palma, l’unico legame scientificamente dimostrato è quello mediato dall’obesità. Nello specifico, chi consuma in eccesso l’olio di palma (così come di tutti altri grassi saturi), senza bruciarlo mediante un adeguato esercizio fisico, tenderà a ingrassare e a diventare obeso, ed essere obesi favorisce l’insorgenza di tumori. Chi consuma olio di palma (così come tutti gli altri grassi saturi) al di sotto della soglia consigliata, o comunque riesce a smaltirlo attraverso l’esercizio, non si espone invece a un rischio maggiorato di sviluppare un tumore.
E a mettere nero su bianco il nesso cancro-obesità è il World Cancer Research Fund, la massima autorità a livello mondiale in merito alla ricerca dei link tra dieta, peso, attività fisica e cancro.
3. LO USIAMO ANCHE PER EVITARE INGREDIENTI PIÙ NOCIVI
L’olio di palma ha un costo molto più basso rispetto al burro e ad altri tipi di olio ed è quindi conveniente per le aziende e i consumatori dal punto di vista economico. Tuttavia, non viene impiegato solo per questo motivo.
L’industria alimentare infatti ha trovato nell’olio di palma l’opportunità di smettere di usare le margarine, cioè derivati degli oli vegetali resi solidi grazie al processo chimico dell’idrogenazione. Perché sostituirle? Perché l’utilizzo dei grassi idrogenati, sia in Europa che negli Stati Uniti, è stato fortemente scoraggiato da quando la ricerca medica ha messo in evidenza la loro correlazione con alcune malattie cardiovascolari. Una correlazione dovuta all’alta probabilità di ritrovarvi all’interno acidi grassi trans, che nell’olio di palma sono invece assenti.
Tant’è che la stessa Organizzazione mondiale della sanità nei suoi rapporti si pronuncia sull’efficacia delle policy che limitano l’impiego degli acidi grassi trans per la tutela della salute pubblica.
4. LE ACCUSE DI “FARE IL FILO” ALLE MULTINAZIONALI NON TENGONO
Su temi scivolosi come questo, dove ci sono mille forze e interessi in gioco, è facile che chi si scaglia senza se e senza ma contro il consumo di l’olio di palma sostenga che chi non lo fa sia asservito alle multinazionali che lo producono o che commercializzano i prodotti che lo contengono.
Senza forse rendersi conto che il boicottaggio in toto di questo prodotto è al tempo stesso un asservirsi alle multinazionali degli oli concorrenti, come quello di soia e di colza, con le quali è in atto da anni una vera e propria guerra per il mercato. Insomma, paradossalmente coloro i quali si fanno paladini della lotta contro le multinazionali, se ne fanno a loro volta promotori.
5. BIOLOGICO NON VUOL DIRE SOSTENIBILE
L’impatto ambientale dovuto all’espansione delle coltivazioni di palma da olio è fuori discussione, e nonostante l’introduzione (di recente) di certificazioni per l’olio di palma sostenibile, la questione rimane grave e sarà oggetto di approfondimento. Ciò nonostante, è bene scalzare subito alcuni equivoci facilmente strumentalizzati.
Primo tra tutti, quello per cui sostituendo l’olio di palma con altri grassi (burro o altri oli vegetali) e consumando esclusivamente prodotti da agricoltura biologica risolveremmo il problema dal punto di vista ambientale. Si tratta di un assunto del tutto privo di riscontro, che parte dal presupposto che biologico significhi automaticamente sostenibile mentre, soprattutto se ragioniamo in termini globali, non è così, al netto di tutte le variabili che il concetto di sostenibilità implica. Non possiamo neanche dare per scontato che il consumatore di prodotti bio sia per definizione un cittadino più consapevole, più attento all’impatto ambientale del proprio stile di vita, meno consumista.
Quel che è certo è che non tutti possono permettersi di comprare del buon cibo biologico e che questo approccio (oltre che discutibile dal punto di vista scientifico) rischia di essere anche classista.