1.RICORDIAMO COSA DICEVA ERIC SCHMIDT, CAPO SUPREMO DI GOOGLE, NEL 2012:
GOOGLE E LE PAROLE DI SCHMIDT: "ORGOGLIOSI DI NON PAGARE LE TASSE"
Enrico Franceschini per ''la Repubblica'' del 13 dicembre 2012
eric schmidt sergey brin larry page susan wojcicki e marissa meyer
Ci sono quelli che pagano le tasse. Ci sono quelli che evadono le tasse. Ma sono in pochi a dire pubblicamente: “Sono orgoglioso di quello che faccio per non pagarle”. Eppure è il caso di Eric Schmidt, presidente e amministratore delegato di Google, il gigante multimiliardario di Internet. Interrogato sulle notizie provenienti da Londra, secondo cui la sua azienda è riuscita a pagare soltanto 6 milioni di sterline (7 milioni e mezzo di euro) al fisco britannico su 2 miliardi e mezzo di sterline (3 miliardi di euro) di guadagni conseguiti nel Regno Unito, il boss del motore di ricerca che domina il mondo ha praticamente alzato le spalle, detto “embeh?” e poi si è vantato di avere saputo sfruttare al meglio le scappatoie legali per pagare meno o quasi niente tasse in Inghilterra.
Evasioni legalizzate, come le chiama qualcuno? Macché, replica lui, “è solo capitalismo”. E a differenza di altre società, che imbarazzate dall’accusa di non pagare tasse nonostante entrate di miliardi hanno annunciato un programma di restituzione volontaria all’erario, il gran capo di Google fa sapere che lui non ci pensa nemmeno a pagare di più “solo perché provo compassione per gli inglesi”.
“Sono molto orgoglioso della struttura fiscale che abbiamo messo in piedi” in Gran Bretagna e altrove, ha dichiarato Schmidt all’agenzia Bloomberg. “L’abbiamo fatto sulle base degli incentivi offerti alle aziende da certi governi per attirare investimenti nel proprio paese. Ci sono un sacco di benefici per un’azienda a operare nel Regno Unito. Noi li usiamo e ci fanno molto comodo. Andare dai miei azionisti e dire loro che ci sentiamo male per i britannici e vogliamo pagare loro più tasse sarebbe un’iniziativa probabilmente proibita”, ha aggiunto con sarcasmo.
E ha concluso avvertendo che Google continuerà a sfruttare tutte le scappatoie legali per pagare poche tasse offerte dalla Gran Bretagna o da altri paesi: “E’ un modo di operare che si chiama capitalismo”, afferma, “e noi siamo orgogliosamente capitalisti. Non ho dubbi al riguardo”. Dunque Google non seguirà la strada di Starbucks, i cui dirigenti hanno promesso di rinunciare volontariamente a certi metodi di evasione legalizzata, dopo che le proteste contro simili iniziative hanno portato a manifestazioni di protesta davanti a molti caffè della catena americana in Inghilterra e a minacce di boicottaggio da parte dei consumatori.
2.LA FINANZA CONTRO GOOGLE “ORA PAGATE 300 MILIONI” MA LA PARTITA NON È CHIUSA LA REPLICA: “SEGUIAMO LE LEGGI”
Emilio Randacio per “la Repubblica”
La procura di Milano e la Guardia di finanza presentano il conto al colosso statunitense di Internet, Google. Dal 2008 al 2013, il motore di ricerca di Mountain View ha evaso il fisco italiano per circa 300 milioni di euro. È proprio questa la somma contenuta nel «processo verbale di accertamento» che i militari stanno notificando in queste ore ai manager italiani della multinazionale.
Dopo l’apertura dell’inchiesta penale per «dichiarazione fraudolenta» da parte del dipartimento guidato dal procuratore aggiunto milanese, Francesco Greco — il sostituto titolare del fascicolo è Isidoro Palma — a Google viene imputato di aver evaso le tasse per una cifra pari a 800 milioni, facendo risultare sede fiscale della società l’Irlanda e non l’Italia. Dopo mesi di trattative tra le parti — accordi trapelati ma poi smentiti, offerte che si aggiravano tra i 150 e i 200 milioni fino a poche settimane fa — l’atto formale firmato dalla Guardia di finanza, mette sostanzialmente Google con le spalle al muro. «Google rispetta le normative fiscali in tutti i Paesi in cui opera. Continuiamo a lavorare con le autorità competenti », è la replica dell’azienda.
D’ora in avanti proseguirà il contenzioso penale — fino ad ora senza indagati — e quello amministrativo, con l’agenzia delle Entrate. Se Google deciderà di chiudere la partita, potrebbe «accontentarsi » di versare una cifra che si aggira tra i 220 e i 270 milioni. Una forbice piuttosto variabile, per una serie di incognite che restano sul campo e che sono estremamente complesse da calcolare. Altrimenti, il contenzioso potrebbe anche concludersi con un conto finale decisamente superiore, caricato di penali e una cifra sostanziosa di interessi.
QUANTO RISPARMIA GOOGLE IN TASSE
Ieri, in prima pagina sul quotidiano londinese, The Times, si inneggiava al successo ottenuto dai magistrati milanesi nella lotta al fisco, ricordando i 318 milioni versati da Apple per chiudere a dicembre un’inchiesta molto simile, e annunciando l’imminente accordo anche con Google per 113 milioni di sterline. A differenza di Google, su Apple in realtà si è abbattuta un’operazione a tenaglia tra Entrate e Dogane, avviata con un «verbale di constatazione », che imputava un miliardo di imponibile non versato, e che si è concluso con un «accordo di accertamento », con un bonifico da 318 milioni di euro versato al Fisco poco dopo Natale.
bullingdon club osborne cameron e boris johnson
Non solo, la casa della Mela fondata da Steve Jobs, ha accettato senza obiezioni i calcoli effettuati dai funzionari delle Entrate. Su Google, l’iter è stato invece differente. «L’Italia fa vedere come mostrarsi risoluti con Google», titolava ieri il quotidiano della City. Ricordando anche come molti altri Paesi europei, perseguendo multinazionali americane per gli stessi reati, non fossero in realtà ancora riusciti a trovare alcun accordo sull’entità delle tasse da fare versare.
Tra gli esempi citati, la Francia. Dove per Google — sempre secondo i dati de The Times — il contenzioso con il fisco transalpino ammonta a 500 milioni di euro. Proprio in questi giorni, inoltre, il governo di David Cameron, ha invece concluso tra molte polemiche la «partita» con il motore di ricerca di Mountain View per 130 milioni di sterline a dispetto di un imponibile teorico calcolato in quasi 4 miliardi.
Di certo, quello che sta emergendo in queste ultime settimane è il chiaro segnale di un cambiamento di aria per il rapporto tra l’Europa e le società estere che, fino a qualche mese fa, attraverso presunte “esterovestizioni” (localizzazione fittizia all’estero della sede fiscale), pagavano le tasse in Paesi che prevedono fiscalità nettamente più vantaggiose.
Un cambio d’aria più volte auspicato dal Commissario Ue per il commercio, Pierre Moscovici, che secondo il Financial Times avrebbe già pronto un piano d’intervento per evitare che il pagamento delle tasse venga effettuato in Paesi europei con regole fiscali meno onerose.
In realtà, l’atto formale che la Guardia di finanza ha notificato su ordine della procura milanese, non è esattamente la conclusione della pratica. Anzi. È solo l’inizio di una ulteriore battaglia legale.
È stato un calcolo particolarmente difficile quello condotto per arrivare a stimare i circa 300 milioni di evasione. Circa un terzo, sarebbe «l’imponibile sottratto a tassazione », i due terzi di «ritenute non operate».
James Murdoch con David Cameron
I finanzieri, oggi, sono convinti di aver accertato come nel quinquennio incriminato — 2008-2013 — Google Italia abbia registrato gli attivi nei bilanci di altri Paesi — soprattutto in Irlanda — dove la tassazione è favorevole (poco più del 12%) di oltre la metà rispetto a quella del Belpaese. Per chiudere definitivamente la partita, con tutta probabilità, servirà dunque altro tempo.
3.MURDOCH ATTACCA BIG G “I MIGLIORI A FARE LOBBY”
Enrico Franceschini per “la Repubblica”
Rupert Murdoch contro Google. E nell’insolita veste di nemico delle lobby: ossia il mestiere che viene spesso attribuito al tycoon soprannominato “lo Squalo”. Con un cinguettio su Twitter il fondatore della News Corporation, uno degli imperi editoriali più grandi del mondo, lancia un sasso nello stagno dei privilegi fiscali. «Google ha nascosto con furbizia dozzine di suoi uomini alla Casa Bianca, a Downing street e in altri governi, il più bel lavoro di lobby mai realizzato».
Rupert Murdoch left Wendi Deng center and Eric Schmidt deng copy
Il riferimento è agli accordi raggiunti nei giorni scorsi da vari governi occidentali con il motore di ricerca. Intese presentate, a seconda dei casi, come una tardiva ma esemplare rinuncia di Google alle scappatoie che gli hanno permesso di pagare zero tasse o poco di più, o viceversa come un mea culpa ipocrita, di chi invece di dare il dovuto continua a evadere.
Polemiche sono esplose in Gran Bretagna, dove il ministro del Tesoro George Osborne ha presentato la trattativa con Google come una grande vittoria per lo Stato, prima di essere smentito dall’ufficio del primo ministro Cameron, che ha preso le distanze, e dal sindaco di Londra, Boris Johnson, rivale di Osborne nella corsa a diventare l’erede di Cameron alla guida dei Conservatori. Non solo: ieri il Times ha fatto un titolo provocatorio, notando che l’Italia ha ottenuto molto più della Gran Bretagna nella trattativa con Google.
Ma il quotidiano londinese, non per nulla, è di Murdoch. Che ha fatto seguito con l’accusa a Google di barare, grazie a un’opera di lobby senza pari. A parte il precedente, commentano i maligni, del lobbismo compiuto in passato dagli uomini di Murdoch per comprare la maggioranza di Sky in Inghilterra: operazione che sarebbe riuscita, non fosse stato per il Tabloidgate, lo scandalo delle intercettazioni illecite. Ride bene chi ride ultimo, sembra dire lo Squalo con il suo tweet.