Ugo Bertone per Libero Quotidiano
In un solo anno, nel 2015, le 20 banche europee più importanti hanno parcheggiato nei paradisi fiscali il 26% dei profitti realizzati per un totale di poco superiore ai 25 miliardi di euro. Un piccolo mistero, visto che nei 58 Stati che meritano l' etichetta di Paradiso fiscale le banche sviluppano solo il 12% dei loro affari ed impiegano solo il 7% del personale, che si spiega in un modo solo: elusione fiscale.
È questo il risultato di un report, dal titolo "Aprire le casseforti", curato da Oxfam, una delle più prestigiose organizzazioni non governative inglesi, che si basa esclusivamente su fonti ufficiali. Nel 2015, infatti, le banche europee sono tenute a specificare i guadagni ottenuti Paese per Paese. È stata così possibile elaborare una mappa della ricchezza bancaria. Anzi di quel che gli istituti sottraggono alle varie giurisdizioni fiscali con effetti paradossali. Il Lussemburgo, ad esempio, conferma la sua natura di grande cassaforte nel cuore dell' Unione Europea che ha consentito alle 20 grandi banche di accumulare in soli dodici mesi 4,9 miliardi di euro di profitti, più di quanto gli stessi istituti hanno saputo realizzare nello stesso periodo in Gran Bretagna, Svezia e Germania messe insieme.
Il Lussemburgo non è l' unico paradiso dei banchieri. Anche l' Irlanda non scherza. Il fisco di Dublino, già sotto tiro per le condizioni di favore garantite ad Apple, ha fatto ponti d' oro ad almeno cinque banche: la britannica RBS, la francese Societe Generalé, UniCredit per l' Italia, le spagnole Santander e BBVA. Questi istituti pagano imposte con un' aliquota media del 6% e in calo del 2% per alcune banche e comunque, segnala Oxfam, «ben al di sotto del tasso normalmente in vigore, il 12,5%, che è già il più basso nell' Unione europea». Le cinque maggiori banche francesi, BNP Paribas, BPCE, Crédit Agricole, Crédit Mutuel-CIC e Sociatà Générale «hanno dichiarato 5,5 miliardi di profitti nei paradisi fiscali».
Clamoroso il caso di Deutsche Bank, il colosso tedesco che ha in corso un aumento di capitale per far fronte alle multe inflitte dal fisco e dalle autorità di mercato in Europa come negli Usa. Nel 2015, per queste ragioni, l' istituto di Francoforte ha accusato un rosso di 6,1 miliardi di euro. Ma nello stesso anno Db ha dichiarato 1,2 miliardi di profitti in Lussemburgo, singolare eccezione in un anno gramo dove la banca ha perduto un po' ovunque, con l' eccezione di Hong Kong. È lecito sospettare, si legge nel report, che la banca tedesca «faccia affidamento sulla pratica di trasferimento degli utili» a caccia delle condizioni migliori dal punto di vista fiscale. Ed è facile pensare che altrettanto facciano i concorrenti.
Barclays, ad esempio. Nel 2015 la banca ha realizzato profitti per 557 milioni in Lussemburgo, pagando la bellezza di un milione in tasse. Ovvero lo 0,2%. Niente male. Se considerano anche le attività in Irlanda e Svizzera, nota Oxfam, Barclays ha realizzato in questi tre paesi 900 milioni di utili (il 15% circa del totale) pur contando soltanto 500 dipendenti in tutto. «In poche parole - sintetizza Oxfam - nel 2015, queste nazioni rappresentano il 18% del risultato globale di Barclays ma solamente lo 0,4% dei suoi impiegati».
Non è un record, visto che Bnp Paribas è riuscita ad accumulare 174 milioni di profitti alle isole Cayman: Dipendenti sul posto? Zero. Così come avviene nel Delaware, lo Stato americano che ha vantaggi fiscali e di tutela contro i ficcanaso degni di un isolotto dei Caraibi. Guarda caso, in Delaware ha domicilio il 49% delle sedi delle filiali Usa delle banche analizzate da Oxfam. Anzi, in un solo palazzo ci sono 285 mila indirizzi legali al domicilio fiscale oltre Oceano: per risparmiare sulle tasse si può stare un po' stretti.