1. ITALY DAY, FONDI ESTERI ALLO SHOPPING
Federico Fubini per “la Repubblica”
L’incontro si è svolto in un gruppo di sale riservate al Four Seasons di Via del Gesù, nel cuore del quadrilatero della moda milanese. Organizzatore e padrone di casa, per un giorno, la prima banca al mondo per il valore delle sue attività: l’americana J. P. Morgan, un gruppo il cui bilancio è quasi pari al debito pubblico della Repubblica italiana.
L’accordo era che, fuori dalla cerchia dei circa 130 invitati, nessuno dovesse saperlo. Non perché il gruppo del Four Seasons, ricco di amministratori delegati di Piazza Affari e manager di punta di un centinaio dei grandi investitori del pianeta, avessero trame da tessere. Era giusto questione di lavorare in pace, in un’iniziativa coordinata senza precedenti per il Paese: discutere insieme, faccia a faccia, uno contro uno in centinaia di incontri privati, di cosa comprare in Italia.
L’idea dei presenti era che è meglio farlo ora che sembrano bassi i prezzi di Borsa delle imprese del secondo produttore manifatturiero d’Europa; meglio prepararsi nella speranza che la Bce immetta mille miliardi di liquidità che solleverà tutte le banche; meglio comprare un biglietto d’ingresso nell’ipotesi che questo governo realizzi — forse — qualcuna delle riforme si parla da vent’anni.
Ieri al Four Seasons sedevano migliaia di miliardi di dollari. Erano rappresentati dai principal di alcuni degli hedge fund e fondi istituzionali più ricchi e di successo al mondo: come quello di John Paulson, il newyorkese che registrò i più grandi e rapidi guadagni della storia dell’umanità scommettendo sul crollo dei mutui americani.
Con Paulson c’erano vere e proprie superpotenze dei mercati globali come Fidelity (1700 miliardi di dollari in gestione), campioni del private equity come Fortress (68 miliardi), giganti tranquilli come il Canadian Pension Plan (oltre 200 miliardi di dollari) e leader europei come Allianz Global. Non poteva mancare poi una miriade di più aggressivi e volatili hedge fund, dai newyorkesi di Tpg-Axon Capital, ai tedeschi di Lupus Alpha e decine di altri. Blackrock, con Fidelity l’altro colosso mondiale della gestione finanziaria, ha dovuto cancellare la sua presenza all’ultimo.
Nella giornata di Milano, Jp Morgan ha offerto a ciascuno dei suoi clienti internazionale l’opzione di avere incontri faccia a faccia con una trentina di imprese italiane che si sono dette interessate. Bastava scegliere dal menù dei presenti.
I momenti di vera e propria conferenza in comune sono stati ridotti al minimo, in un unico dibattito con quattro amministratori delegati: Fabrizio Viola di Mps, Carlo Cimbri di Unipol (indagato nell’inchiesta sull’acquisto di Fondiaria dai Ligresti), il costruttore Pietro Salini di Salini Impregilo e Matteo Del Fante di Terna, la rete elettrica controllata dal governo. I quattro non hanno nascosto i punti di debolezza del Paese o delle loro aziende, ma hanno ancora sottolineato perché l’Italia resta appetibile per il capitale straniero.
C’è stato a stento bisogno di ricordarlo. La giornata è entrata nel vivo quando i grandi investitori esteri hanno scelto fra i gruppi italiani presenti e hanno chiesto di incontrare ciascuno separatamente. C’erano capi azienda, capi della finanza o dei rapporti con gli investitori di almeno dieci gruppi finanziari: fra questi Intesa Sanpaolo (ma non Unicredit), Ubi, Banca Generali.
C’erano gruppi del settore media come Mediaset, municipalizzate dell’acqua e dell’energia come Acea, società a controllo pubblico come Fincantieri (ma non Eni o Enel), campioni globali della meccanica come Danieli, ex monopolisti della telefonia come Telecom Italia. Jp Morgan stima che ciascuno di loro abbia avuto almeno cinque sei incontri “uno a uno” con altrettanti investitori esteri. Chi fra le società quotate a Piazza Affari non c’era, mancava solo perché non ha espresso interesse all’invito di J. P. Morgan.
È stata una sorta di “fiera Italia” senza precedenti per la piazza finanziaria milanese. In questi anni c’erano state sìgiornate dedicate al Paese nella City di Londra: questa o quella banca riuniva gli investitori per qualche ora di discorsi pubblici tenuti da dirigenti del Tesoro, manager di banche e imprese a controllo statale, economisti e specialisti.
Non c’erano quasi faccia a faccia e la posta in gioco era semplicemente se investire in titoli di Stato o diffidare del debito, del governo, della direzione dello spread fra Bund e Btp tedeschi. Ora no. Spinti dall’attivismo della Bce, forse in parte da quello dell’attuale esecutivo, i cento del Four Seasons sono interessati alla parte produttiva del Paese. Non siamo ancora al punto in cui vogliono davvero investire. Ma comprare, magari perché l’Italia sembra loro a buon mercato, questo sì.
NEL GIUGNO DEL 1992 L’ITALIA IN VENDITA A BORDO DEL BRITANNIA
Da “La repubblica”
Il 2 giugno 1992 il panfilo Britannia, di proprietà della Corona inglese, ospitò un convegno sulle prospettive delle privatizzazioni in Italia. Discorso introduttivo fu del direttore generale del Tesoro Mario Draghi. Sebbene i relatori si concentrarono sulle difficoltà del processo, il Britannia è visto come il momento in cui i fondi internazionali si accordarono per comprare a prezzi di saldo il patrimonio pubblico.