LA BREVE VITA DEI PRODOTTI: SIAMO CONDANNATI A COMPRARE (IL MERCATO LO VUOLE)
Alessandro Alviani per "La Stampa"
Centouno miliardi di euro: tanto potrebbero risparmiare ogni anno i tedeschi se la lavatrice, lo spazzolino elettrico o le scarpe che hanno appena acquistato non avessero una sorta di data di scadenza integrata, non fossero cioè progettati per smettere di funzionare dopo un certo periodo di tempo - preferibilmente dopo la scadenza della garanzia - o non fossero costruiti in modo da scoraggiare le riparazioni.
Lo sostiene uno studio presentato ieri a Berlino e realizzato per conto del gruppo parlamentare dei Verdi tedeschi, che chiedono direttive chiare sulla riparazione e sostituzione dei componenti. Il fenomeno, chiamato «obsolescenza pianificata», è in aumento, spiegano gli autori, Stefan Schridde e Christian Kreis. Oggi sembriamo trovarci di fronte alla situazione in cui «sempre più prodotti durano sempre meno», scrivono nelle 100 pagine della ricerca, in cui si dice che una vera e propria intenzionalità da parte dei produttori «è molto difficilmente dimostrabile».
«Obsolescenza pianificata» è un altro termine per descrivere la frustrazione dei consumatori: si tratterebbe dell'usura prematura e programmata di un prodotto che in realtà potrebbe funzionare molto più a lungo. Il fenomeno è noto da tempo. Nel 1924 i più grandi produttori di lampadine fecero cartello per ridurre la durata di vita delle lampadine da 2.500 a mille ore.
Negli Anni 40 la DuPont inventò le calze di nylon, che avevano un unico difetto: erano troppo robuste, per cui le vendite non decollavano. A quel punto l'azienda avrebbe ordinato ai tecnici di «peggiorarle», per far sì che si smagliassero. Nel 2003 negli Usa partì una class action contro la Apple, accusata di aver limitato intenzionalmente a 18 mesi la durata delle batterie non sostituibili dell'iPod.
E oggi? Gli autori elencano diversi esempi, riuniti in tre categorie. C'è anzitutto la scelta di materiali o componenti che si usurano anzitempo. à il caso delle resistenze delle lavatrici, delle chiusure lampo a spirale, oppure delle ruote dentate plastiche poco resistenti all'abrasione montate sui frullatori: non possono essere sostituite e al terzo anno non funzionano più.
Un secondo espediente è la limitazione della durata di vita del prodotto attraverso il tipo di costruzione: alcuni componenti del computer MacBook Pro, come la batteria, sono incollati, il che complica e rende molto costose la sostituzione o riparazione; alcuni spazzolini elettrici montano una batteria non sostituibile che, col tempo, perde la sua capacità di carica. Infine ci sono limitazioni tecniche: è il caso delle viti speciali usate per l'iPhone 4 o dei contatori montati sulle stampanti a getto d'inchiostro o laser che, dopo un certo numero di pagine stampate, segnalano la necessità di manutenzione. Se li si riporta a zero, la stampante continua a funzionare come se niente fosse.
Per quale ragione costruire un prodotto che si rompe prima del tempo, con l'effetto di usare più risorse del dovuto e creare montagne di rifiuti? Per aggirare il problema della saturazione dei mercati e massimizzare il profitto delle aziende, che risparmiano così costi e aumentano le vendite, spiega lo studio.
Di parere opposto Werner Scholz, direttore dell'associazione tedesca dei costruttori di elettrodomestici: i produttori sbaglierebbero se agissero così, perché un consumatore la cui lavatrice si rompe dopo quattro anni ne comprerà una di un altro marchio. Secondo un'indagine della sua associazione dei 180 milioni di elettrodomestici nelle case tedesche, oltre 75 milioni hanno più di 10 anni.
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