Osvaldo De Paolini per Il Messaggero
John Elkann e Sergio Marchionne non si trovano a dover fare i conti solo con i fronti della politica e del sindacato. Da qualche tempo il presidente e l'amministratore delegato della Fiat debbono confrontarsi anche con la Vigilanza. La Consob ha infatti acceso un faro sulla reale consistenza della liquidità - 22,7 miliardi al 30 giugno di quest'anno - dichiarata nei bilanci del Lingotto.
JOHN ELKANN E SERGIO MARCHIONNE jpegChe qualcosa di non ordinario fosse intervenuto nei rapporti tra l'organismo di controllo e la casa torinese era apparso chiaro un paio di settimane fa. Non pochi si erano interrogati sull'attacco a freddo di Marchionne condotto lunedì 24 settembre nei confronti di una Consob divenuta, a suo dire, particolarmente assillante in tema di controlli verso le attività della casa torinese.
Osvaldo De PaoliniL'amministratore delegato della Fiat si era addirittura spinto ad affermare che una delle ragioni per le quali aveva deciso di abbandonare il progetto Fabbrica Italia era proprio l'intervento della Vigilanza. «Tra aprile 2010 e ottobre 2011 - spiegò il manager - Fiat ha ricevuto una raffica di richieste dalla Consob, 19 lettere in cui si chiedevano i dettagli finanziari e tecnici su Fabbrica Italia». Così, «giunti all'esasperazione abbiamo emesso un comunicato, era l'ottobre scorso, ritirando Fabbrica Italia e indicando chiaramente che non avremmo mai più usato quella dicitura».
Va detto che di lì a poco ambienti della Consob fecero sapere che le cose non stavano esattamente così, che nelle indagini disposte a carico della Fiat non vi era stata alcuna esasperazione e che in ogni caso le richieste di chiarimento sul progetto Fabbrica Italia erano state soltanto due.
Osvaldo De PaoliniQuell'attacco oggettivamente un po' scomposto ha, com'era ovvio, ingenerato curiosità. Certamente le pressioni eccezionali cui Marchionne era sottoposto in quei giorni erano tali da giustificare più di un gesto di puro nervosismo. Nondimeno, un'aggressione così apertamente provocatoria nei confronti dell'organismo di controllo era un invito a scavare intorno all'episodio.
Il Messaggero lo ha fatto, ed è così che si imbattuto nel lavoro degli ispettori della Consob. Non è chiaro se l'indagine sia scattata in seguito alle dichiarazioni di Marchionne o se invece fosse già in corso nel mentre esplodevano le polemiche sul caso Fabbrica Italia. Resta il fatto che sarebbe grave se emergessero anomalie sulla formazione di quella ingente liquidità e sulla sua reale consistenza.
CONSOBE' infatti su quel tesoretto fatto di linee di credito e corporate bond - accumulato grazie alla lungimiranza di Marchionne che ha saputo anticipare la grave crisi del credito e dei mercati - che si regge tutta l'impalcatura Fiat-Chrysler.
L'amministratore delegato della casa torinese ha spiegato a più riprese che parte di quella liquidità è destinata al completamento dell'acquisizione della casa automobilistica americana dalle cui casse è vietato attingere (sul punto la legge Usa è assai rigida) fino a quanto la Fiat non controllerà la totalità del capitale di Chrysler (attualmente il Lingotto ne controlla il 58,5%).
FIAT CHRYSLERHa poi spiegato, Marchionne, che una parte consistente di quei finanziamenti è invece destinata a sostenere la vendita di auto nelle sue varie forme di rateizzazione. (Un problema che però in questo momento appare meno attuale nel Vecchio Continente, vista la caduta verticale delle vendite di auto targate Fiat che ben si riflette nel progressivo scivolamento della casa torinese al fondo della classifica dei costruttori).
IL PRESIDENTE DELLA CONSOB GIUSEPPE VEGASInfine, una terza parte di quel tesoretto dovrebbe servire a finanziare le nuove iniziative rivolte all'Europa o per l'attivazione di quella porzione del progetto Fabbrica Italia ancora recuperabile.
Ecco perché sarebbe grave se la Consob dovesse scoprire, di là delle eventuali violazioni di legge, che non tutta quella liquidità è fisicamente reperibile. Naturalmente il mercato auspica che i vertici della Fiat si rendano maggiormente disponibili a collaborare con l'organismo di controllo affinché ogni dubbio venga superato. In gioco non c'è solo la loro credibilità di manager, c'è anche l'immagine di quella che nonostante tutto continua a essere la prima azienda del Paese.