olio di palma

MA ST'OLIO DI PALMA, FA MALE O NON FA MALE? - BOICOTTAGGI, PRODOTTI CHE ORMAI SPECIFICANO DI ''NON CONTENERE OLIO DI PALMA'', TERRORISMO ALIMENTARE - IN REALTÀ HA GLI STESSI EFFETTI DI ALTRI GRASSI SATURI, MA SICCOME COSTA POCO L'INDUSTRIA ALIMENTARE LO METTE OVUNQUE. E ORA I BIG CORRONO AI RIPARI CON CAMPAGNE DI PROMOZIONE

Barbara Cataldi per ''il Fatto Quotidiano''

 

La guerra dell' olio di palma s' infiamma. Alle campagne di boicottaggio lanciate da mesi su Facebook da utenti convinti di combattere un prodotto tossico e cancerogeno hanno risposto le aziende che lo utilizzano come ingrediente per biscotti, creme, gelati, pane in cassetta, crakers, shampoo, saponi e tanto altro.

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Multinazionali di peso, come Ferrero, Unilever, Nestlé, Unigrà e Assitol (che trasformano e producono oli e grassi), Aidepi e Aiipa, tutti uniti sotto l' insegna dell' Unione italiana dell' olio di palma sostenibile hanno lanciato su giornali e tv una campagna promozionale milionaria, per spiegare cos' è l' olio di palma e perché quello "sostenibile" sia migliore.

 

Le polemiche montano. Gli spot pro olio di palma hanno provocato reazioni anche in Parlamento e il M5S ha presentato un' interrogazione parlamentare in Commissione Vigilanza Rai e una segnalazione all' Agcom: "Quello andato in onda è uno spot evidentemente ingannevole perché fornisce informazioni scorrette ai cittadini".

Ma qual è la verità? L' olio di palma fa male o no alla salute?

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E perché distruggerebbe l' ambiente? La rassicurazione sull' assenza di rischi arriva dall' Istituto superiore di sanità. Secondo i suoi esperti, l' olio di palma non è né tossico né velenoso, ma poiché contiene acidi grassi saturi, come latte, uova e carne, e ne contiene tanti - l' equivalente del 50% del suo peso come il burro - è un ingrediente che va consumato con moderazione. Un uso eccessivo di grassi saturi, infatti, fa aumentare la quantità di colesterolo nel sangue ed è associato a un rischio maggiore di malattie cardiovascolari.

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In effetti, le linee guida del NutCrea (Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione) suggeriscono di consumare una quantità di grassi saturi che non superi il 7-10% dell' apporto calorico giornaliero: da 15 a 20 grammi al giorno per un adulto che consuma circa 2.000 calorie. Secondo le ultime stime dell' Iss, però, noi italiani di grassi saturi ne mangiamo troppi: la popolazione adulta ne assume in media 27 grammi al giorno, mentre i bambini tra i 3 e i 10 anni tra i 24 e i 27.

 

Ma che c' entra l' olio di palma, se noi mangiamo male? Il problema è che sta un po' dappertutto e per il consumatore risulta difficile rendersene conto. L' industria alimentare ne utilizza grandi quantità per il costo contenuto e le caratteristiche: ha giusta densità; è molto stabile; una volta purificato, cioè trattato chimicamente, è inodore, incolore e insapore. Di sicuro non è un alimento dal corretto apporto nutrizionale, ma nessuno mangiando la Nutella pensa di consumare vitamine e antiossidanti.

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L' olio di palma è contenuto per lo più in alimenti industriali e golosi che tutti dovremmo mangiare meno, a maggior ragione obesi, diabetici e bambini. Ma non per questo può essere bandito dal mercato.

 

Altra storia, invece, è quella che lega la coltivazione massiccia di palme da olio al rischio ambientale. I grassi ricavati da queste piante rappresentano il 32% della produzione mondiale. Sono utilizzati anche come biogas. I maggiori produttori risiedono in Indonesia e Malesia, e l' assenza di controlli permette a chi è senza scrupoli di mandare in fumo migliaia di ettari di foresta per aumentare l' estensione dei terreni coltivabili. "Noi non vogliamo boicottare l' olio di palma - spiega Martina Borghi di Greenpeace Italia - ma vogliamo spingere le aziende a produrre in modo responsabile e sostenibile".

 

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E aggiunge: "Le certificazione di sostenibilità non sono tutte uguali. La più vecchia Rspo, per esempio, per noi non ha alcun valore, perché non ha aggiornato le regole di controllo e non prevede l' intervento di enti terzi". Greenpeace negli ultimi mesi ha messo alla prova le multinazionali che in passato hanno annunciato di voler adottare politiche contro la deforestazione. A oggi, però, solo un' azienda ha compiuto effettivi progressi verso la trasparenza e a sostegno dei fornitori più corretti: l' italiana Ferrero.

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Colgate-Palmolive, Johnson & Johnson e PepsiCo restano tra i peggiori, nonostante tanti buoni propositi.

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