Estratto dell’articolo di Fabio Pavesi per “il Fatto quotidiano” del 29 maggio 2018
C’è solo un uomo che prima di lui ha incarnato la Fiat. Quell’uomo era Cesare Romiti e la Fiat era l’industria dell’auto per eccellenza, ma troppo piccola e troppo poco globalizzata per poter durare. Ma sarà lui Sergio Marchionne, 66 anni, al timone della Fiat, trasformatasi in colosso globale, da 14 anni quello che più ha lasciato e lascerà un’impronta profonda per come ha ribaltato le sorti di un gruppo che nessuno pensava potesse sopravvivere alla competizione mondiale delle big dell’auto.
L’ha presa in mano nel lontano 2004 quando era sull’orlo del crac; l’ha rivoltata come un calzino. Ma soprattutto le ha fatto fare il balzo storico: sganciarsi di fatto dall’Italia, diventare uno dei colossi globali e con il cuore e i profitti sempre più Oltreoceano. La Fiat con lui, l’uomo con il maglione, è diventata Fca, dopo che il finanziere di origine canadesi ha compiuto il salto dimensionale con l’acquisizione della Chrysler.
JOHN ELKANN - MONTEZEMOLO - SERGIO MARCHIONNE
Un capolavoro industrial-finanziario che ha permesso a Fca di penetrare nel ricco mercato statunitense, quel mercato che ha permesso al gruppo di raddoppiare negli ultimi anni del suo mandato (lungo ormai 14 anni) la redditività industriale […]
[…] Quando prese le redini del gruppo la vecchia Fiat perdeva a bocca di barile: dal 2001 al 2004 aveva cumulato 8 miliardi di perdite ed era di fatto in mano alle banche. Il ristrutturatore Marchionne ha subito messo mano alla gestione. Gli utili si sono rivisti già dal 2005. Ma il vero coup de teatrè, quello che ha cambiato pelle e storia al gruppo è la scommessa americana. Rilevare la Chrysler in grave crisi come via d’accesso al ricco mercato Usa […]
[…] L’area Nafta (Usa, Canada) è la vera punta di diamante del gruppo. I successi vengono dalle Jeep e dai pick up venduti in terra d’America. Lo dicono i numeri del bilancio. Oltre metà dei 110 miliardi di fatturato del gruppo vengono da Oltre Atlantico. L’Europa allargata (Emea) fa solo un terzo del fatturato del Continente Nordamericano.
Non solo ma la redditività operativa è ben diversa. Usa e Canada hanno un margine sul fatturato all’8% contro il 3,2% europeo, superato anche dall’area asiatica che ha marginalità operativa oltre il 5%. I gioiellini di casa Marchionne quanto a valore sono i marchi Jeep e Ram, oltre al brand di lusso della Maserati. Oggi Fca è attesa a chiudere il 2018 con 5 miliardi di utili netti e un utile operativo al 7% dei ricavi […]
[…] Ma l’epopea del brillante Marchionne conosce anche una zona d’ombra. Il risanatore per eccellenza non è mai riuscito a produrre utili in quella che una volta era la vecchia Fiat auto. La Fca Italy che ne ha preso l’eredità resta una macchia nel curriculum di Marchionne. La società di fatto raggruppa le attività industriali in Italia, Europa, Turchia e Sudamerica ed è un pozzo senza fondo di perdite. Da sempre. Nel 2017 ha dimezzato le perdite a 600 milioni rispetto alla perdita 1,1 miliardi nel 2016. Un filo meglio del buco da 1,6 miliardi del 2015. Dal 2012 almeno le perdite viaggiano ogni anno sopra il miliardo abbondante […]
[…] Nonostante i ricavi in forte crescita passati da 16 miliardi a 29 miliardi in soli 6 anni, la “vecchia” Fiat Auto non riesce a chiudere in profitto. I costi superano puntualmente i ricavi. Il gruppo è anche dovuto intervenire più di una volta a rimpolpare il capitale mangiato dalle continue perdite. Solo nel 2016 sono stati immessi nel capitale di Fca Italy 3,5 miliardi. Chissà forse il primo utile arriverà.
Gli analisti dubitano fortemente dato che secondo le stime di Goldman Sachs i marchi Fiat e Lancia chiuderanno con utili operativi in perdita anche nel 2019. La stessa Alfa Romeo è previsto che lavori in perdita anche nel 2018. E ora ecco arrivare l’annuncio: Fca lascerà di fatto l’Italia. Fiat e Punto traslocheranno in Polonia mentre in Italia resteranno le produzioni di gamma alta. Un disimpegno figlio di quell’incapacità di risollevare le sorti della vecchia Fiat auto.
Marchione qui non ha fatto il miracolo. Si consola però: il manager con passaporto elvetico tolti gli emolumenti annui che ormai sfiorano i 10 milioni di euro e il ricco bottino in stock options possiede quote intorno all’1% del capitale sia di Fca, sia di Ferrari che di Cnh. È il suo tesoretto personale che oggi vale ben oltre 600 milioni di euro.
Il finanziere con il maglione ha scommesso su se stesso e ha vinto. Non hanno vinto quei lavoratori italiani di Fca cui si chiede ancora oggi l’ennesimo giro di cassa integrazione in un gruppo che ha prodotto utili per 3,5 miliardi l’anno scorso in crescita del 93% sui già copiosi profitti del 2016.