Davide Casati per “Il Corriere della Sera”
Indietro veloce, stop. Sei agosto 1997, Boston. Dal palco del MacWorld, Steve Jobs annuncia, a una platea rumorosamente delusa, un accordo con la sua nemesi, Microsoft. I Mac si sarebbero aperti ai prodotti del colosso di Bill Gates (sorridente, nel videocollegamento, e con libreria da secchione alle spalle) in cambio di 150 milioni di dollari: un salvagente finanziario lanciato a un’azienda, Apple, sull’orlo della bancarotta.
L’anno dopo, Vanity Fair intervista Gates. L’autore dell’articolo, Mark Stephens, rivelerà al New York Times che il fondatore di Microsoft «non riusciva neppure a immaginare una Apple più grande e redditizia della sua azienda».
Avanti veloce: 26 maggio 2010. Jobs è malato, poco dopo un tumore se lo porterà via. Ma negli ultimi anni ha trasformato Apple, sfornando prodotti di incredibile successo: iPod, iPad, iPhone. Così, insieme al suo braccio destro Tim Cook, in azienda dal ‘98, festeggia l’impensabile: il sorpasso di capitalizzazione su Microsoft.
Avanti ancora: 27 gennaio 2015. Cook, ormai a capo di Apple, annuncia «un risultato storico». Nell’ultimo trimestre 2014, l’azienda di Cupertino ha guadagnato 18 miliardi di dollari, più di ogni altra nella storia del pianeta Terra. Ha venduto quasi 10 iPhone 6 al secondo , notte e giorno, per tutto il trimestre. E soprattutto, ha più che doppiato Microsoft in valore: 683 miliardi di dollari a 338.
Per molti versi, quanto accaduto è «figlio» di Jobs. Ma da quando è al timone, il timido Cook ha convinto chiunque diceva che non sarebbe riuscito a ripetere le magie del cofondatore di Apple. Cinquantaquattro anni, amante della forma fisica e della privacy (quando, il 29 ottobre 2014, rivelò di essere gay, lo fece «solo per mettere un mattone lungo il sentiero della giustizia, un sentiero che costruiamo insieme»), Cook ha modi meno abrasivi di quelli di Jobs.
Si arrabbia, ma senza sfuriate e per motivi che molti imprenditori riterrebbero futili: quando un azionista gli consigliò di piantarla di finanziare la lotta al riscaldamento globale e di badare ai profitti, gli rispose che se queste erano le sue idee avrebbe fatto meglio a investire altrove. Invia mail (di lavoro) alle 4:30 del mattino, e in un discorso all’università di Duke del 2013, il «genio che sta dietro a Steve» (come lo aveva definito, nel 2008, Fortune ) spiegò che per far funzionare un’azienda servono tre cose: persone, strategia, esecuzione. «Se le azzecchi, il mondo è un posto fantastico», disse.
Non è una frase da libro delle citazioni come lo «Stay hungry, stay foolish» di Jobs: ma funziona.
Il risultato è molto più di un consolidamento di mercato: è la reinvenzione di un’azienda. Ottenuta a modo suo: tenendo fede alla visione di Jobs — che voleva non un pc su ogni scrivania, come Gates, ma un bel computer in ogni tasca — e uscendo dall’immenso cono d’ombra del cofondatore di Apple. Non ha avuto paura di «cannibalizzare» i suoi prodotti (prendete l’iPhone 6 e chiedetevi perché, con un telefonino del genere, qualcuno dovrebbe comprarsi un tablet) e di andare contro le volontà del suo predecessore (che mai avrebbe voluto un telefonino grande come iPhone 6:e aveva torto).
Stando alle parole del suo biografo, Walter Isaacson, Jobs aveva intuito chi avesse di fianco: «Sapeva che Tim non si sarebbe alzato ogni mattina cercando di pensare a che cosa avrebbe fatto Steve».
La domanda, ora che Cook ha risposto (bene) a quella sulle sue abilità, è: potrà durare? Non ci sono risposte certe, specie nel mondo ad alta infedeltà della tecnologia. Ma gli indizi sono molti. Pur essendo l’azienda più grande del mondo, Apple non ha quote di mercato dominanti in nessuno dei settori nei quali si trova. E i nuovi prodotti presentati a settembre non sono ancora stati introdotti in tutto il mondo (il sistema di pagamento Apple Pay: dove c’è, va alla grande) o non sono ancora arrivati (Apple Watch). Nessuno sa se avranno il successo di iPhone. Quel che è certo è che Cook è già riuscito in un’impresa che sembrava impossibile, quella di non far rimpiangere Jobs. E non ha intenzione di smettere.