Massimo Amato, economista esperto di Franco Coloniale, sulle monete parallele
Annalisa Cuzzocrea per www.repubblica.it
Massimo Amato insegna "Storia, istituzioni e crisi del sistema finanziario globale" all'Università Bocconi di Milano. Conosce l'Africa, in particolare le ex colonie francesi in cui la moneta è il Cfa, per ragioni di studio e personali. E collabora con vari economisti africani, "quelli seri - dice - come Kako Nubukpo, ex dirigente della Banca centrale africana, non gli agitatori panafricanisti".
Professore, lei è al corrente di essere diventato il guru del Movimento 5 stelle e di esponenti di governo come Luigi Di Maio su Africa e migrazioni?
"Sono al corrente del fatto che il mio nome viene fatto e non sempre in un modo che mi convince".
In una trasmissione televisiva le sue tesi sono state citate dal sottosegretario M5S agli Esteri Manlio Di Stefano. Ancor prima, lo aveva fatto Gianluigi Paragone, che ha detto di essere stato il primo. Anche se pare l'abbia preceduto Giorgia Meloni, almeno con la storia del franco.
"Guardi, questa vicenda è cominciata dopo una mia intervista alla trasmissione di Rai2 Night Tabloid che mi è costata quindici giorni di rettifiche".
È stato travisato?
"Diamine, direi di sì. Paragone riprendendo le mie parole aveva detto una cosa che non sta né in cielo né in terra, e cioè che quando doniamo 10 euro agli africani poveri 5 se li pappano i francesi. È più che una bufala. Per questo, per chiarirlo, ho dato un'intervista ad Altraeconomia".
E quindi non è tutta colpa della Francia e del Cfa, se le persone partono dall'Africa per fuggire da guerre, carestie, persecuzioni?
"Non c'è nessun vantaggio strettamente economico della Francia a gestire il franco Cfa. Anzi, ci sono un po' di costi. E non c'è un rapporto diretto con l'immigrazione. Le statistiche che sono state fatte vedere, per quanto opinabili, hanno dimostrato che la maggior parte dei migranti che arrivano da noi non provengono da quei Paesi. Quindi, non possiamo inferire che se non ci fosse il franco cfa non ci sarebbero gli immigrati".
E non possiamo neanche dire che è l'unica ragione della povertà in Africa, o sbaglio?
"E chiaro che non ci sono una monocausa e un unico effetto".
Mi scusi, è chiaro per lei, ma non per chi ha sentito parlare il vicepremier Luigi Di Maio negli ultimi giorni.
"Ho sentito, ma già Di Battista a Che tempo che fa ha usato espressioni più sfumate, e anche Di Stefano. Quel che voglio dire è che se anche queste forzature non mi appartengono, il problema del Cfa per quei Paesi esiste. Affermare che gli immigrati muoiono perché la Francia è cattiva è come minimo un cortocircuito, se c'è la buona fede. Sennò è anche peggio".
Sinceramente sembra un modo per non pronunciarsi sui porti chiusi da Matteo Salvini e sulle conseguenze nefaste del decreto sicurezza, come dimostrano gli sgomberi di questi giorni.
alessandro di battista con il franco delle colonie
"Questo però non c'entra con i miei studi. Che sposano quelli di molti economisti africani, della parte più illuminata e volenterosa nel promuovere il cambiamento, secondo cui il franco cfa va superato. Perché è vero che è un sistema che preserva dall'inflazione, fa arrivare capitali e protegge dall'instabilità. Ma è anche vero che così facilita i ricchi, chi può permettersi di aprire conti all'estero e comprare case a Parigi, e gli investitori stranieri come la Cina. Non certo un povero africano che vuole metter su una sua attività. Ci sono dei benefici e dei costi, e in economia si deve fare un bilanciamento".
I costi superano i benefici?
"Se a Paesi sottosviluppati diamo una moneta forte, questo rende certa la loro permanenza del limbo dei non sviluppati. L'economista del Togo Kako Nubukpo ha intitolato il suo libro 'La servitù volontaria', perché non sempre i tiranni hanno bisogno di usare la forza".
Quindi secondo lei la Francia fa politiche neocoloniali in Africa?
"Dipende da cosa intendiamo per colonialismo e da quanto vogliamo essere formalisti".
E a sfruttare l'Africa sarebbe solo Parigi?
"Certo che no, l'Africa in questo momento è oggetto di una lotta per la spartizione estremamente sotterranea che rischia di diventare feroce. La Russia è in Centr'Africa e lo abbiamo scoperto perché tre giornalisti russi sono stati trovati morti. I cinesi ci sono da vent'anni e hanno ormai il monopolio su alcune materie prime per i prossimi trenta. Gli americani hanno fatto e disfatto. Gli europei si sono difesi benissimo tra belgi e francesi anche dopo le indipendenze dei Paesi che controllavano. Possiamo aggiungere i canadesi".
E gli italiani?
"Ah bè, hanno fatto anche loro quello che potevano. Mi sembra ci siano anche delle inchieste sull'Eni al riguardo".
Allora che senso ha dare tutta la colpa alla Francia?
"Guardi, io sono per smettere di fare del moralismo. Serve un new deal, un nuovo patto con l'Africa, dove ci sono dinamiche demografiche che vedono il raddoppio della popolazione ogni 25 anni. Se non raddoppiano anche i posti di lavoro, raddoppiano i disoccupati. Serve sviluppo, e non può farlo la Francia con il passato che ha. I vecchi Stati non possono essere il soggetto di questo new deal".
E chi può esserlo?
"Parafrasando Kissinger, se ci fosse un telefono, il numero da chiamare sarebbe quello del ministro degli Esteri europeo. Che purtroppo non c'è".