Luca Fornovo e Gianluca Paolucci per "la Stampa"
ILLUSTRAZIONE - LA BANK NON STA IN PIEDIUn foglio in formato Excel zeppo di numeri e sigle spiega meglio di tante analisi perché la Grecia non deve fallire e perché Dexia verrà salvata grazie all'intervento pubblico per la seconda volta in tre anni. Ma mostra anche che i salvataggi di tre anni fa non hanno di certo risolto i problemi, dato che i protagonisti sono gli stessi per la crisi del debito in corso come per quella innescata nel 2007 dai mutui subprime.
papandreouSi tratta di un documento ad uso interno redatto da una importante banca d'affari internazionale, in possesso de La Stampa, nel quale viene ricostruita puntualmente l'esposizione delle principali banche di ciascun Paese verso Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna. I titoli di Stato e anche i prestiti, gli impieghi, i contratti di finanza derivata come i famigerati Cds, le «assicurazioni» contro il fallimento di un emittente. Il totale, per i soli titoli di Stato, fa 750 miliardi di euro. Dal documento, emerge chiaramente che il sistema non può permettersi né un fallimento di Dexia né un fallimento «formale» della Grecia, fallimento che da un punto di vista sostanziale è già avvenuto nel momento in cui i suoi bond pagano rendimenti stellari, nell'ordine del 70% per cento.
DexiaAndiamo con ordine. Dexia, importante banca «sistemica» a cavallo tra Francia, Belgio e Lussemburgo, dovrà essere salvata dalla mano pubblica per la seconda volta dal 2008. Sospesa in Borsa fino a lunedì, tra oggi e domani se ne conoscerà il destino e quanto costerà ancora ai contribuenti francesi e belgi. Il timore legato al «caso Dexia» è molto semplice e si chiama «effetto valanga». Se «salta» la banca francobelga, potrebbe innescare una serie di fallimenti bancari a catena. Il problema delle banca è legato strettamente alla crisi dei debiti sovrani europei, verso i quali è fortemente esposta.
il premier silvio berlusconi e ministro giulio tremontiIl problema non è però solo di Dexia. Dalle elaborazioni, emerge ad esempio un'esposizione verso i bond greci di 16,4 miliardi di euro da parte della Landesbank Berlin, che fa della relativamente piccola banca berlinese - promossa peraltro a pieni voti dagli stress test europei dell'Eba dello scorso luglio, con un Core Tier1 post test oltre il 10% - di gran lunga l'istituto più esposto al rischio-Atene tra tutte le banche europee. Sempre in Germania, ad avere qualche grattacapo è anche Commerzbank, altra banca già «salvata» dai contribuenti, in questo caso tedeschi.
Oltre 3 miliardi di esposizione verso i titoli di Stato greci e oltre 17 miliardi di esposizione complessiva verso i «Piigs». Esposizione zero verso la Grecia ma oltre 11 miliardi complessivi verso i Piigs per Hypo Re, ancora una banca già salvata dai contribuenti. Le stesse fonti riferiscono che i dati tengono conto anche delle posizioni di trading, che potrebbero essere state liquidate negli ultimi tre mesi.
E infatti le banche tedesche hanno ridotto in maniera sostanziale la loro esposizione complessiva al rischio-Grecia nei tre mesi chiusi al 30 settembre, scendendo a dieci miliardi di euro. Ma il dato della Landesbank Berlin, relativo al 30 giugno scorso, spiega da solo tutti i dubbi del mercato sull'affidabilità dei test condotti con grande enfasi nello stesso periodo. Neppure le banche francesi possono permettersi un fallimento della Grecia, né tantomeno dell'Italia. Al 30 giugno, ad esempio, Bnp Paribas aveva 5 miliardi di bond di Atene in portafoglio e altri 3,5 miliardi di impieghi verso istituzioni, cittadini o aziende greche.
BNP PARIBAS logoCredit Agricole, con appena 655 milioni di Sirtakibond, paga però il fatto di aver comprato nel 2006 la Emporiki Bank e ha impieghi per oltre 25 miliardi. Va detto che Bnp, che controlla Bnl, almeno fino al 30 giugno non credeva possibile manco lontanamente un fallimento dell'Italia, dato che risulta «venditore netto» di Cds legati al rischio-Italia per 462 milioni di euro. Mentre «comprava» (cioè si proteggeva dal rischio) 108 milioni di Cds sulla Grecia.
Tra le britanniche, c'è il caso di Royal Bank of Scotland. Ha ricevuto una montagna di fondi pubblici, è controllata dal Tesoro britannico, ma rischia di nuovo di dover essere salvata dai contribuenti. Il ministro del Tesoro, George Osborne, si è precipitato ad affermare che le banche del Regno Unito sono in una «situazione diversa» rispetto a quelle dell'area euro. Dipende dai punti di vista: ha in pancia 1,1 miliardi di bond greci.
GEORGE OSBORNEE impieghi complessivi per 92 miliardi verso i Piigs. Forte di una rete commerciale solida in Italia e Spagna, Barclays ha invece impegni per 77 miliardi nei Piigs. Oltre a 10 miliardi di bond sovrani di questi Paesi. Hsbc, che soldi dei contribuenti non ne ha mai ricevuti, è ancora la più grande banca del mondo e ha in portafoglio bond sovrani dei Piigs per «appena» 5,8 miliardi, compresi i nostri Btp. Soldi pubblici ne prese anche l'olandese Ing. Dieci miliardi nell'ottobre del 2008.
Racconta un banchiere dell'atteggiamento di sufficienza dei suoi manager, nel corso dell'assemblea del fondo monetario a Washington del mese scorso, nei confronti dei colleghi italiani e spagnoli e del ruolo dei rispettivi Paesi nell'eurozona. Nel suo portafoglio ci sono 8,9 miliardi di titoli dei «periferici». E in Italia, a fronte di impieghi scarsi, grazie al Conto Arancio fa invece molta raccolta.
passeraTornando a Dexia, se passerà il piano di scorporare gli asset «tossici» in una bad bank, sarà interessante vedere se finirà in quel pacchetto anche l'esposizione all'Italia. Si tratterebbe di 15 miliardi di titoli di Stato su 21,8 miliardi totali verso i Piigs. Più 777 milioni di altra esposizione sempre al livello «sovrano» (garantita cioè dallo Stato italiano) e 27,8 miliardi di impieghi.
L'attività di Dexia in Italia, ha spiegato il suo ad Stefano Catalano, «è un'attività legata al finanziamento degli enti locali italiani. Gli enti locali italiani hanno dei sistemi di garanzia che sono le delegazioni di pagamento: la banca tesoriera dell'ente locale trattiene presso di sé le finanze per far fronte ai debiti che l'ente locale ha contratto, è un sistema molto solido e l'attivo è composto da questo». Quanto avrà ragione, lo vedremo in questo fine settimana.
HSBCSegnali d'allarme Italiane e spagnole, grandi e piccole, scontano la forte esposizione «domestica» a fronte di posizioni molto basse o nulle di esposizione verso i grandi malati dell'Eurozona, Grecia in primis ma anche Irlanda e Portogallo. E magari colgono per tempo i segnali giusti. Al 30 giugno Intesa Sanpaolo risultava «compratore netto» di Cds legati al rischio sovrano sull'Italia per 55 milioni. Si «proteggeva» contro un aumento della tensione sui Btp. Scelta, col senno di poi, azzeccata.