Fabio Pavesi per “Dagospia”
C’è un grande assente in quella foto di famiglia che (tardivamente) i giornali continuano da giorni a pubblicare. I 4 fratelli Benetton, da Luciano, a Gilberto a Giuliana fino a Carlo, scomparso lo scorso luglio saranno anche la raffigurazione iconica della dinastia trevigiana che ha scalato partendo dal nulla i vertici della finanza italiana, ma manca lo stratega, la mente finanziaria di Edizione la holding della potente famiglia veneta.
Lui Gianni Mion, il grande assente, classe ’43 da Vò, paesino in provincia di Padova è il vero artefice della trasformazione industrial-finanziaria di quella che all’inizio era solo un’azienda di maglioncini. Mion per oltre un quarto di secolo ha guidato da amministratore delegato, e poi dal 2012 da vicepresidente, la mirabolante metamorfosi di Edizione, il cuore dell’impero.
Entrato nel lontano ’86 sulla tolda di comando della finanziaria ne è uscito definitivamente nel 2016. Trent’anni in cui sotto la sua guida i Benetton da piccoli imprenditori dell’abbigliamento sono diventati una delle famiglie più potenti del Paese.
È lui che ha capito ante litteram che entrare nei business regolati e partecipare alla grande abbuffata delle privatizzazioni era la strada maestra per conquistare ricche rendite di posizione.
Del resto la sua carriera pre-Edizione, da semplice revisore contabile per una big four americana a direttore finanza di Marzotto ma soprattutto dirigente della Gepi la ex finanziaria pubblica gli aveva insegnato che quella torta delle ex partecipate pubbliche era un boccone ghiotto.
La prima grande occasione ce l’ha nel ’95. Privatizzazione della Sme che ha in pancia Autogrill e la rete dei supermercati Gs. Autogrill che serviva allora in modo pressochè esclusivo gli utenti della Autostrade sarà un successone.
La quota in Borsa nel ’97 e comprende che il futuro è nell’espansione all’estero. Sbarca negli Usa e fa diventare Autogrill un leader mondiale della ristorazione sulle rete autostradali e negli aeroporti.
La Gs verrà invece venduta con laute plusvalenze ai francesi di Carrefour. L’esperienza su Autogrill gli fa mettere gli occhi su Autostrade. Lì realizza il colpo della vita per i Benetton. Tuttora infatti più della metà dell’attivo di tutta Edizione Holding è composto da Autostrade, poi divenuta Atlantia.
L’operazione è da maestro dell’ingegneria finanziaria. Mettere pochi soldi, indebitarsi e scaricare poi il debito contratto dai Benetton con le banche sulla società acquisita. Un capolavoro delle operazioni a leva che permette alla famiglia trevigiana di comprarsi a tappe il controllo di Autostrade di fatto a costo zero.
vignetta krancic oliviero toscani difende i benetton
Ecco in sintesi l’operazione. Attraverso la scatola Schemaventotto, Edizione nel 2000 acquisisce il 30% di Autostrade che Iri privatizza. L’esborso, come ha ben documentato Giuseppe Oddo su dati di R&s Mediobanca, fu di 2,5 miliardi di euro, dei quali 1,3 miliardi di mezzi propri e 1,2 miliardi presi a prestito.
Il secondo passaggio avviene nel gennaio 2003, quando un altro veicolo finanziario controllato da Schemaventotto, denominato NewCo28, rilevò con un’Opa totalitaria il 54% di Autostrade per 6,5 miliardi. In tal modo NewCo28 incorporò Autostrade scaricandole il debito che aveva contratto per finanziare l’Offerta. Per i Benetton l’operazione si chiuse a costo zero.
Schemaventotto tra il 2000 e il 2009 prelevò infatti da Autostrade 1,4 miliardi di dividendi, tutti generati da utili, e ne collocò in Borsa il 12% con un incasso di altri 1,2 miliardi. Il ricavato totale fu di 2,6 miliardi di euro. I Benetton, spiega ancora Oddo, sono pertanto rientrati dal debito, hanno recuperato i mezzi propri investiti, e la loro partecipazione nella società vale oggi svariati miliardi.
Un’operazione da manuale del leverage buy out. E in fondo tutte le operazioni congegnate dall’amministratore delegato di Edizione ricalcano lo schema. Pochi capitali quel tanto che basta, messi all’inizio con dei veicoli finanziari con partecipazioni in cordata con altri dove però i Benetton hanno la quota di maggioranza. I veicoli si indebitano per poi scaricare il debito sulla società operativa acquisita che ha come per Autostrade la particolarità di avere forti e stabili flussi di cassa.
la famiglia benetton su vanity fair
Così facendo l’esposizione debitoria con le banche viene trasferita ai piani di sotto, liberando la cassaforte di famiglia dal debito. Autostrade è l’esempio eclatante. Schemaventotto che acquisì nel 2000 il 30% della società autostradale aveva Edizione azionista al 60% seguita dai compagni di viaggio della Fondazione Cassa di risparmio di Torino con il 13%, presieduta allora da un altro protagonista eccellente Fabrizio Palenzona che con il business autostradale non sono con i Benetton ma anche con i Gavio costruirà molta della sua fama di banchiere politico, poi Ina (oggi Generali) e UniCredit con il 6,7% ciascuno.
i meme sui benetton e il crollo del ponte di genova
L’Opa successiva del 2003, che impegna 6,5 miliardi, è fatta a debito. I Benetton si ritrovano con il controllo maggioritario della società, mentre Autostrade si ritrova con i Benetton padroni di fatto e sul gobbone un debito monstre che caratterizzerà la società da allora fino a giorni nostri. Autostrade infatti nel 2017 ha debiti finanziari per oltre 11 miliardi tra banche e obbligazioni su cui paga ogni anno interessi per quasi mezzo miliardo, più del costo annuo degli investimenti operativi.
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Non soddisfatto Mion e Gilberto Benetton, i registi finanziari della famiglia, mettono gli occhi sugli aeroporti. Prima comprandosi Gemina che ha in pancia gli Aeroporti di Roma. Nel 2013 Atlantia incorpora definitivamente Adr. Ma la passione per un altro business con alti margini come quello aeroportuale non finisce con Fiumicino.
Di recente Edizione è andata all’attacco degli aeroporti della Costa Azzurra acquisendoli nel 2016 per un controvalore di 1,3 miliardi. E poi una quota nell’aeroporto di Bologna e in Save. C’è solo una grande nota stonata nel genio finanziario di Mion. Quella nota è l’ingresso nel capitale di Telecom Italia da parte dei Benetton. Avventura chiusasi male a distanza di anni con una minusvalenza di oltre un miliardo.
E non è casuale che l’unico grande investimento boomerang sia stato proprio sul colosso telefonico. Lì, in quel mercato la concorrenza è formidabile. I prezzi e i margini sono in costante discesa da tempo. Non è un monopolio naturale come Autostrade o un business con alti afflussi di traffico e passeggeri come Autogrill o gli aeroporti. Nessuna bacchetta magica quindi per Mion, ma lo scivolone su Telecom non appanna di certo un grande fiuto per le operazioni su mercati di rendita e con un uso spregiudicato della leva finanziaria.
Basta del resto guardare alla Edizione di oggi, quella che ha costruito Mion in un quarto di secolo. Un gruppo da 12 miliardi di ricavi annui, di cui metà fatti in Italia e l’altra metà in giro per il mondo. Con un margine industriale lordo che cresce più del fatturato e vale oltre il 30% del monte ricavi.
Che ha sfornato, solo negli ultimi 5 anni utili netti per la famiglia per oltre 2,5 miliardi. Non solo in Edizione nel bilancio civilistico c’è cassa oggi da spendere per oltre 1,5 miliardi. Tutti i debiti sono nelle società operative a valle. Debiti imponenti che a livello consolidato valgono per Edizione oltre 18 miliardi tra obbligazioni e banche. E sui si pagano ogni anno 900 milioni di oneri finanziari.
È il capolavoro di Mion: business ad alto reddito, protetti, che consentono con i loro margini di sostenere debiti ingenti che in altri contesti sarebbero ingestibili. E con la famiglia che con poco capitale proprio si trova a ricevere ogni anno dividendi plurimilionari. La rendita per eccellenza. Per la famiglia nata con i maglioncini la metamorfosi targata Mion non poteva che essere più radicale.
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