1. PER IL FUTURO DI MONTEPASCHI SPUNTA L'IPOTESI BANCOPOSTA. DOSSIER SUL TAVOLO DEL GOVERNO
Claudio Tito per ''la Repubblica''
Il risiko delle banche italiane è partito. Bpm e Banco Popolare sono a un passo dalla fusione. Tanti istituti di credito di medie e piccole dimensioni sono davanti ad un nuovo futuro. Ma c'è un caso che sta diventando più decisivo di tutti gli altri. È quello del Monte dei Paschi di Siena. E nel suo orizzonte sta spuntando un nuovo protagonista: le Poste, o meglio il BancoPosta.
Proprio il matrimonio tra la Popolare di Milano e il Banco ha infatti impresso un'accelerazione alle vicende senesi. Fino a pochi giorni fa l'idea che si stava facendo largo tra i palazzi della finanza e in quelli del governo si basava proprio sulla sinergia tra Bpm, Ubi e appunto Mps. Il progetto, però, è fallito. Sulla linea che unisce Palazzo Chigi e Tesoro, allora, si sta iniziando a valutare un'alternativa. Il coinvolgimento della società guidata da Caio.
Le vecchie poste, del resto, sono ormai solo un ricordo. In parte sono state di recente privatizzate. Ma soprattutto il bilancio è ampiamente egemonizzato dai prodotti finanziari della divisione bancaria e non più dalle tradizionali attività. Basti pensare che sono quasi 5 milioni i "correntisti" postali. La sua rete, capillare molto più di una banca, può contare su quasi 14 mila sportelli, di cui almeno la metà sono in grado di gestire tutte o quasi le prestazioni di una filiale bancaria.
Nelle stanze dell'esecutivo, quindi, nelle ultime ore è arrivato un nuovo dossier. Che riguarda appunto il possibile rapporto tra Mps e Poste. Un'ipotesi che i diretti interessati stanno ancora studiando. Ma che ha trovato fin dalle prime analisi alcune risposte convincenti.
Ci sono infatti alcuni presupposti da cui partire. Il primo: le principali banche del nostro Paese hanno dichiarato la loro contrarietà ad una acquisizione "sic et sempliciter" di Mps. Lo ha fatto Intesa. E lo ha fatto anche Unicredit che per fondersi con il Monte dovrebbe procedere ad una pesante ricapitalizzazione. Una strada piuttosta impervia visti gli andamenti recenti dei mercati finanziari e dei titoli bancari in Borsa.
Secondo: Mps è il terzo istituto per volume di impieghi di denaro, per dipendenti e per numero di sportelli (concentrati soprattutto in Toscana).
Il terzo: la campagna dei buoni fruttiferi di Poste ha riscosso negli ultimi mesi un successo inaspettato. A dicembre ha raggiunto quasi quota due miliardi. E molte di quelle risorse - che ora vanno investite attraverso la Cassa Depositi e Prestiti - provenivano proprio dai correntisti in fuga dalle banche in difficoltà.
Quarto: il Tesoro ha già un piede in Mps. Ne detiene, come eredità dei cosiddetti Monti-bond, ben il 4 per cento. Tutti questi fattori stanno giocando un ruolo nel favorire l'intervento di Poste e quindi anche di CDP. Dal punto di vista industriale, infatti, la società di Caio è interessata a rafforzare il suo profilo finanziario che sta diventando sempre più prevalente.
Ma nelle analisi in corso nell'esecutivo, l'operazione potrebbe prevedere anche altri soggetti. Poste, insomma, non agirebbe da sola. Nelle trattative condotte in questi mesi con diversi interlocutori, infatti, è stato registrato sempre un dato: l'interesse per i crediti di Mps.
Il Monte è la prima banca italiana per "crediti cattivi", quelli in sofferenza. Eppure la loro "qualità" (al di là della circostanza di non poterli conteggiare con precisione perchè non informatizzati) non viene considerata così negativa. La cessione a un altro soggetto (o più di uno) potrebbe dunque aiutare l'ingresso in Mps anche ai fini del giudizio che dovrà dare l'Unione europea. Perchè è evidente che tutto resta condizionato alla necessità - per una società sostanzialmente pubblica - di non valicare i confini degli "aiuti di Stato".
Anzi, nel dossier arrivato sulle scrivanie più importanti del governo, si ipotizza anche un'altra possibilità: che altri player disinteressati ad una totale acquisizione possano rientrare in gioco ad esempio su alcuni aspetti specifici di Mps. Le quattro "nuove banche" che nasceranno dalle ceneri di Etruria, Carife, CariChieti e Marche, potrebbero trovare una nuova vita con Mps e attraverso il sostegno più solido di Poste e Cdp. O ancora: Unicredit ha una presenza poco diffusa in Toscana. E potrebbe essere interessata ad una parte delle filiali del Monte proprio in quella regione.
Il risiko, ovviamente, dipenderà anche dalle scelte che il governo compierà con la riforma del credito cooperativo. Il provvedimento sarà approvato dal consiglio dei ministri venerdì prossimo. Conterrà anche l'accordo sulla "bad bank" raggiunti nei giorni scorsi a Bruxelles e nuove norme per sveltire le procedure concorsuali
E contestualmente verranno definite le regole per rimborsare gli obbligazionisti di Etruria e delle altre tre banche. Tre i criteri principali: saranno privilegiati chi ha una situazione patrimoniale debole e chi ha concentrato tutti i risparmi in quelle obbligazioni subordinate. Ma sarà escluso chi ha comprato quei titoli attraverso Sim esterne, in grado di procedere al rimborso.
2. TUTTI I GUAI DELLA BANCA CHE DEVE SALVARE MPS
Giacomo Amadori Leonardo Piccini per ''Libero Quotidiano''
Non sono bastate le proteste dei risparmiatori della Popolare dell' Etruria a consigliare maggiore prudenza al premier Matteo Renzi e al ministro dell' Economia Pier Carlo Padoan. Infatti per salvare il disastrato istituto senese del Monte dei Paschi di Siena hanno bussato alla porta di Victor Massiah, l' amministratore delegato di Ubi Banca, la terza banca commerciale italiana.
Che con la fusione raggiungerebbe sì i 3.750 sportelli, ma anche, stimano gli analisti, un deficit patrimoniale di 2 miliardi. Ubi non è una banca qualunque: è strettamente collegata al banchiere Giovanni Bazoli che di Ubi è stato fondatore, membro del consiglio di sorveglianza e, secondo alcune inchieste, burattinaio delle nomine della governance attraverso patti parasociali occulti. Il tutto mentre era presidente del consiglio di sorveglianza pure di una banca concorrente, Intesa San Paolo. Bazoli è il campione di quel "capitalismo di relazione" che negli ultimi mesi Renzi, a parole, ha bocciato senza appello.
Ora il governo chiede aiuto alla «Bazoli' s Bank» (definizione di Mario Giordano). Una decisione che presto potrebbe creare qualche imbarazzo, pure in Borsa. Infatti Ubi e i suoi vertici negli ultimi mesi sono finiti sotto indagine in almeno quattro procure: Milano, Bergamo, Cuneo e Pisa. Gli inquirenti impegnati da più tempo sono quelli orobici: il pm Fabio Pelosi ha praticamente chiuso le sue investigazioni (il 28 gennaio e il 23 marzo le date di scadenza delle ultime due proroghe).
Nel maggio del 2014 quindici dirigenti, da Massiah, a Bazoli, da Franco Polotti (presidente del consiglio di gestione) al suo predecessore Emilio Zanetti, sono stati sottoposti a perquisizione per reati diversi, dalla truffa al riciclaggio, dalla violazione della norma che regola il conflitto di interessi all' ostacolo all' attività di vigilanza. In particolare il sostituto procuratore Pelosi nel decreto parlava «di una serie di condotte illecite tese a sottrarre beni societari in danno del medesimo gruppo bancario». Nel febbraio del 2015 le Fiamme gialle sono nuovamente intervenute, questa volta per illecita influenza sull' assemblea, contro gli stessi Massiah, Bazoli, Zanetti, Polotti e altri diciassette. Il fascicolo che accorpa i due filoni non è ancora stato chiuso. «Le indagini sono in fase di proroga» confermano in procura. E le imminenti scadenze dei termini?
«Teoricamente si potrebbe andare avanti per giusta causa, ma a questo punto l' indagine è completa. La stiamo concludendo di fatto e di diritto». Parole che lasciano presagire un prossimo avviso di chiusura indagini, propedeutico a una richiesta di rinvio a giudizio. Ma se la procura di Bergamo è in dirittura di arrivo, quella di Milano il 3 dicembre scorso ha inviato gli uomini del Nucleo valutario della Guardia di finanza negli uffici della Iw bank private investments del gruppo Ubi per consegnare 12 avvisi di garanzia e chiedere informazioni sulle operazioni di diverse società. Le accuse sono di «associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio» e di «omessa adeguata verifica alla clientela».
La stessa banca è inserita nel registro degli indagati per autoriciclaggio. Sedici milioni di euro di dubbia provenienza sarebbero stati impiegati per finanziare operazioni di trading online su conti correnti intestati a società con sede in sperduti paradisi fiscali. Dopo l' ispezione i finanzieri stanno continuando a far visita a Iw bank settimanalmente. Qualcuno si domanderà se Renzi e Padoan siano informati di queste indagini così invasive.
La risposta dovrebbe essere sì. Il 21 dicembre scorso l' Associazione azionisti di Ubi Banca, presieduta dall' ex parlamentare Giorgio Jannone, ha inviato una lettera-denuncia a Renzi, Padoan, al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ai ministri Angelino Alfano e Andrea Orlando, al sottosegretario Claudio De Vincenti, al presidente della Bce Mario Draghi, ai vertici della Banca d' Italia e agli organi di vigilanza. All' interno il dettagliato promemoria delle indagini in corso. Jannone giustifica così la sua iniziativa: «Dobbiamo tutelare gli interessi di oltre 150 mila azionisti di ogni estrazione sociale, verificando, una a una, le delibere assunte negli anni passati e tutti i danni eventualmente causati ai soci». Uno dei reati contestati ai vertici è l' influenza illecita sull' assemblea.
Una vicenda che l' ex deputato conosce in prima persona in quanto partecipò con una sua lista, sconfitta, all' ultima elezione del cda: «Gli attuali amministratori, tuttora inspiegabilmente alla guida di Ubi banca, sono stati "eletti" nell' ambito di una assemblea dei soci, definita dagli organi inquirenti "svolta in maniera del tutto irregolare" tramite "atti simulati o fraudolenti" con un "reclutamento serrato (…) finalizzato alla conservazione del potere" mediante la configurazione di un sistema di deleghe in bianco o palesemente false dirette a precostituire la necessaria maggioranza nelle assemblee", con "costi rimasti a carico della Banca, con distrazione di risorse rispetto all' ordinaria attività».
Nella lettera segue un lungo elenco di sanzioni disposte dalla Consob e dall' Autorità di vigilanza per i più svariati motivi. Per Jannone, però, i responsabili, alcuni «reiteratamente sanzionati», non solo non sono stati rimossi dagli incarichi ricoperti, ma alcuni sarebbero stati addirittura "promossi". Per esempio alcuni consiglieri di amministrazione e un revisore della «disastrata Ubi leasing o dell' indagata Iw Bank» sono entrati nel consiglio di sorveglianza della capogruppo, mentre un altro è diventato presidente del cda di una delle principali banche controllate.
C' è poi la questione dei paradisi fiscali, in contraddizione con i principi etici del "bilancio sociale" di una banca di matrice cattolica qual è Ubi.
L' istituto risulterebbe nell' elenco delle 340 multinazionali che hanno sottoscritto accordi "elusivi" con il Granducato del Lussemburgo e primeggerebbe per numero di sedi in paesi a fiscalità privilegiata (dieci società in Lussemburgo, otto in Delaware, due nel Baliato di Jersey, quattro in Svizzera). Al conto Jannone aggiunge «le opache e numerose operazioni finanziarie intrattenute con soggetti aventi base nelle Isole Vergini, nelle isole Cayman, alle Seychelles, a Cipro, a Madeira» e «la rilevanza delle transazioni dedicate al commercio di armamenti». In più gli specialisti della Guardia di finanza starebbero indagando anche su un nuovo e scottante capitolo: «Sta emergendo una fittissima rete, a dir poco inquietante, di società e fondazioni con sede in paesi "black list" e in paradisi fiscali, dedita a compiti delicatissimi, quali la cartolarizzazione dei crediti, per valori pari a decine di miliardi di euro o la gestione di operazioni finanziarie offshore, potenzialmente elusive rispetto alla vigente normativa fiscale», si legge nella lettera del' associazione dei piccoli azionisti.
Dove vengono menzionate pure le «rilevantissime operazioni anche in conflitto di interessi» e «i default balzati agli onori della cronaca nazionale che hanno causato perdite per miliardi di euro».
L' elenco delle società in crisi a cui sono stati concessi finanziamenti è lunghissimo: si va dall' Ospedale San Raffaele all' Istituto dermopatico dell' Immacolata, da Carlo Tassara a Burani, da Rimini yacht a Eutelia, per non parlare delle sofferenze di Ubi leasing (il jet di Lele Mora del valore di 1,8 milioni è stato svenduto a 60 mila euro) e Ubi factor, perdite spesso aggravate, secondo la magistratura, da «una complessiva gestione patronale e familistica dell' istituto bancario da parte dei membri dei suoi organismi di vertice». Diversi prestiti mai restituiti sarebbero finiti ad aziende riconducibili al presidente del comitato di gestione Polotti, il quale si sarebbe schermato attraverso delle fiduciarie, mentre uno yacht di 36 metri, pagato dalla banca 12 milioni di euro, sarebbe stato ceduto per 3,5 milioni a soggetti vicini ad altri amministratori.
Adesso questi signori sono chiamati dal governo a salvare Mps.
Dalla padella alla brace? Ubi, l' istituto fondato da Bazoli, è nel mirino di 4 Procure. Per i dirigenti accuse di truffa, riciclaggio, associazione a delinquere, influenza illecita. Il caso dei finanziamenti a società fallite e agli «amici»Tutti i guai della banca che deve salvare Mps.
3. ROCCA SALIMBENI ADDIO - CON L' UNIONE TRA UBI E MONTE PASCHI SI RISCHIANO OLTRE 10MILA ESUBERI
Francesco De Dominicis per ''Libero Quotidiano''
La battuta - velenosa e al tempo stesso piena di realismo - circolava ieri sera fra alcuni alti dirigenti di Ubibanca: se l' acquisto del Monte dei paschi di Siena andrà in porto, la storica sede della banca toscana, Rocca Salimbeni, «diventerà un museo». E forse è più di una battuta: perché se Ubi e Mps diventeranno un solo, grande gruppo bancario proprio ai piani alti dei due istituti arriveranno i tagli sicuri: sede principale a Bergamo, quella di Ubibanca, e addio a Siena, come ha di fatto ammesso pure il presidente della Fondazione Mps, Marcello Clarich.
Una transizione storica, ma inevitabile per la ormai ex banca del Pd. Quello del quartier generale, per la verità, è solo un aspetto marginale Gli addetti ai lavori si concentrano su altri fattori e sono convinti che, per quanto riguarda la rete, non sembrano esserci sovrapposizioni tali da far immaginare un bagno di sangue con chiusure degli sportelli e licenziamenti a tappeto.
Certo, un po' di esuberi verranno messi sul piatto, ma è presto per fare ragionamenti di questo tipo.
Il numero uno di Ubi, Victor Massiah, gioca a scacchi. Probabilmente avrebbero preferito l' acquisto della Bpm, che invece è stata spostata sulla direttrice di Verona col Banco Popolare. Massiah pare aver in qualche modo ragionato da banchiere di sistema: da Roma gli è arrivata la richiesta di risolvere la questione Monte paschi. E poi è arrivata la benedizione del grande vecchio della finanza, Giovanni Bazoli, prossimo a lasciare la presidente di Intesa. Per Bazoli è positiva la nascita di altri poli di rilievo.
Insomma, si va avanti, anche si procede con prudenza. Il ceo di Ubi, nel dettaglio, scruta gli oltre 45 miliardi di euro di crediti deteriorati di Mps che, seppur in calo, lo preoccupano. Probabile che farà leva proprio sulle sofferenze e sui prestiti incagliati del Monte per trattare condizioni di acquisto più favorevoli, magari con un alleggerimento prima delle nozze di quei finanziamenti in perdita. Se la dovrà vedere col duro ad di Mps, Fabrizio Viola. Il quale ha ammesso che l' operazione, sul piano industriale, è positiva, anche se non ha ancora detto «sì».
Tattica, dicevamo. Massiah resterà sull' Aventino una decina di giorni, ma alla fine scenderà a patti dopo aver ottenuto maggiori garanzie sulla liquidità della eventuale nuova entità. Serve tempo e le sole voci sono comunque bastate a far chiudere la seduta a piazza Affari in aumento dell' 1,22% a Mps.
Giù dello 0,92%, invece, Ubi.
Nettamente più vicina l' alleanza Milano-Verona e infatti i mercati stanno premiando i due titoli. Banco Popolare ieri ha terminato gli scambi con un balzo di oltre il 9% e Bpm del 7,50%. Tuttavia, sul dossier c' è da registrare il freno a mano tirato da parte dei sindacati. Il segretario generale della Fabi ha attaccato a testa bassa: «Lo scenario che le ultime manovre sulle fusioni bancarie lasciano intravedere inquieta per diverse ragioni» ha dichiarato ieri Lando Maria Sileoni. Il quale parla di «relazioni personali tra soggetti anche in conflitto di interesse, che si muovono sulla base di contropartite politiche le cui logiche esulano totalmente dal mondo bancario» e «di una grave incoerenza sul piano politico di visione del Paese in chiave internazionale».
Lo stesso numero uno Fabi non ha nascosto i timori per gli eventuali tagli al personale: «non saremo disposti a subire il ribaltamento sui lavoratori e sul Paese dei costi economici e sociali di certi progetti e di certi piani industriali che obbediscono a obiettivi, più o meno mascherati, di auto-conservazione e di auto-tutela del top management». La trattativa, insomma, si preannuncia durissima.
Il filone bancario resta al centro dell' agenda politica del governo di Matteo Renzi.
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Il quale sembra voler procedere in maniera meno spedita e valutando più a fondo le misure da varare. E così è slittata al consiglio dei ministri della prossima settimana la riforma delle banche di credito cooperativo. Si interviene in un terreno delicato, soprattutto sul versante del consenso e quindi dei voti. Quel mondo, fatto di cordate e di soci-lavoratori, «controlla» una valanga di voti. Ecco perché Renzi si limiterà a un decreto cornice, lasciando alle stesse bcc il compito di riempire il quadro.
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