L'AMORE SOTTO LA CUPOLA DI ANTONIONI E MONICA VITTI - ALLA SCOPERTA DELLA ''BINISHELL'', LA COSTRUZIONE DI DANTE BINI NELLA SELVAGGIA COSTA SARDA DOVE IL REGISTA E L'ATTRICE VISSERO LA LORO STORIA LONTANO DA TUTTI. E' ABBANDONATA, MA SI PUÒ SBIRCIARE DENTRO…

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monica vitti michelangelo antonioni monica vitti michelangelo antonioni

Malcom Pagani per Vanity Fair

 

«C’era una bambina che viveva in un’isola. A stare coi grandi si annoiava, le facevano paura. I ragazzi della sua età non le piacevano perché giocavano a fare i grandi e così stava sempre sola. Aveva scoperto una piccola spiaggia lontano dal paese dove il mare era trasparente e la sabbia rosa. Voleva bene a quel posto: la natura aveva dei colori così belli e niente faceva rumore».

 

monica vitti michelangelo antonioni monica vitti michelangelo antonioni

Tornante dopo tornante, superati strapiombi, macchie di mirto e ciuffi di oleandri in fiore, gli odori si facevano più intensi, gli occhi guardavano oltre il Golfo dell’Asinara e a Monica Vitti sembrava che tra finzione e realtà, miraggio evocato in Deserto rosso e onde all’orizzonte, ci fosse all’improvviso il punto d’incontro, la sintesi ideale tra infanzia e maturità. Michelangelo Antonioni, compagno di cinema e di vita, di discussioni e silenzi, l’aveva portata lì accompagnato da un soffio d’entusiasmo.

 

la cupola binishell di michelangelo antonioni e monica vitti in sardegna la cupola binishell di michelangelo antonioni e monica vitti in sardegna

In quella Sardegna dei primi anni ’60, con Monica, aveva girato. Con le parole trattenute dei sardi, indisposti al compromesso con il proprio carattere e capaci di abbracciarti in eterno, era in sintonia da sempre. E aveva quindi deciso di prolungare il film, di estendere il set, di girare altre scene da non mettere necessariamente in sequenza regalando alla «sua» attrice un luogo dove la notte, l’eclisse e l’avventura potessero proseguire nei decenni. Una casa. Costruita da zero.

 

Un rifugio con le fattezze di cupola, una sfera a forma di conchiglia disegnata da Dante Bini, un architetto così originale da trasformarsi a sua volta in un nome, in un’interpretazione degli spazi e del contesto capace di fare scuola, in un modello studiato nelle università e in un modulo ripetuto per più di 1.500 volte in 23 diversi Paesi.

 

la binishell di antonioni e monica vitti la binishell di antonioni e monica vitti

La Binishell di Michelangelo e Monica, l’incontro tra due visionari, prese vita nel 1971. Alcuni anni dopo l’invenzione di Bini, nata per caso durante una combattutissima partita di tennis e a circa quaranta mesi dal primo incontro, casuale, tra Bini e Monica Vitti a Cortina d’Ampezzo. Lui le aveva parlato di una costruzione semplice, geniale ed ecologica, dalla pianta circolare, sostenuta da molle e armature,  nata da una colata di cemento armato capace di sollevarsi grazie alla pressione dell’aria. Lei si era appassionata e ne aveva discusso con Michelangelo.

 

la binishell di antonioni e monica vitti la binishell di antonioni e monica vitti

C’era stato un primo rendez-vous tra i due uomini nell’appartamento romano del regista e dell’attrice in via Vincenzo Tiberio, collina Fleming. Poi un secondo appuntamento con tanto di volo ad attraversare il Tirreno. Sorvolando il mare, con riservatezza paranoide, Antonioni strinse patti con Bini (ancora in forma puramente ipotetica) stilando un severo decalogo non estraneo alla maniacalità. Al punto numero uno, il segreto. L’architetto non avrebbe potuto svelare il piano a nessuno. Vitti e Antonioni volevano vivere il sentimento lontano dai riflettori.

 

la binishell di antonioni e monica vitti la binishell di antonioni e monica vitti

E una storia come quella, storia di passione e di destini, di onde e maree, di invasioni momentanee e separazioni utili all’igiene del rapporto, non voleva copertine, paparazzi, pubblicità. Nella casa di Roma, a dividere i due appartamenti comunicanti di Vitti e Antonioni esisteva una botola. Per entrare nel mondo dell’altro era necessario un gesto, aprirla. E un’azione: salire o scendere una scala a chiocciola. Una volta sull’isola, Antonioni e Bini capirono che il posto era giusto. Michelangelo era andato oltre la botola, aveva fatto di più, chiedendo a Bini di edificare una casa sorella della magione centrale, una dépendance dove Monica potesse, se ne aveva voglia, chiudersi la porta dietro le spalle e stare sola con se stessa.

 

la binishell di antonioni e monica vitti la binishell di antonioni e monica vitti

Il dado era tratto. La decisione presa. In una Sardegna che iniziava a mutare. L’Aga Khan era già arrivato in Costa Smeralda. Il paesaggio sarebbe cambiato al ritmo del turismo di massa e della toponomastica. A un’ora da Olbia, percorrendo la strada provinciale 90, non si arrivava più alla Costa Nera, ma in omaggio ai diritti del mattone, dello slogan e del sogno, in Costa Paradiso. Prima di allontanarsi e conoscere il loro purgatorio, Vitti e Antonioni, nella Binishell, trascorsero estati felici.

 

Poi si lasciarono e le case – affacciate su un mare aperto, così lontano e diverso dalle cale geometriche e protette di Porto Rotondo e Porto Cervo – passarono di mano in mano, da un proprietario all’altro. La più piccola delle due ora splende rianimata da una ristrutturazione. Alla seconda, poco lontano, in un comprensorio custodito e vigilato, si arriva attraverso un sentiero sterrato. La conchiglia immaginata da Bini è ancora lì, di fronte al mare.

l interno della binishell di michelangelo antonioni e monica vitti l interno della binishell di michelangelo antonioni e monica vitti

 

Il verde militare della calotta esterna si è quasi sollevato facendo intravedere il grigio del cemento. La via d’ingresso conduce a un portoncino bianco con il legno sbeccato. Qualche asse di legno alle finestre copre la vista dei curiosi. Ma dalle finestre senza più vetri entrano luci e profumi. Al piano terra alcune poltrone di vimini gonfiato dalla salsedine.

 

Nella camera da letto un giaciglio vuoto guarda una finestra di legno angolare a sua volta protesa verso il mare e una terrazza con un tavolino di ferro posta di fronte all’infinito. Il sole taglia gli ambienti. Esce ed entra. E proprio come ogni amore sorge e tramonta.

 

 

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