COSTANZA CAVALLI per Libero Quotidiano
Di libri di Paolo Isotta me ne sono ormai passati tra le mani tre: La virtù dell' elefante, era il 2014, Altri canti di Marte, del 2015 e, l' anno scorso, Il canto degli animali. E ora è il momento de La dotta lira. Ovidio e la musica (Marsilio, pp. 426, 22 euro), voluminoso studio di perfezione isottesca, cioè torrenziale nel senso di quegli acquazzoni estivi che prima sorprendono (magari spaventano pure) ma lasciano l' aria pulita, buona da respirare. Il nostro critico musicale più raffinato è rimasto negli anni generoso al limite della gratuità, così colto che a leggerlo fa immaginare come potrebbe essere l' onniscienza se fosse cosa di questo mondo, ma anche guizzante, in eterno bilico fra studio e divagazioni personali.
Questo suo lavoro è tutto per Ovidio, fatto del quale ed eravamo stati avvertiti già nello scorso libro, quando del poeta di Sulmona lodava l'«osservazione del mondo animale straordinariamente attenta e poeticamente alta»: «Mi auguro che qualcuno voglia dedicarvi uno studio. Se non lo farà nessuno, mi ci avventurerò io non appena avrò licenziato questo libello». E il libello (sic) è arrivato, tutto sulla fecondità dei versi delle Metamorfosi, il poema che l' ha consacrato, per la tradizione del melodramma: è proprio dalla Dafne raccontata da Ovidio che nasce la prima opera lirica della storia (nel 1598, la poesia è di Ottavio Rinuccini e la musica di Jacopo Peri). Poi sono arrivati Claudio Monteverdi, Domenico Scarlatti, Johann Sebastian Bach, fino a Richard Strauss, Händel, Haydn e Berlioz.
CONTRO IL TEMPO Le Metamorfosi, che hanno passeggiato nella letteratura (le colsero Omero, Esiodo, fino a Dante) e nell' arte (da Raffaello al Narciso di Caravaggio, fino al Bernini del Ratto di Proserpina), sono trasversali all' arte perché sono un fatto metafisico, in grado di annullare la brutale materialità della storia: il mito, fonte e contenuto dell' opera, neutralizza il tempo. Se si legge Ovidio in questa chiave, di presenza dell' eterno, diventa chiaro come il poeta sia stato sbocconcellato nella storia dell' arte, non come le briciole di Hänsel e Gretel mangiate dagli uccelli, ma come i sassetti con cui Pollicino segna il sentiero: monumenti «più duraturi del bronzo», scriveva il poeta latino Orazio.
Così le Metamorfosi sono un bignami del mito a tre dimensioni, le quali annullano la quarta, quella del tempo. Se nelle arti e nei secoli i secchi che hanno attinto a questa fonte sono stati tanti, è perché è una sorgente di eterna giovinezza.
Nell' opera di Ovidio il «mito è dipinto alla luce dell' eterno tema della mutazione senza fine», scrive Isotta: il mito che ritorna, in realtà non "ritorna", è sempre stato lì: come l' arte, che o è inattuale oppure non è, perchè se potesse invecchiare non sarebbe più un' opera d' arte.
Le Metamorfosi, quindi, sono un flusso che - non è un paradosso - genera identità: non un divenire che porta una cosa a diventare un' altra e che confonde; ma un movimento, una mutazione tutta interna, che da se stessa torna a se stessa, in un gioco impossibile da concludere. Un eterno divenire che equivale a stare immobili: non ci si muove dal punto A al punto B, verso l' esterno, ma all' interno, nel mondo dell' anima dei popoli e della storia. È da qui, dall' anima collettiva, che nasce il mito o è il mito che nasce dall' anima collettiva? Nasce prima l' uovo o la gallina? Qui si colloca il grande Nirvana dell' arte, in cui ci si perde e ci si ritrova.
Ecco perché Paolo Isotta dice di avere lavorato oltre quarant' anni a questo libro: la cultura si può imparare, ma servono anni per "sentire" le cose: un' antenna che coglie l' universale nell' opera dell' uomo. L' autore dice di aver lavorato otto mesi, alla materia scritta de La dotta lira (in rispetto a Giuseppe Verdi, il quale scriveva: «un' opera d' arte, per quanto lungo ne sia il concepimento, dev' essere rapidamente realizzata affinché lo stile ne sia omogeneo»), ma di essersi fatto attraversare da un' ossessione sussurrata dal luglio del 1975.
IL GRANCHIO Era al Festival di Monaco per vedere la Daphne di Strauss e «pochissimo allora compresi l' altezza del capolavoro», confessa Isotta, «ma il seme entro di me era stato gettato». Quarantatrè anni di pensamento e otto mesi di lavoro: come la piccola storia raccontata da Italo Calvino in Lezioni Americane, nel capitolo sulla rapidità: «Tra le molte virtù di Chuang-Tzu c' era l' abilità nel disegno. Il re gli chiese il disegno di un granchio. Chuang-Tzu disse che aveva bisogno di cinque anni di tempo e d' una villa con dodici servitori. Dopo cinque anni il disegno non era ancora cominciato. «Ho bisogno di altri cinque anni" disse Chuang-Tzu. Il re glieli accordò. Allo scadere dei dieci anni, Chuang-Tzu prese il pennello e in un istante, con un solo gesto, disegnò un granchio, il più perfetto granchio che si fosse mai visto».
Le Metamorfosi sono davvero una religione pagana, come scriveva Alfonso il Saggio, re di Castiglia che le chiamò, scrive Isotta, «la teologia e la bibbia del paganesimo»: ma i miti appartengono alla religiosità tutt' intera, sono un' epidermide che annuncia la nostra presenza nel cosmo e fa da scudo al derma della religione, non importa quale, che ci contiene come uomini, e come popoli ci dà forma.
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