Stefano Landi per il “Corriere della Sera”
Per anni il suo nome è stato sinonimo di black music. Dicevi Al Jarreau e pensavi a un fiume di musica elegante, rotonda. Se n'è andato ieri a 76 anni, dopo che da alcuni giorni era stato ricoverato a Los Angeles per un esaurimento nervoso. I medici l' avevano costretto a stracciare l' agenda degli appuntamenti del 2017: non ce la faceva più a salire sul palco.
Poi, giovedì, un post sulla pagina Facebook aveva cancellato dai fan i pensieri peggiori: «Sta migliorando lentamente, ma con enorme dispiacere dovrà smettere di fare tour. Al è grato per i suoi 50 anni di viaggi intorno al mondo e per chiunque abbia condiviso quest' esperienza con lui».
Sembrava in ripresa, aveva pure cantato una canzone al figlio Ryan. Era il suo epitaffio. Al Jarreau era nato nell' aprile del 1940 a Milwaukee, nel Wisconsin, figlio di un pastore evangelico. Aveva iniziato a cantare da piccolo nel coro gospel della chiesa locale e passato gli anni del college armonizzando in un ensemble dilettantistico chiamato The Indigos. Poi si era guadagnato il palco di fumosi club per palati fini del jazz.
A metà degli anni Sessanta, mette la firma sul suo primo album: si intitola «1965». Ci vorranno 10 anni per vederne il successore. Fu l' etichetta di Frank Sinatra a farlo arrivare alle orecchie giuste, quelle della critica più sofisticata del jazz americano che incensò la sua capacità di trasformarsi da baritono naturale sulle varie sfumature della timbrica, rimbalzando tra le ottave.
Gli anni d' oro arrivano a cavallo dei Settanta e Ottanta: ospite fisso dei festival più importanti, pioggia di premi e riconoscimenti, anche in Europa. Non più sole pacche sulle spalle. Brani cult diventano la sua cover di «Your Song» di Elton John e «Rainbow in Your Eyes» di Leon Russell. È ospite nei dischi di Quincy Jones, di santoni come Chick Corea e Joe Sample.
Nell' 85 aggiunge la sua voce al coro di star, tra Springsteen e Michael Jackson, che cantano «We Are the World» per sostenere la popolazione etiope distrutta dalla carestia. C'è anche un link con la musica italiana: nel 2013 il duetto con Mario Biondi, uno che di Jarreau ha sempre avuto il poster in fondo al letto.
Nonostante la sua dipendenza dalla musica e la passione per il canto, Jarreau non aveva smesso nemmeno di studiare ed era arrivato fino alla laurea in Psicologia. Il suo ultimo disco è stato «My Old Friend» dedicato al suo maestro George Duke, pubblicato tre anni fa. Se ne è andato portandosi dietro anche un grande record: è stato l' unico artista ad aver vinto i 7 Grammy Award in tre diverse categorie.