1 - TENCENT: -56% UTILE TRIMESTRALE, TAGLIA 5.500 POSTI LAVORO
(ANSA) - Tencent ha registrato il primo calo dei ricavi trimestrali da quando è quotata in Borsa, scontando la frenata economica cinese, i lockdown contro il Covid-19 e la stretta delle autorità di regolamentazione di Pechino, soprattutto sul settore dei videogame.
Il colosso Internet cinese, che controlla la popolare app di messaggistica WeChat, ha detto che i ricavi di aprile-giugno sono scesi del 3% annuo, a 134 miliardi di yuan (19,8 miliardi di dollari), mentre i profitti sono crollati a 18,6 miliardi (-56%). Tencent ha tagliato circa 5.500 posti di lavoro, a 110.715 dipendenti, entro fine giugno, il primo calo trimestrale dal 2014.
2 - TENCENT È TROPPO GRANDE E IL REGIME DI PECHINO VUOLE FARLA DIMAGRIRE
Marcello Astorri per “il Giornale”
C'era una volta la Cina del laissez faire che salutava la nascita di giganti tecnologici, degne controparti di quelli americani. E c'è la nuova Cina di Xi Jinping, che da tempo ha varato un giro di vite alle sue imprese tecnologiche colpevoli di essere diventate troppo grandi e potenti. Lo slancio dirigista dello Stato-partito ha generato vari effetti. Da ultimo, secondo quanto riporta un'indiscrezione di Reuters, la decisione di Tencent che vorrebbe vendere la sua partecipazione del 17% in Meituan, colosso cinese della consegna di cibo a domicilio.
Tencent, che è il gigante tech che ha lanciato il Whatsapp cinese, WeChat, con la cessione andrebbe all'incasso per 24,3 miliardi di dollari. Sarebbe la monetizzazione di investimento fatto otto anni fa in Dianping, rivale che un anno dopo si è fusa con Meituan per dare vita all'attuale società. E tra l'altro, Tencent ha già ridotto il suo portafoglio di partecipazioni (non di controllo) a un valore di 89 miliardi a fine marzo, dai 201 miliardi dello stesso periodo dell'anno precedente.
La vera ragione della possibile dismissione della quota, in realtà, sarebbe la necessità di compiacere il regime di Pechino, che dalla fine del 2020 ha iniziato una politica repressiva contro i suoi colossi tecnologici. Basti pensare al blocco della quotazione da 37 miliardi di dollari di Ant Group, il braccio fintech dell'impero di Alibaba e di Jack Ma, purgato e fatto sparire dalle scene nei mesi successivi.
In seguito la mano pesante si è abbattuta su altre società, come l'Uber cinese, Didi Group, che è finito nel mirino delle autorità cinesi dopo la quotazione a Wall Street. A seguito di un'indagine dell'autorità cinese per la sicurezza informatica, a Didi è stata inflitta una multa da 1,2 miliardi di dollari per aver attentato alla sicurezza dei dati degli utenti cinesi. La stessa Tencent, che è anche un'importante casa sviluppatrice di videogiochi, si era scontrata con la stretta governativa che limitava a tre le ore massime di gioco per i ragazzi con meno di 18 anni.
tim cook di apple e jeff bezos di amazon, in mezzo il ceo di tencent pony ma
E proprio ieri, Pechino ha reso noto di aver ottenuto dalla stessa Tencent, Alibaba e ByteDance (l'azienda di TikTok) i dettagli dei loro algoritmi, di fatto la base del funzionamento delle loro applicazioni. Un passo sintomatico del tentativo delle autorità cinesi di controllarle più da vicino, limitandone il potere. In base a un complesso di norme diffuso a marzo, le aziende sono tenute a verificare con l'autorità di regolamentazione la conformità dei loro algoritmi e fornire dettagli tecnici. E proprio venerdì scorso l'amministrazione cinese del cyberspazio ha pubblicato per la prima volta un elenco che descrive come i giganti della tecnologia utilizzano gli algoritmi.
Dopo la notizia della possibile vendita da parte di Tencent della sua quota in Meituan, il titolo di quest' ultima ha perso oltre il 9% a Hong Kong. Mentre quello di Tencent si è ripreso dopo un'iniziale perdita del 2 per cento. La stessa società, secondo Refinitiv, dovrebbe chiudere il trimestre con fatturato di 19,5 miliardi di dollari, in calo del 4% su base annua.
3 - IL GRANDE FRATELLO DI XI:. PECHINO METTE LE MANI SUGLI ALGORITMI DI TIKTOK
Daniele Uva per “il Giornale”
Sono considerati il «cervello» delle app. Capaci, grazie a calcoli matematici molto complessi, di tracciare i gusti dei consumatori attraverso i social media e di presentare loro proposte su misura. Proprio per questo gli algoritmi sono da sempre tenuti segreti dai giganti dell'hi-tech. Adesso però il governo cinese, attraverso un regolamento entrato in vigore lo scorso marzo, ha deciso di imporre ai colossi presenti in patria da Alibaba a Douyin - di mettere a disposizione i propri segretissimi programmi, svelando i meccanismi usati per «spiare» gli utenti della Rete.
La versione ufficiale assicura che la misura è necessaria per garantire maggiore trasparenza nell'utilizzo di questi dati personali, ma anche per verificare la conformità di queste tecnologie e dei loro dettagli tecnici con le leggi nazionali in vigore. La paura è che, invece, possa trattarsi dell'ennesimo tentativo di controllare i cittadini.
Dopo aver ricevuto gli algoritmi richiesti, la Cyberspace administration of China ha anche pubblicato i risultati dell'indagine avviata su trenta programmi, spiegando per quali scopi vengono usati a seconda dei casi e dei settori in cui le aziende sotto esame operano. Il documento spiega, per esempio, che l'algoritmo di Taobao sito di e-commerce di proprietà di Alibaba - «raccomanda prodotti o servizi agli utenti attraverso la loro impronta digitale e i dati di ricerca storici». E che quello dell'app per video brevi Douyin - la versione cinese di TikTok - misura gli interessi degli iscritti attraverso i clic, i like e i «non mi piace». Oltre che in base al tempo trascorso dalle persone sui contenuti della piattaforma.
A chi teme che il governo di Pechino stia studiando una nuova mossa per mettere la privacy dei cittadini sotto la sua ingombrante lente di ingrandimento, creando addirittura una sorta di registro pubblico degli algoritmi, è arrivata una prima precisazione: «In questa fase, le autorità non hanno ancora chiesto esplicitamente alle aziende di modificare i loro algoritmi, i regolatori sono ancora nella fase di raccolta delle informazioni». Parola di Angela Zhang, specialista in diritto cinese all'università di Hong Kong.
Non mancano però le preoccupazioni su un altro aspetto: se da una parte Pechino vuole far credere di «difendere» i propri cittadini da eventuali abusi e pratiche scorrette dei giganti hi-tech, la nuova misura offre la possibilità per il regime di mettere le mani su dati estremamente sensibili e finora inaccessibili. Dati che riguardano oltre un miliardo di individui, ovvero la base di utenti internet più estesa del mondo, un mercato dalle potenzialità infinite per e-commerce, giochi online e dispositivi elettronici.
Pechino ha da tempo concentrato la propria attenzione sul modo in cui i social media del Paese sono in grado di orientare gusti e opinioni dei cittadini. Cercando di spingere i giganti dell'hi-tech a proporre contenuti più adatti al consumo pubblico secondo il regime.
Di qui la richiesta di creare algoritmi che diffondano «energia positiva», inibendo allo stesso tempo comportamenti poco in linea con gli obiettivi dello Stato. Proprio per questo recentemente i colossi americani Google e Facebook sono stati messi sotto pressione per inviare a Pechino questo tipo di informazioni.
Per il momento le aziende della Silicon Valley sono riuscite a resistere, affermando che gli algoritmi sono segreti commerciali. La stessa cosa non è avvenuta per i giganti con sede in Cina, costretti dalla legge a rivelare il cuore pulsante delle proprie applicazioni.
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