Simone Vazzana per www.lastampa.it
Mamma, papà: ci vediamo in tribunale. Una ragazza di 18 anni della Carinzia, sud dell’Austria, ha fatto causa ai suoi genitori per aver caricato su Facebook circa 500 foto con le come soggetto, ma senza il suo permesso. Gli scatti si riferiscono anche all’infanzia della teenager.
«Non conoscono vergogna - ha dichiarato la diciottenne al giornale “The Local Austria” - non hanno limiti: non gli importa se quelle immagini mi ritraggono seduta sul water o nuda in una culla. Hanno fotografato ogni mio momento e l’hanno reso pubblico. Sono stanca di non essere presa sul serio».
I genitori hanno iniziato a condividere le foto della ragazza con i loro 700 amici virtuali nel 2009, quando la figlia aveva 11 anni. Mamma e papà hanno ignorato le continue richieste della giovane, rifiutandosi più volte di rimuovere le istantanee. Ora ne dovranno rispondere in tribunale. Il processo inizierà a novembre.
Il padre, intervistato dal settimanale “Die Ganze Woche”, ha sottolineato di avere il diritto di pubblicare le foto in questione, dal momento che a scattarle è stato lui in persona: «In fin dei conti, lei è nostra figlia: è un album di famiglia condiviso con i nostri amici di Facebook». Inoltre, proprio sulla piattaforma di Mark Zuckerberg, per caricare le immagini che ritraggono un minore è semplicemente necessario il consenso dei genitori o di chi ne esercita la potestà.
GLI ALTRI CASI IN EUROPA
Interpellato dai media austriaci. Michael Rami, l’avvocato della ragazza, ha detto che la sua cliente ha ottime chance di vincere la causa, dato che le foto violano il diritto al rispetto della vita personale. Se l’epilogo sarà questo, i genitori dovranno pagare i danni alla figlia, coprendo anche le spese legali.
La condivisione online di così tante foto private, e il suo impatto sulle nuove generazioni, è un tema di dibattito attuale. Ecco perché la vicenda è molto seguita in Austria, anche perché si tratta del primo caso di specie nel Paese.
Nel resto d’Europa, infatti, cause simili hanno già fatto il loro ingresso nei tribunali. In Francia, per esempio, le autorità consigliano di non postare sui social le foto dei loro bambini e di chiunque non dia il consenso alla pubblicazione, familiari e maggiorenni compresi. In caso di denuncia si rischia un anno di carcere, oltre a una multa di 45 mila euro.
Le regole non sono così ferree in Germania, dove comunque i bambini possono adire le vie legali contro i genitori. L’anno scorso, per esempio, la polizia di Hagen, nel nord ovest del Paese, ha richiamato un papà e una mamma troppo social: entrambi sono stati messi in guardia sulla possibilità che le foto del loro bambino potessero attirare pedofili e creare al figlio dei problemi psicologici e sociali anche a distanza di anni.
COME FUNZIONA IN ITALIA
Anche da noi ci sono delle leggi che regolano la pubblicazione di immagini (foto e video) altrui: una decisamente vecchia, la 633 del 1941, e una più recente, la 196 del 2003 (che tutela la privacy).
Facebook stesso, inoltre, chiede espressamente che le foto inserite nei profili siano in legale possesso di chi le pubblica e che ritraggano essenzialmente chi le utilizza. Sui social possiamo pubblicare qualunque immagine o foto di cui siamo in possesso. Nel momento in cui vi sono altre persone, proprio perchè inserirle su Facebook nella maggior parte dei casi equivale a rendere pubblici i loro volti, queste vanno avvisate della pubblicazione, provvedendo alla rimozione dell’immagine se richiesta dai soggetti. Ovviamente è sempre meglio evitare di pubblicare foto di minori (anche se sono nostri figli).
Il consenso può non essere richiesto se l’immagine ritrae un personaggio noto o se si riferisce a fatti, avvenimenti o cerimonie di svolte in pubblico. La legge esclude la necessità del consenso anche quando la pubblicazione è connessa a finalità (per esempio di giustizia) normalmente estranee a chi pubblica online, specialmente sui social network.
I rischi, in caso di pubblicazione illecita, vanno dalla rimozione dell’oggetto alla reclusione (da sei mesi a tre anni, in caso di diffamazione o di trattamento illecito di dati), passando per il pagamento di un’ammenda non inferiore a 516 euro.