Intrvista di Malcom Pagani per il “Fatto Quotidiano” pubblicata da Dagospia il 14 aprile 2016
Al ritmo di oltre cinquantamila spettatori ad annata, Gigi Proietti ha fatto conoscere Shakespeare ai romani. Il suo Globe, costruito nella stesso parco, Villa Borghese, in cui girarono Visconti, Moretti e Pietrangeli, è un bel film giunto ormai al tredicesimo anno di programmazione: "Senza l' intuizione di Veltroni e l' aiuto dei fratelli Toti non avremmo visto neanche i titoli di testa. Il sindaco di allora mi propose di portare un Romeo e Giulietta per festeggiare il centenario della donazione della Villa alla città da parte della famiglia borghese.
Rilanciai portando le foto del Globe di Londra e ragionammo sull' ipotesi di creare uno spazio permanente dentro la città che non costringesse, come sempre avveniva quando si parlava di teatro di stampo tradizionale, all' esilio nei teatri antichi. Per miracolo la struttura venne eretta in tre mesi. La burocrazia non fece in tempo a mettere i bastoni tra le ruote.
Ho appena recitato nella seconda stagione di una fiction - Una pallottola nel cuore - che è stata vista da sei milioni di spettatori. Ma la felicità per il Globe è impagabile, soprattutto a quest' età".
Che tipo di felicità è?
La consapevolezza che con il Globe è nato qualcosa di tangibile. Una realtà a cui ho contribuito attivamente. Era un sogno ed è diventato realtà grazie alla rete e al voce a voce. Quando ci penso avverto tante sensazioni.
Cose buone?
Solo cose buone. Orgoglio e gioia, principalmente.
Dopo la prima stagione, nel 2003, le presenze furono 20.000.
Oggi sono quasi triplicate. L' anno scorso abbiamo avuto 54.000 spettatori. Gente che oggi, con l' isteria da consumo immediato che si respira, è pronta a stare in piedi in platea per tre ore per ascoltare un testo shakespiriano. Non è vero che il pubblico non capisce o premia solo l' orrore, ma è vero che il rapporto con il pubblico si crea soltanto con lo scambio.
Quando vede un ventenne mettersi in fila per Shakespeare a cosa pensa?
Le prime file fuori dal Globe me le ricordo, somigliavano a quelle che mi lasciarono senza parole a metà degli Anni 70. La gente veniva a vedere i miei spettacoli e io mi chiedevo: "Ma vengono a vedere proprio me?" Quando ti aspetti poco e ricevi tanto la soddisfazione è doppia".
Shakespeare se ne è andato da 400 anni.
Dicono. Qualcun altro dice che non sia mai esistito e altri ancora giurano che fosse italiano. Il signor Scuotilancia, di professione poeta. Se Shakespeare è veramente morto da 400 anni non ce ne siamo accorti.
Per la bellezza del testo scritto?
La passione per il comando, l' indagine sul potere, i grandi sentimenti, la politica. Nei suoi scritti c' è un' attualità profonda. In Shakespeare nostro contemporaneo, Jan Kott ce lo ha spiegato bene.
Cosa ci ha lasciato Shakespeare?
Si può trascorrere la vita intera a cercare di capirlo. Shakespeare è un pozzo senza fondo e non ti puoi limitare alla lettura del testo: ogni volta che ci rimetti mano scopri che certe cose non le avevi viste e altre ancora non le avevi proprio comprese.
Testi non semplici.
Come diceva quel grande attore inglesi: "Beati coloro che lo possono tradurre". In Shakespeare ci sono infiniti livelli di lettura e un' investigazione della psicologia che molto tempo prima di Freud si avventura a leggere in profondità l' animo umano e a spiegare dinamiche fondamentali, l' amore, la lotta, l' ambizione. C' è una struttura molto moderna escluso qualche barocchismo di troppo.
Quando ha incontrato Shakespeare nel suo percorso?
Interpretai un Coriolano a L' Aquila per la regia di Calenda, ma successe nel Medioevo.
Come Proietti?
È accaduto tanto di quel tempo fa che i ricordi si confondono. Era un testo bellissimo, ma ostico. Ho un rimpianto: avrei desiderato tanto interpretare Amleto, ma non è mai accaduto. C' è sempre stato o meglio io ho sempre avuto una sorta di timore a toccare quello che drammaturgicamente è il testo più importante dello scorso millennio.
Si ricorda l' Amleto di Gassman?
L' ho rivisto in tv, all' epoca avevo quindici anni e Shakespeare non sapevo neanche chi fosse.
Poi Amleto l' ha letto.
"È un archetipo" ammonivano tutti. Continuano a dirlo. Non ho mai saputo che cavolo intendessero dire.
C'era molto Shakespeare nel suo Edmund Kean.
Ma niente del gigantismo spettacolare dell' Amleto interpretato da Vittorio. Era un monologo in cui raccontando in prima persona la parabola tutta genio e sregolatezza del più grande attore inglese vissuto tra la fine del sette e l' inizio dell' ottocento approfittavo per navigare nell' infinita produzione shakespeariana. Mi piacerebbe rifarlo al Globe, ma sono due ore toste, pesanti, faticose.
Proietti non si spaventa.
Intanto affronto Shakespeare ogni giorno aiutandomi con qualche saggetto e con qualche esegesi del poeta. Edmund Kean, magari, la prossima volta.