Andrea Daniele Signorelli per www.editorialedomani.it
Nel corso della conferenza Meta Connect dell’11 ottobre, Mark Zuckerberg ha fatto sfoggio di tutto l’ottimismo di cui è capace. «È una tecnologia incredibile, che offre moltissime opportunità», ha affermato facendo ovviamente riferimento alla realtà virtuale e al metaverso. «Il futuro non è molto lontano e noi ne siamo parte fin dall’inizio. La VR (virtual reality) è un settore più grande che mai».
Da un certo punto di vista, è sicuramente così. «Più grande», però, è una misura relativa: rispetto a cosa? I numeri snocciolati dal fondatore di Facebook sembrano confermare il suo ottimismo: sullo store del Quest (il visore per la VR di Meta) sono stati spesi fino a oggi 1,5 miliardi di dollari e il gioco ispirato a The Walking Dead ha superato i 50 milioni di dollari di entrate, mentre un videogame su tre ha fatturato almeno un milione di dollari.
Le cifre trionfalmente esibite da Zuckerberg hanno però due problemi: sono attentamente selezionate per fare bella figura (“cherry picked”, direbbero gli anglofoni) e riguardano dei normali videogiochi in realtà virtuale che erano in larga parte già in vendita prima che Facebook annunciasse la rivoluzione che l’ha trasformato in Meta.
E il metaverso, invece? Come vanno le cose in questo mondo aperto e immersivo, in cui dovremmo trasferire una parte crescente della nostra quotidianità e di cui possiamo fare esperienza su piattaforme di proprietà di Meta come Horizon Worlds (dedicato alla socialità e al tempo libero) e Horizon Workrooms (pensato invece per il lavoro)?
NUMERI POCO ENTUSIASMANTI
Da questo punto di vista, i numeri sono decisamente meno entusiasmanti. Secondo il Wall Street Journal, l’obiettivo iniziale di Meta era raggiungere entro la fine di quest’anno 500mila visitatori mensili di Horizon Worlds (non ancora disponibile in Italia). Le cose non stanno affatto andando come previsto: dopo aver raggiunto i 300mila utenti nel febbraio scorso, i visitatori mensili del metaverso di proprietà di Zuckerberg sarebbero scesi agli attuali 200mila (il vecchio Second Life, fondato nel 2003 e antesignano di tutto ciò che oggi ricade sotto il cappello “metaverso”, vanta ancora oltre 500mila utenti).
«La maggior parte dei visitatori generalmente non torna dopo il primo mese e la base utenti è in costante calo dalla scorsa primavera», segnala sempre il Wall Street Journal sulla base di documenti interni che ha potuto visionare. Dati preoccupanti relativi al software che vanno di pari passo con quelli altrettanto allarmanti dell’hardware: oltre la metà dei visori per la realtà virtuale Quest – il cui prezzo è peraltro passato da 350 a 450 dollari – non viene più utilizzato sei mesi dopo l’acquisto.
Anche i dati sulle vendite dei visori sembrano positive solo finché non li si confronta con i numeri dei classici concorrenti. A oggi, i vari modelli di Quest prodotti da Meta hanno venduto circa 15 milioni di esemplari. Tanti? Pochi? Per avere un metro di giudizio, basti pensare che nello stesso lasso di tempo sono state vendute quasi 150 milioni di PlayStation, 110 milioni di Nintendo Switch e 50 milioni di Xbox One.
D’altra parte, fino a oggi la realtà virtuale ha attratto soltanto una nicchia di appassionati di videogiochi. A partire dall’ottobre scorso, Zuckerberg ha invece scommesso di poter far crescere drasticamente questi numeri puntando tutto sulla socialità, sull’intrattenimento più tradizionale (uno degli ambienti più frequentati di Horizon Worlds è un club virtuale per la stand up comedy) e anche sul lavoro. Ma davvero, escluse le situazioni eccezionali, siamo interessati a vedere spettacoli nel metaverso invece che dal vivo? Davvero vogliamo fare riunioni in realtà virtuale nonostante la facilità d’uso di strumenti come Zoom?
SEGNALI PREOCCUPANTI
Il lancio del Quest Pro – visore professionale in vendita a 1.800 euro, dalle elevatissime prestazioni e pensato per architetti, ingegneri e chiunque possa individuare applicazioni lavorative nella realtà virtuale – fa pensare che Zuckerberg sia profondamente convinto della direzione intrapresa, al punto che l’anno prossimo dovrebbe venir annunciato anche un abbonamento a Quest riservato ai professionisti.
Da una parte, quindi, Horizon Worlds per la socialità e l’intrattenimento; dall’altra, le applicazioni per il mondo del lavoro. Una doppia strategia che sembra lasciare perplessi gli stessi dipendenti di Meta, che in molti casi vorrebbero che l’azienda si concentrasse di più sul gaming tradizionale. In fondo, perché usare la realtà virtuale per replicare la quotidianità, quando le maggiori potenzialità sembrano essere nelle esperienze eccezionali dei videogiochi in VR?
John Carmack, noto sviluppatore di videogiochi, ex responsabile tecnologico di Oculus e oggi consigliere di Meta, ha affermato in un podcast che la quantità di denaro investita nel metaverso «gli fa venire il mal di stomaco». In effetti, i 27 miliardi di dollari di perdite fatti registrare nel corso degli anni dai Reality Labs (dove vengono sviluppate le applicazioni della realtà virtuale e aumentata) non sono esattamente una panacea per una società il cui “core business” – social network e pubblicità – sta mostrando importanti segni di crisi (simbolizzati dal primo calo nel fatturato fatto segnare su base annua nel secondo trimestre del 2022) e le cui azioni sono scese di quasi il 70 per cento nel giro di un anno.
Segnali che diventano ancor più preoccupanti a causa dei continui cambi di strategia, che Zuckerberg può peraltro imporre al consiglio d’amministrazione per via della particolare struttura di Meta. Per esempio, dopo averci spiegato in tutti i modi come la realtà virtuale sia il futuro, nonché l’ambiente in cui tutti traslocheremo nel giro di qualche anno, il fondatore di Meta ha annunciato che gli ambienti di Horizon Worlds saranno presto disponibili anche per computer e smartphone.
Perché questa retromarcia, che sembra quasi un’ammissione dello scarso appeal della realtà virtuale? «La verità è questa: se (l’ambiente di Horizon) non piace nemmeno a noi, come possiamo aspettarci che piaccia agli utenti?», ha per esempio scritto in un memo a uso interno il vicepresidente di Meta Vishal Shah.
Un’affermazione che potrebbe sembrare un’autocritica, ma era in realtà un attacco ai dipendenti, il cui tasso d’adozione degli strumenti in realtà virtuale – a partire dall’utilizzo di Workrooms per le riunioni in VR – è molto basso. Sempre i dipendenti di Meta affermano inoltre di non comprendere la strategia che sta seguendo l’azienda (ben il 42 per cento di essi, secondo un sondaggio anonimo) e in alcuni casi catalogano i progetti relativi al metaverso alla voce “MMH” (Make Mark Happy).
IN ANTICIPO SUI TEMPI
Tutto ciò non piace per niente a Zuckerberg. Secondo quanto riportato da Reuters, in una riunione di giugno avrebbe affermato che «parecchia gente probabilmente non dovrebbe più lavorare qui» e che gli obiettivi e le aspettative sarebbero «stati innalzati». Tutto questo mentre l’azienda continua a fare pressioni sui dipendenti affinché adottino le tecnologie immersive per svolgere almeno una parte del loro lavoro.
Perché alzare così tanto la tensione, rischiando di rovinare il clima e l’immagine aziendale? Forse perché – oltre ai vari flop messi in fila da Meta nel corso degli anni (Facebook Match, Facebook for Work, la criptovaluta Libra e parecchi altri) – Zuckerberg sa che si sta giocando il tutto per tutto, puntando sui visori per la realtà virtuale oltre dieci anni dopo essersi fatto parzialmente sfuggire l’importanza della transizione dei social da computer a mobile (a cui ha rimediato acquistando Instagram, che puntava già sugli smartphone quando Facebook ancora si concentrava sull’utilizzo da desktop).
Piuttosto di farsi trovare nuovamente impreparato, Zuckerberg preferisce correre il rischio opposto: essere in anticipo sui tempi. «C’è la possibilità che tutto ciò che Mark ha visto nel metaverso sia giusto, eccezion fatta per il tempismo, che rischia di essere molto più a lungo termine di quanto lui pensi», ha spiegato al New York Times Matthew Ball, investitore tra i più ascoltati su questo argomento.
Mark Zuckerberg ha scommesso il futuro suo e di Meta sulla visione del metaverso, rivoluzionando completamente la strategia aziendale nel tentativo di anticipare il futuro («È il mio Sacro Graal», ha recentemente dichiarato). E adesso non può permettersi di sbagliare, a costo di dare fondo alle sue risorse pur di costringerci tutti – a partire dai suoi dipendenti – a vivere nel metaverso. Nel suo metaverso.
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