BETTI, ORA BATTI! QUANDO PIER PAOLO PASOLINI PORTO’ LAURA BETTI TRA LE PUTTANE DEL MANDRIONE – “PROVO’ A VENDERE IL SUO CORPO MA NON CI RIUSCI’. LAURA, CHE ALLORA ERA UNA VENERE, NON SE LA SENTIVA DI ENTRARE NELLA MACCHINA DI UNO SCONOSCIUTO DAVANTI AL SUO AMORE IMPOSSIBILE. I CLIENTI DI CERTO TRATTAVANO IL SUO UOMO DA PAPPONE E LEI DA AVVENENTE PROSTITUTA. QUALCUNO DI LORO MAGARI AVRÀ PENSATO A UNA COPPIA BORGHESE CON IL MARITO IMPOTENTE, VOYEUR DEI CHIASSOSI AMORI DELLA MOGLIE” – QUANDO LAURA BETTI RIVELO’ CHE CLAUDIO VILLA "CE L’AVEVA GROSSO" (E NON STIAMO PARLANDO DELL'ACUTO) – IL LIBRO DI RENZO PARIS “MADAME BETTI”

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Dal "Fatto Quotidiano" - Anticipiamo uno stralcio di “Madame Betti”, la biografia dell’attrice e cantante scritta dall’amico Renzo Paris e in libreria da venerdì con Elliot.

 

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Laura Trombetti, alias Laura Betti, era nata a Casalecchio di Reno il 1° maggio 1927 ed è morta a Roma il 31 luglio 2004. Vi si era stabilita nel 1955, e non l’aveva più lasciata. Nel 1981, in un breve film su Roma e Pasolini, appariva seduta nella sua famosa terrazza.

 

Con la voce roca parlava di Bologna e poi della sua Roma che odiava e amava allo stesso tempo, santa e carnefice, dove si respirava “il fiato della morte”. Non era la Roma del Vaticano e del potere che le interessava ma quella del popolo, che ballava e soffriva.

 

Gliel’aveva fatta conoscere Pasolini, che la portava nelle borgate ma anche tra le puttane del Mandrione. Aveva provato a vendere il suo corpo ma non c’era riuscita. Avrei dato un occhio per vederli approcciare le prostitute, redarguiti dai papponi: Laura, che allora era una Venere, che passeggiava avanti e indietro con la borsetta in mano sulla strada del Mandrione alla ricerca dei clienti.

 

Doveva scusarla Pasolini, ma non gliene piaceva nessuno: non se la sentiva di entrare nella macchina di uno sconosciuto davanti al suo amore impossibile. I clienti di certo trattavano il suo uomo da pappone e lei da avvenente prostituta.

 

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Qualcuno di loro magari avrà pensato a una coppia borghese con il marito impotente, voyeur dei chiassosi amori della moglie. Leggeva con voce accorata un paio di poesie di Pier Paolo sulle borgate che non avrebbe mai dimenticato, neanche dopo che il suo uomo le aveva criticate per via dell’omologazione piccolo-borghese. In quel filmato confessa più volte di essere doppia, di amare e di odiare allo stesso tempo la città eterna.

 

 A un certo punto rivela: “Per chi non lo sapesse, sono stata una cantante e Pasolini ha scritto due canzoni per me: Cristo al Mandrione e Valzer della toppa”. Le cantò insieme a quelle di altri scrittori come Arbasino, Soldati, Bassani in uno spettacolo intitolato Giro a vuoto, che finì a Parigi, lodatada André Breton. Nelle borgate, Pasolini era acclamato come un re e lei era “la regina”.

 

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Davanti a uno specchio pieno di lampadine – come fosse nel camerino di un teatro – nella sua camera da letto, indossa vezzosa una coroncina colorata... Pasolini la portò al cimitero inglese davanti alla tomba di Gramsci, la fece recitare in tanti suoi film, fino a Teorema. In Salò la volle soltanto come voce per evitare che subisse ritorsioni fasciste. O era soltanto perché la sua pupattola bionda, quella che appellava ormai come la Pazza, era diventata inguardabile?...

 

Madame non era d’accordo, ma anche a me era sembrata una Edith Piaf romana più che Juliette Gréco, con gli amori in lambretta, in macchina e sui prati verdi delle periferie. Nessun rimpianto, solo sberleffi e carinerie. Laura aveva vissuto dentro La dolce vita felliniana, dove aveva recitato se stessa e ne era uscita intatta.

 

Gli scandalosi amori di un tempo, con Claudio Villa, il reuccio, e con Marlon Brando più tardi, quando Bernardo Bertolucci la tagliò dal suo film Ultimo tango a Parigi. Ogni sera nella sua casa di via del Babuino comparivano a cena registi, attori, modelle. E Madame cucinava, cucinava. La sua vita privata finiva sui giornali scandalistici, rendendola felice.

 

Non temeva di dichiarare in pubblico che Claudio Villa ce l’aveva grosso, nominando i pochi artisti che non si era “fatti”. Era pur sempre lei che li “stuprava”. Di quella dolce vita era rimasto solo l’amaro. Miss Flash, come la chiamavano allora i giornali, non mi sarebbe piaciuta, anche se le risate da brivido me la ricordavano di tanto in tanto...

 

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Ho rivisto Passione di Laura di Paolo Petrucci, girato dopo la morte di lei, in cui il regista interroga i suoi amici, da Bertolucci a Walter Siti, da Francesca Archibugi a Renato Nicolini, da Piero Tosi a Giacomo Marramao, in un tripudio di ricordi, come quello di Bernardo che raccontava ancora una volta dei suoi sanguinosi tagli.

 

Nei suoi film più famosi, firmati da Pasolini, Fellini, Bertolucci, Jancsó, Varda, lei aveva sempre recitato se stessa, aggressiva e tenera com’era. Era un’attrice anche nella vita dicevano i più, mentre a me pareva una donna che custodiva un dolore immenso. Recitava, certo, nelle sue affollate cene, ma come una paesana di Roma che officiava il suo eterno, a volte scoppiettante, consolo con piatti fumanti.

 

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Non gli parlavo mai dei suoi film, sapevo che non le sarebbe piaciuto. Il re delle nostre conversazioni doveva restare pur sempre Pier Paolo. Una volta mi chiese se volevo partecipare in veste di bigliettaio a un film del fratello di Bernardo...

 

Un’altra volta mi mandò in piazza del Popolo a doppiare un paio di frasi del film Guerre stellari. L’avevo ammirata nella Dolce vita di Fellini, in cui aveva una particina da saccente, e di più quando faceva la serva in Teorema. Mi piacque anche in Porcile, in Che cosa sono le nuvole? e nei Racconti di Canterbury.

 

Mentre la frequentavo partecipò a Novecento di Bertolucci, a Vizi privati, pubbliche virtù di Jancsó, Sbatti il mostro in prima pagina di Bellocchio e Il grande cocomero della Archibugi. Uscivo dal cinema con l’aria di averla rivista nel suo salotto, come quando ero seduto sul divano di casa sua e mi sentivo a teatro.

CLAUDIO VILLA CLAUDIO VILLA

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