Piero Negri per “la Stampa”
«Se mi volete bene, smettete di chiedermi di mettermi al pianoforte e suonare. Non sapete la sofferenza che mi provoca, perché non posso, ho due dita che non rispondono più bene e non posso dare alla musica abbastanza. E quando saprò di non riuscire più a gestire un' orchestra, smetterò anche di dirigere».
Ezio Bosso, pianista, compositore e direttore d' orchestra, che due giorni fa ha compiuto 48 anni, a Bari per la Fiera del Levante e per un progetto di formazione del pubblico e di valorizzazione del territorio attraverso la musica, ha parlato con franchezza e grande sofferenza dell' evoluzione della malattia degenerativa neurologica che lo tormenta da anni.
Torinese per nascita e origine, londinese e bolognese per residenza recente, Bosso fermò letteralmente l' Italia (perfino la frequenza delle presenze su Twitter calò drasticamente) quando apparve al Festival di Sanremo del 2016, quando parlò del significato della bellezza e della musica nella sua esperienza di uomo e fece ascoltare al pianoforte la sua composizione Following a Bird. Colpito dalla sindrome autoimmune nel 2011, quando dovette anche subire un intervento per l' asportazione di una neoplasia, Bosso è riuscito con feroce determinazione a riconquistare la capacità di fare musica, coronando il sogno di salire sul podio di importanti orchestre in teatri storici: negli ultimi mesi il Regio della sua città natale e a Bologna la speciale orchestra di «abbadiani» come lui, che ha ricordato il Maestro a cinque anni dalla morte.
Come ci ha detto qualche tempo fa, Bosso si sente soprattutto direttore: «Volevo fare il direttore anche da ragazzo, ma allora, quando arrivavi da una famiglia povera, ti facevano capire che non potevi permettertelo. Ti dicevano: suona il contrabbasso, almeno trovi un lavoro sicuro. La direzione te la devi guadagnare, magari incontrando, come è successo a me, maestri che ti incoraggiano». E ancora: «Sono un direttore che compone e che all' occorrenza suona il pianoforte. La mia natura è quella di concertare gli altri.
Però il piano mi ha aiutato, mi ha permesso di fare musica senza stancarmi troppo.
Anni fa non sarei mai riuscito a dirigere, poco tempo prima non riuscivo neanche a suonare il pianoforte: tentai un concerto di tre quarti d' ora e svenni sulla tastiera».
Soprattutto, non ha mai voluto considerare come una «disabilità» la malattia che l' ha colpito, come ha ribadito anche a Bari: «La disabilità è negli occhi di chi guarda, perché il talento è talento e le persone sono persone, con le ruote o senza». Ha parlato di musica («Un focolare attorno al quale sedersi, un linguaggio universale che permette a tutti di parlarsi e fare comunità a prescindere dal luogo di provenienza») e ha chiesto al pubblico accorso per ascoltarlo di fare «un applauso» all' articolo 9 della Costituzione italiana («La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione»), «una figata pazzesca perché mette insieme musica, arte e paesaggio. Ma se di quelle cose non ci prendiamo cura, spariscono e ce ne accorgiamo quando le perdiamo. La musica», ha detto, «ci ricorda anche questo: prendersi cura, avere rispetto, far star bene, non confondere la quotidianità con l' eternità, i nostri piccoli poteri con l' assoluto».
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