Luca Pallanch per “la Verità”
Dietro la bellezza si cela una donna decisa, risoluta, «teutonica», come si definisce. Barbara Bouchet non è mai scesa a compromessi puntando solo su sé stessa e sulla propria bellezza, della quale ha fatto un uso lucido e consapevole. Fin quando ha capito che, arrivati a un certo punto della vita, non le sarebbe più servita e allora, con grande intelligenza, ha percorso altre strade, con la medesima lucidità e determinazione. La sua vita è stata come le montagne russe, un continuo saliscendi, più volte si è ritrovata a dover ricominciare da capo per inseguire un sogno coltivato fin da adolescente.
Lei è arrivata in America dall' ex Cecoslovacchia, passando attraverso la Germania.
«Sono nata in Cecoslovacchia, ma l' anno dopo la mia nascita, nel 1944, sono arrivati i russi e ci hanno mandato via. Mi sono trasferita con la mia famiglia in Germania, dove ho vissuto dodici anni, poi siamo andati in California».
Suo padre cosa faceva?
«Il fotografo, però in America non poteva più farlo. Quando siamo arrivati in California, per un paio di anni abbiamo lavorato nei campi di cotone per saldare il nostro debito nei confronti della persona che ci aveva pagato il viaggio».
Tutta la famiglia lavorava nei campi?
«Papà, mamma e io. All' epoca eravamo cinque fratelli, poi si è aggiunta un' altra sorella, a San Francisco. Io era la più grande. Raccoglievo il cotone, salivo sulla scala del camion e lo buttavo dentro. Vivevamo a San Joaquin Valley, il posto più caldo della California, in mezzo al deserto: quattro capanne e una scuola! Quando siamo arrivati, mia madre era disperata: voleva scappare e tornare in Germania, ma non si poteva».
In Germania dove avevate vissuto?
«Per undici anni nella Bassa Baviera, poi mio padre aveva finalmente trovato un buon lavoro, sempre come fotografo, a Monaco di Baviera e anche una bella casa. Poi è arrivata la notizia che alcuni amici di mamma avevano trovato gli sponsor per andare in America. Lui, innamorato di mia madre, ha mollato tutto».
Quindi era sua madre che voleva andare in America...
«Sì, perché quando era ragazzina, era andata con mia nonna da una chiaroveggente, che le aveva detto: "Questa ragazzina attraverserà il grande mare". Questa frase se l' è tenuta in testa e ha deciso che sarebbe andata in America».
Suo padre poi ha trovato un altro lavoro in America?
«Quando ci siamo liberati dai nostri impegni, siamo andati a San Francisco. Mio padre si è arrangiato a scattare foto nei matrimoni, i battesimi, le comunioni. E mi fotografava in continuazione, mi insegnava come posare, come sorridere, come mettere la testa».
E lei ha mandato le foto a qualcuno?
«Papà mi avevo scattato una foto a colori, cosa piuttosto rara all' epoca, io l' ho data a un ragazzino a scuola che mi piaceva e lui, a mia insaputa, l' ha mandata a una rete televisiva che organizzava un concorso in un programma chiamato Dance party.
All' epoca era uscito un film con Sandra Dee e James Darren, Gidget, e cercavano una perfetta sosia della protagonista. Gidget era alta un metro e cinquanta, capelli corti a caschetto, io non somigliavo per niente a Sandra Dee. Eppure la mia fotografia ha vinto. Il premio era una serata con James Darren e un provino a Hollywood. Sono stata a cena con Darren, ma del provino non hanno più detto niente».
Quanti anni aveva?
«Quattordici. Visto che non mi hanno fatto fare il provino, io, come mia madre, mi sono tenuta questa cosa in testa e l' anno dopo ho detto ai miei: «Devo andare a Los Angeles a fare il provino!». Avevo un' amica, una modella fotografata da mio padre, che si era spostata a Los Angeles e ho chiesto di stare da lei. Mi sono iscritta a scuola di recitazione. Per mantenermi ho fatto vari lavori: vendevo scarpe, portavo pollo fritto a casa della gente».
I provini come andavano?
«Eravamo centinaia e centinaia di ragazze e sembravano tutte uguali, per cui mi dicevo: "Ma quando mai troverò un ruolo?". Ho fatto una pubblicità per parrucche e l' ha vista il marito di Doris Day, Marty Melcher, che mi ha contattato per fare un piccolo ruolo nel film con Doris Day e James Garner Fammi posto tesoro. A poco a poco, sono riuscita a fare una serie di film con attori grandissimi che non sapevo chi fossero. Finché è arrivato il provino di Otto Preminger per Prima vittoria. Ha chiesto se sapessi nuotare e ho detto sì, ma ho mentito, avendo sempre avuto un' avversione per il nuoto. Io ero l' ultima attrice ad essere provinata... certe urla! Quando è arrivato il mio turno, ho detto a Preminger: "Lei mi deve fare un piacere: non urli. Sei lei urla, io mi blocco, magari piango pure!".
"Tranquilla. Adesso hai capito cosa non mi piace". Ho fatto il provino e lui mi ha fatto un contratto di sette anni».
Preminger veniva anche lui dall' Europa.
«Parlavamo in tedesco. Dopo il secondo anno ho visto che nei film in programma non c' era un ruolo adatto a me, allora gli ho detto: "Otto, io devo andare avanti. Va bene che lei mi paga tutte le settimane, però io perdo due anni e magari comprometto il mio futuro. Posso lasciare il mio contratto?". Per me era come un padre. Lui mi ha detto: "Va bene"».
A quel punto era a spasso
«Ho conosciuto una persona che diceva di essere un produttore e voleva fare un film con me. Dovevamo andare al festival di Cannes e prima ci siamo fermati a Parigi. "Ho prenotato una suite per noi". Ho preso un cuscino e una coperta, li ho messi nel salone e ho chiuso la porta.
Nella hall dell' albergo, un signore mi ha detto: "Barbara Bouchet? Sono Carlo Ponti". Era l' anno in cui Sophia Loren era presidente della giuria del festival, il 1966. "Le devo parlare di un film. Domani deve andare a Londra a incontrare questo regista italiano... Michelangelo Antonioni". All' aeroporto ho incrociato un produttore, Charlie Feldman.
Gli ho detto che andavo a Londra per incontrare Antonioni. Lui mi dato delle pagine di un copione: "Le legga. Se per caso, con quell' italiano non va in porto, io le offro questo ruolo"».
Com' è andata con Antonioni?
«Appena mi ha visto, mi ha detto che era stanco. Io vengo dalla Francia a Londra per incontrarlo e lui è stanco! L' ho salutato e me ne sono andata. Giù nell' albergo ho telefonato a Feldman. "Sono pronta". Ho avuto il ruolo di Moneypenny in Casino Royale. Mi hanno fatto un altro contratto per sette anni. Con Charlie ho fatto Casino Royale, La mano che uccide e a teatro Mister Roberts, poi lui è morto e così è finito il mio contratto con lui».
A quel punto?
«Sono tornata a Hollywood e ho fatto Sweet Charity di Bob Fosse con Shirley MacLaine. Poi mi sono imbattuto in un personaggio al quale mi sono rifiutata e lui mi ha detto che mi avrebbe distrutto la carriera. Non capivo perché potesse arrivare a tanto. Quando mi sono informata chi fosse veramente... l' avvocato della mafia, legato alla Paramount!
Ho preso i miei bagagli, sono andata a New York e ho cercato lavoro nelle agenzie di modelle. Poi mi è arrivata una telefonata da Los Angeles: "Ci sono due italiani che ti vogliono per un film in Italia".
Roberto Loyola e Piero Zuffi, rispettivamente produttore e regista di Colpo rovente.
«Mi stuzzicava l' idea di andare in Italia, tanto a New York cosa facevo? Sono venuta in Italia ed è stata la mia fortuna!».
Ed è rimasta in Italia...
«Sì, ho cominciato a fare un film dietro l' altro. Finivo il sabato e iniziavo il lunedì».
Ha rifiutato qualche film?
«Due: Histoire d' O, che poi ha fatto Corinne Clery, e La chiave di Tinto Brass, che poi ha fatto Stefania Sandrelli. Troppo spinti».
Nel 1974 si è sposata con Luigi Borghese.
«Faceva l' assicuratore, ma un produttore non riusciva a finire un film, allora lui ha messo i soldi per finirlo e a quel punto è voluto diventare produttore. Ha perso tutto! È sempre andato in perdita».
Quindi avete avuto problemi economici.
«A un certo punto ho detto: "Basta! Da oggi in poi non si fanno più film". E io pure sono uscita dal cinema, a 39 anni. Mi ero detta: "Il simbolo del sesso non è che si può fare ai 40, è ridicolo! Fino a 40 anni lavoro, poi non lavoro più". Quando ho deciso di smettere con il cinema, mi sono detta: "Adesso che faccio?".
L' unica cosa che sapevo fare era la ginnastica. In quel momento è scoppiato in America il fenomeno Jane Fonda. È stata un' illuminazione: ho aperto una palestra, sono andata in Rai e ho chiesto se fossero interessati a fare la trasmissione Salute e benessere. Hanno detto di sì. Ho fatto due anni di trasmissione e ho mandato avanti la palestra. Mi sono annullata come attrice per dodici anni».
È tornata sul grande schermo nel 2001 con Mari del sud di Marcello Cesena.
«Ero in piena depressione. Sono ritornata sul set e non mi ricordavo due parole di seguito».
Poi ha fatto Gangs of New York di Martin Scorsese.
«Non mi è servito a nulla, perché ormai gli italiani mi avevano cancellato completamente dalla faccia della terra. Dicevano: "È ancora viva?"».
Però ha iniziato a lavorare regolarmente.
«Con Un posto al sole e Incantesimo mi sono rimessa in carreggiata, accettando cachet minimi. Ho pensato: "Bene, vuol dire che devo risalire la scala per farmi valere"».
In Tolo Tolo di Checco Zalone ha un ruolo piccolo, senza uno sviluppo.
«Infatti, dopo che ho visto il film, mi sono chiesta: "Ma perché ha chiamato me se non fa uso della mia fama?". Lui è da solo e non c' è spazio per nessuno. Era talmente preso dalla sua prima regia che abbiamo parlato pochissimo».
Si parla sempre di suo figlio Alessandro. L' altro figlio, Massimiliano, cosa fa?
«Lavora con il primo al ristorante, sta in sala».
alessandro borghese barbara bouchet
La passione per la cucina gliel' ha trasmessa lei?
«No, per me possono murare la cucina. Odio cucinare. Ha preso dal padre napoletano».
Si sarebbe aspettata un figlio cuoco?
«Mai!».
Il nome d' arte Barbara Bouchet chi lo ha scelto?
«Il mio agente, quando facevo la modella. Mi ha detto che con il mio cognome Gutscher non sarei andata da nessuna parte. Ha cominciato a pronunciare delle parole che avessero un' assonanza con Gutscher Butscher ed è saltato fuori Bouchet».
barbara bouchet - tarantino bouchet tarantino