Marco Giusti per Dagospia
CAFÉ SOCIETY DI WOODY ALLEN CAFÉ SOCIETY DI WOODY ALLEN
Cannes primo giorno. Caruccio, con una poeticuccia alla pupiavati e un respiro da raccontino già sentito, Café Society di Woody Allen, presentato ieri sera fuori concorso, ha divertito, ma non ha certo illuminato la serata inaugurale del Festival di Cannes. Non è né Blue Jasmine né un ritratto della Hollywood classica come Ave, Cesare dei Cohen.
Indeciso, come il suo protagonista, Bobby Dorfman, interpretato da Jesse Eisenberg come un giovane Woody Allen, tra New York e Los Angeles, il film si sposta da una città all’altra mentre regnano ovunque i meravigliosi anni trenta, quelli del jazz e dei gangster cresciuti nelle strade e quella dei divi e dei sogni di Hollywood. Tutto sotto il segno della frase “La vita è una commedia scritta da uno sceneggiatore sadico”.
Bobby, giovane ebreo del Bronx, viene mandato in cerca di fortuna a Los Angeles dallo zio Phil, un quasi irriconoscibile Steve Carell, potente agente di Hollywood. E’ proprio lo zio Phil, per cercare di farlo crescere, a metterlo nelle mani della sua bella segretaria Vonnie, una incantevole Kristen Stewart. Bobby si innamora subito di Vonnie, non sapendo che è l’amante dello zio, sposatissimo.
STORARO - CAFÉ SOCIETY DI WOODY ALLEN
Da parte sua Vonnie, dichiara di avere qualcuno, ma quando viene lasciata da Phil, promette a Bobby di sposarla e andare a vivere a New York con lui. Non andrà così, perché Phil ci ripensa e le chiede anche lui di sposarlo. E lei lo sposerà, obbligando Bobby a tornare da solo a New York. Lì farà fortuna nel club del suo loschissimo fratello Ben, Corey Stoll, vitalissimo gangster che seguita a mettere i nemici dentro il cemento armato.
Bobby si sposerà con la bella Veronica, una statuaria anche se un po’ inespressiva Blake Lively, avrà un figlio, ma poi un giorno tornerà Vonnie… Si ride, diciamolo subito, perché la famiglia ebrea newyorkese di Bobby è fenomenale, perché il fratello gangster è uno spasso, perché la Hollywood degli anni ’30 di Woody Allen è piena di brio, ma quando la storiellina dell’amore contrastato prende corpo, ma il film perde consistenza e perde il fascino delle citazione del vecchio cinema di Adolphe Menjou e Barbara Stanwick.
CAFÉ SOCIETY DI WOODY ALLEN CAFÉ SOCIETY DI WOODY ALLEN
I Coen si sono spinti molto più lontano con ‘Ave, Cesare’. Gli attori, anche bravissimi come Jesse Eisenberg, Steve Carell e, soprattutto, Kristen Stewart, si trovano in difficoltà nella seconda parte del racconto, perché i loro personaggi, alla fine, non hanno grande sostanza e rimangono un po’ come delle figurine sospese nella fotografia fin troppo esibizionista di Vittorio Storaro. Detto questo, il film è più che godibile, ma sembra quasi segnalare quanto vecchiotto e un po’ già visto potrebbe rivelarsi anche questa edizione di Cannes.
Il primo film del concorso, invece, è il rumeno Sieranevada diretto da Cristi Puiu, due ore e 53 minuti di un complessissimo gioco di messa in scena e di scrittura che vede una serie di parenti riuniti assieme per celebrare la morte del capofamiglia Emil quaranta giorni dopo la sua morte, e a soli tre giorni di distanza dal massacro di Charlie Hebdo.
Puiu, che il pubblico più informato ricorderà come l’acclamato regista di La morte di Mister Lazarescu, solo 150’, ci obbliga a una difficile prova di attenzione. Perché piazza la sua macchina da presa in un posto della casa dove si vedono i tanti parenti e la muove da lì, per grossi piani sequenza, come se fosse l’occhio di uno dei personaggi (per Peter Debruge, potrebbe addirittura essere l’occhio del morto).
Sieranevada diretto da Cristi Puiu xt
Così facendo costringe lo spettatore a ricostruire i rapporti fra i tanti personaggi e le loro storie e i loro problemi dai frammenti di quello che sente. Il protagonista Lary, Mimi Branescu, sta per lo più zitto e in ascolto di ciò che dicono gli altri, salva far vedere alla madre una assurda bicicletta elettrica da interni che gli ha portato in regalo.
Sieranevada diretto da Cristi Puiu aK Sieranevada diretto da Cristi Puiu
Già nelle prime due lunghe scene, la tecnica di Puiu è stata la stessa. Macchina ferma da un lato della strada e i personaggi, cioè Lary e sua moglie Sondra, che si muovono. Poi macchina ferma dietro la macchina in movimento e la moglie che parla con il marito. Dopo quasi un’ora di film, che ha delle parti anche divertenti, lo spettatore riesce a ricostruire qualcosa del racconto generale e a entrarci dentro, ma lo sviluppo è estremamente faticoso.
Come in qualsiasi dramma familiare alla Vinteberg, diciamo, anche qui si passa da situazioni più o meno paranoiche a vecchi drammi che tornano a gallo. C’è un fratello fissato con Internet e con le teorie sull’11 settembre, c’è un pope che è stato lungamente atteso e alla fine va via raccontando una storia che dovrebbe avere una morale, c’è la vecchia comunista e la tossica. Su tutto regna un senso di claustrofobia mica male. In generale il film è molto piaciuto.