Simona Bertuzzi per “Libero Quotidiano”
Forse era destino che da un tormentone come «Ce l' ho qui la brioche» nascesse un cuoco da urlo. Nino Formicola, in arte Gaspare, in sintesi Gaspare e Zuzzurro, mi guarda scanzonato dall' alto del palcoscenico profumato e incantato della sua cucina milanese.
Quattro metri di mensole, mestoli e intrugli del mestiere e quel gran piano da lavoro fatto per perdersi o ritrovarsi. Manca solo che qualcuno versi il vino e si alzi il sipario.
Dai Nino, è uno scherzo o sei un cuoco vero?
«Sono un cuoco vero. E organizzo social dinner».
Che nel tuo caso diventano «A cena col comico». Ma che ci fai tu ai fornelli?
«È nato tutto casualmente perché dovevo registrare delle video-ricette. Mi hanno detto: "Senti, ma tu sai cucinare? E allora perché non fai delle social dinner? Tu cucini e la gente viene a mangiare e sta con te"».
E dove le fai?
«In un posto a Milano attrezzato per gli shooting fotografici».
Improvvisi ogni volta o hai un menù?
«La mia regola è cucinare quello che a casa non fai più perché non hai il tempo e che al ristorante non ti offrono perché è passato di moda».
Per esempio?
«Tu lo trovi mai l' arrosto al ristorante?».
Ma allora è la cucina della nonna
«Noooooooo. Non è la cucina della nonna perché io spazio moltissimo e sono capace di farti una cena mediterranea a base di cous cous piuttosto che la moussakà di gazpacho».
E la gente apprezza?
«Tutto è nato dal fatto che ho passato la vita nei ristoranti, e va bene mangiare certe cose sfiziose, presentate bene... Poi però, dopo un po', ti viene voglia di mangiare una carbonara fatta come Dio comanda».
E come funziona, la gente viene e tu cucini?
«L' ho sempre fatto anche per gli amici. Cucino, chiacchiero, mangio con loro».
Ti chiederanno di intrattenerli...
«Beh, l' indole dell' intrattenitore ce l' ho».
Chi ti aiuta?
«La mia signora Alessandra. Una bella donna fa sempre bene...».
Qualcuno ti ha mai detto: "Non mi piace"?
«Ho visto gente pulire le pentole con i pezzi di pane».
Ed è diventato un lavoro?
«Direi che è più che altro un divertimento, non si guadagna».
La ricetta forte di Nino?
«La moussakà, per esempio».
Una bestemmia?
«No, un piatto greco. Una lasagna fatta con le melanzane e la besciamella. Anche la zuppa di pesce mi viene bene. E poi una cosa che non fa più nessuno: gli spaghetti al pomodoro. Hai mai mangiato un sugo di pomodoro fatto in casa secondo l' antica ricetta?».
Mi dici il segreto?
«Non ci penso nemmeno».
Ti sei reinventato dunque.
«Un po' sì... Il problema è che io faccio questo lavoro da 40 anni e il teatro per un attore è la salvezza, perché ti dà la continuità nel tempo».
Rispetto alla tivù, intendi?
«Se sei in tv, devi rimanerci. Il teatro invece ti dà una longevità artistica e ti mette sempre nella condizione d' avere un riscontro effettivo, il famoso applauso del pubblico».
Dopo la morte di Zuzzurro è stata dura?
«È stato difficile perché io ho sempre ragionato in due, trovarsi da solo diventa spiazzante e faticoso, anche dal punto di vista dell' invenzione comica. E poi eravamo dei precursori. Tra noi non c' era la spalla e il comico, funzionava il meccanismo del palleggio, come tra Ficarra e Picone, Ale e Franz».
E che hai fatto?
«Mi sono dato da fare... teatro, cucina, anche un libro: Io sono quello senza barba, che è la nostra biografia, mia e di Zuzzurro, la vera storia dall' inizio alla fine».
C' è ancora chi ti chiede di fare degli sketch?
«Ho avuto il problema opposto, che la gente mi ferma e mi dice: "Ah, ma lavori ancora?"».
ZUZZURRO GASPARE 1 ZUZZURRO E GASPARE
Quanta amarezza...
«Ma no, è che tu nell' immaginario del pubblico sei un unicum e non è un caso se noi siamo l' unica coppia nella storia della comicità a cui cambiavano i nomi. Eravamo Zuzzurro e Gaspare, e ci chiamavano indistintamente Gaspare e Zuzzurro.
Ma hai mai sentito qualcuno dire Olio e Stanlio? Purtroppo, quando è mancato Andrea, hanno pensato che fossi mancato anch' io ed è il motivo per cui spero di avere un po' di visibilità in tivù e una situazione che mi consenta di dire alla gente "guardate che ci sono e faccio ancora il comico"».
Hai fatto il cieco nella tramissione di Ricci, Giass.
«Ricci mi ha chiamato subito dopo la morte di Andrea e ha detto: "Conta su di me, appena ho l' occasione torni in onda, devi farlo subito, come quando hai un incidente. Se non ti rimetti al volante, ti viene il terrore". E così è successo a me, ero terrorizzato. Invece i miei pezzi sono andati bene».
E questo cieco?
«Era incacchiato col mondo e con la tecnologia».
Hai detto che ti senti affamato e folle alla Steve Jobs.
«Affamato e folle due volte perché dentro di me ci sono due trentenni. L' entusiasmo non mi manca e la Natura mi ha dotato di una vitalità straordinaria. Guarda che fisico».
Il cuoco, l' attore... cosa ti manca?
«Faccio un corso su "L' artigianato del comico". Spiego il lavoro dietro le quinte».
E se ti dico che voglio fare il comico?
«Ti rispondo: arrangiati. Se uno possiede il duende e il talento del comico si intuisce subito. Io apro il corso dicendo: "Ricordatevi che il pubblico non capisce una mazza"».
Vuoi dire che siamo tutti ignoranti?
«Ma no, è il postulato di Mina. Se Mina canta una canzone brutta e tu capisci che fa schifo, dici: fa schifo, virgola, ma che voce c' ha Mina. Se un comico fa uno sketch che non fa ridere, tu non dici: brutto sketch ma lui è bravo. Dici: questo un cretino».
Ma com' è che hai capito che volevi fare il comico?
«Guardando i Gufi una domenica del 1969, al Teatro Nuovo. Sono impazzito e ho detto: voglio fare questo mestiere, mi piace troppo il cabaret».
È stato facile?
«Ho impiegato anni... Devi pensare che oggi, se uno vuole cominciare, ha mille possibilità, pensa solo a Internet. All' epoca c' erano Rai1 e Rai2».
Voi ce l' avete fatta.
«Sì, ma abbiamo fatto poca tv, ci siamo buttati in teatro quasi subito, Andy e Norman è dell' 86... Apparteniamo a quel gruppo di comici che in tv perdono un po'. D' altronde, se oggi si presentasse Walter Chiari con lo sketch del Sarchiapone glielo farebbero fare in 5 puntate. Va di moda la velocità, gli stand up comedy, quelli che arrivano davanti a un microfono e sparano 25mila battute».
Far ridere è dura?
«Dipende dal contesto».
Come nasce allora «Ce l' ho qui la brioche»?
«È un tormentone venuto per caso. Eravamo ad Antenna 3 in diretta e io avevo dimenticato un oggetto in camerino. Allora pianto Andrea sul palco e vado a cercarlo. Andrea, non sapendo cosa fare, finge di telefonare a casa e dice: "Sì mamma, ce l' ho qui la brioche». Che era una frase che lui diceva normalmente alla madre quando andava a scuola e lei gli chiedeva: "Hai preso la colazione?". Solo che equivaleva a dire: "Non mi rompere le balle"».
«Quella sera il regista, Beppe Recchia, disse: "Guardate che quella roba lì fa ridere, rifatela".
Aveva ragione, perché una mattina sono in macchina e sento Max Venegoni a Radio 105 che dice "ce l' ho io la brioche", al che ho chiamato Andrea e gli ho detto: "Siamo diventati famosi"».
Il bello di Drive in?
«Gli scherzi memorabili. E che nessuno dei protagonisti si rendeva conto dell' impatto che aveva sul pubblico. Una volta andiamo a fare serata a Forlì, usciamo dal casello e troviamo un' auto della polizia.
"Siete Zuzzurro e Gaspare?" ci dicono. "Sì perché? non abbiamo fatto niente". "Venite con noi, prego". E ci portano allo stadio di Forlì, in mezzo a due ali di folla impressionanti. "Scusi ma chi c' è stasera?" "Ci siete voi". Pazzesco... Non ci rendevamo conto della potenza.
L' abbiamo capito dopo, con Emilio, in cui abbiamo messo in onda un personaggio stralunato come Gnocchi che alla terza puntata riempiva i teatri».
Anni intensisissimi.
«Dall' 80 al '94. Sembrava di stare su uno scivolo imburrato. Io dico che dovrebbero fare una legge per cui chi fa la tv dopo due anni deve saltare un anno e tornare nella normalità, se no ti saltano le connessioni».
Muore Zuzzurro, e a Gaspare che succede?
«Ho ricominciato da un cabaret piccolo, il Ca' Bianca di Milano, ma è durato poco. Il mio curriculum vale in quanto Zuzzurro e Gaspare, non in quanto singolo. O meglio, ho un valore teatrale perché a teatro interpreto dei ruoli, ma per la comicità fine a se stessa sono un debuttante allo sbaraglio».
Voltare pagina e cambiare mestiere?
«E cosa faccio? Ho sempre fatto solo questo».
E ora torni con uno spettacolo intitolato D' Assolo.
«È uno spettacolo sull' ansia comica che viene a un comico quando non gli viene niente che fa ridere o la paura di non riuscire più a far ridere».
Chi testa le tue battute?
«Nessuno».
E se il pubblico non ride?
«Non mi è mai capitato. Vedi, noi facciamo un lavoro del cazzo. Quando non ti viene in mente niente, morderesti la nuca al primo che passa, siccome non puoi farlo qualcosa ti inventi... Ma è difficile spiegare a mia moglie che quando sto guardando il vuoto sto lavorando. Però è vero, io mi devo sdraiare e fissare un soffitto per avere l' idea.».
Hai figli?
«No, con me finisce la schiatta. Non ho mai avuto a che fare con un bambino in vita mia.
Non ho nemmeno avuto amici con figli. Forse perché ho sempre avuto 14-15 anni, i comici si fermano a un' età bambinesca perché se ti vergogni a mettere il naso rosso del clown hai finito. In me dunque ci sono quattro 15enni».
Incoscienza?
«E cultura... Difficile incontrare un comico cretino».
Se non fossi stato Gaspare, chi saresti stato?
«Uno dei fratelli Marx o dei Monty Python».
ZUZZURRO E GASPARE ZUZZURRO E GASPARE