“Pulci di notte” di Stefano Lorenzetto (http://www.stefanolorenzetto.it/pulci.htm)
pubblicato da “Italia Oggi”
massimo giannini a otto e mezzo
La Repubblica offre in prima pagina un editoriale di Massimo Giannini, già direttore della Stampa, con questo titolo: «I tristi complotti di mezza estate». Nel testo, Giannini cambia aggettivo e scrive: «La cospirazione contro il governo, invece, è il marcio “sogno di mezza estate” del biografo della presidente del Consiglio, direttore de Il Giornale».
ALESSANDRO SALLUSTI - GIORGIA MELONI - MARCO TRAVAGLIO
L’editorialista non ne fa il nome, ma si chiama Alessandro Sallusti. Non fa nemmeno il nome di William Shakespeare, a cui pure deve la citazione (mutilata) del Sogno di una notte di mezza estate. Giannini, in realtà, usa l’espressione «mezza estate» nel senso erroneo di metà estate, quale può essere considerato il mese di agosto con le sue ferie.
Mezza estate (Midsummer) invece vuol dire che la stagione calda è appena cominciata. Shakespeare con il titolo della commedia si riferiva infatti alla notte di san Giovanni Battista, festività che cade il 24 giugno, e cioè nel periodo compreso tra il 21 e il 25, quando grossomodo avviene il solstizio d’estate. La ricorrenza era celebrata nei Paesi del Nord Europa già in epoca precristiana.
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scena della pastasciutta con toto in miseria e nobilta
«“Cnel? Anche l’Eni doveva sparire...”», titola il Corriere della Sera. È Renato Brunetta a pronunciare la frase virgolettata. Testo: «Renato Brunetta, ospite del Meeting di Cl a Rimini, parla del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro che presiede dal 2023: “Il Cnel? Anche l’Eni doveva essere cancellata alla fine della Seconda guerra mondiale.
Fu incaricato Enrico Mattei come liquidatore: la storia, poi, la conosciamo tutti». Tutti tranne Brunetta (e il titolista del Corriere): l’Eni alla fine dell’ultimo conflitto mondiale non esisteva, essendo stato fondato nel 1953 da Mattei.
A essere inglobata nell’Eni fu l’Agip, società petrolifera nata nel 1926. E, in ogni caso, Eni sta per Ente nazionale idrocarburi, quindi richiedeva il verbo al maschile: «doveva essere cancellato».
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Donatella Stasio in un editoriale sulla Stampa: «Ma attenzione: se, come diceva Anna Harendt, la verità non è annoverata tra le virtù politiche, a lungo andare la menzogna si ritorce contro chi la pratica, con conseguenze gravi per tutti». Ma attenzione: la filosofa si chiamava Hannah Arendt.
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«Roberto Gualtieri, che della capitale sarebbe il sindaco anche se sembra Aldo Fabrizi in “Totò guardie e ladri”», osserva Salvatore Merlo, vicedirettore del Foglio, in un editoriale di prima pagina. Il film di Steno e Mario Monicelli, uscito nel 1951, fu sicuramente interpretato da Totò (oltre che da Fabrizi), ma il titolo corretto è Guardie e ladri.
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Riferendosi all’attentato contro il gasdotto Nord Stream, Maurizio Belpietro, direttore della Verità, nell’editoriale di prima pagina scrive che «le bombe fecero esplodere le condotte collocate sui fondali marini». Ci pare una tautologia: fondale significa già «profondità delle acque del mare» (Lo Zingarelli 2025).
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Ivan Zazzaroni, direttore del Corriere dello Sport, intervista Giovanni Malagò e gli fa pronunciare una bestialità sulle Olimpiadi, che il presidente del Coni, uomo di numeri (commerciava Ferrari, Maserati e Bmw con la Samocar, concessionaria di Roma), non può aver pronunciato: «Venti, trent’anni fa ad assistere alla cerimonia d’apertura dei Giochi c’erano 300 milioni di persone, oggi 800.
toto e sophia loren nella scena finale di miseria e nobilita??
Il presidente Bach ha affermato che la metà del mondo ha seguito l’evento, parliamo della metà di 8 miliardi». Ma la metà di 8 miliardi non possono essere 800 milioni di persone.
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«Poiché la storia finisce con la pastasciutta, divorata senza bon ton, l’orario delle 12.15 sembra perfetto per rivedere uno dei migliori Totò, tratto dalla farsa di Scarpetta Miseria e nobiltà, uno dei sette film del comico interpretati nel ’54». Così comincia la recensione di Maurizio Porro sul Corriere della Sera, nella rubrica I classici dell’estate. Il critico cinematografico ha un doppio vuoto di memoria, visto che più avanti insiste: «Tutto finisce con la famosa spaghettata».
Miseria e nobiltà non finisce affatto con la pastasciutta, bensì con Totò che s’inchina verso la platea, insieme con tutti gli altri attori in palcoscenico, e pronuncia la battuta: «Mi basta di sapere che il pubblico è contento». La scena in cui Totò afferra gli spaghetti con le mani, li ingoia avidamente e se li infila persino nelle tasche è alla fine del primo tempo (del primo atto nella commedia di Eduardo Scarpetta).
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Antonio Gnoli intervista su Robinson, settimanale culturale della Repubblica, il pittore Valerio Adami. «Gli studi a Brera e l’iniziazione alla pittura nella Milano del dopoguerra. L’amicizia con Derrida, Todini, Berio che ha nutrito le sue opere.
francesco storace foto di bacco
L’amore per l’India e i viaggi sul Gange con la moglie Camilla. I ricordi di un eclettico». Todini chi? A noi viene in mente solo Luisa Todini, ex europarlamentare ed ex presidente delle Poste. Poi vai a leggere il testo e scopri che Adami in realtà parla di Emilio Tadini, pittore e scultore morto nel 2002.
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Per un articolo rievocativo del crimine di Acca Larentia, Francesco Storace su Libero se la prende con Domani e propone di chiamarlo Torcicollo. Ma sbaglia il nome della testata (priva di articolo) e scrive Il Domani per ben quattro volte.