La Repubblica, i francobolli diventano numismatica
“Pulci di notte” di Stefano Lorenzetto da “Anteprima. La spremuta dei giornali di Giorgio Dell’Arti” e pubblicato da “Italia Oggi”
(http://www.stefanolorenzetto.it/pulci.htm)
Dal sito della Repubblica: «Un francobollo per Italo Foschi, il gerarca fascista che lodò l’assassino di Matteotti». Occhiello: «Numismatica». A occuparsi di monete ora è la filatelia.
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Commentando le elezioni in India, Danilo Taino sul Corriere della Sera scrive, a proposito del premier Narendra Modi: «Voleva ottenere una maggioranza di due terzi che gli avrebbe consentito, tra l’altro, di modificare la Costituzione secolare e multiculturale».
narendra modi festeggia la vittoria alle elezioni 2024
Secolare mica tanto: promulgata nel 1949, entrò in vigore nel 1950. (Ma forse il collega è stato ingannato da una distratta traduzione dell’inglese secular, che in questo contesto significa «laica»).
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«Quasi mezzo secolo fa, di fronte al rischio della vittoria del Pci Indro Montanelli scrisse che gli italiani dovevano turarsi il naso e votare Dc. Oggi, in fondo, non serve neanche turarsi il naso», è la conclusione dell’editoriale di Maurizio Belpietro, direttore della Verità. Trattasi di un luogo comune privo di fondamento, come documenta Stefano Lorenzetto in Chi (non) l’ha detto, il «dizionario delle citazioni sbagliate» edito da Marsilio.
INDRO MONTANELLI IN UN ILLUSTRAZIONE DI FRANCO BEVILACQUA
Prima di Belpietro e di una vasta platea di giornalisti, ci era cascato persino Andrea Spiri (nella sua tesi per un dottorato di ricerca in storia dell’età contemporanea discussa all’Università di Bologna), il quale la riportò facendola seguire da questo rimando a piè di pagina: «I. Montanelli, “Quando la paura è giustificata”, Il Giornale Nuovo, 20 giugno 1976».
Benché Spiri sia oggi docente alla Luiss di Roma e membro della Società italiana per lo studio della storia contemporanea, nell’editoriale firmato da Montanelli il 20 giugno 1976 l’invito a turarsi il naso e a votare per la Dc non figura affatto, osserva Lorenzetto, che si è preso la briga di andare a rileggersi tutti gli articoli del fondatore del Giornale, usciti, sul tema elettorale, il 4, 5, 13, 21 maggio e 4, 13, 15, 19 giugno di quell’anno.
A svelare l’arcano dell’errata attribuzione è Marcello Staglieno, a pagina 322 di Montanelli. Novant’anni controcorrente (Mondadori): «A Telemontecarlo, dove da fine marzo (1976) venturosamente ogni pomeriggio si precipitava una delle nostre auto con la videocassetta per il notiziario curato dal Giornale, già in maggio Montanelli aveva lanciato l’appello poi diventato celebre: “Turatevi il naso” (“Non è mio”, ci aveva spiegato subito dopo.
“Fu Gaetano Salvemini, immediatamente imitato da don Arturo Labriola, a inventarselo nel 1948 come noi, per la Dc, anche se allora il lezzo era minore...”)». Quindi la frase venne pronunciata, non scritta. Ma non è attribuibile né a Salvemini né a Labriola né a Montanelli, come ha scoperto Lorenzetto.
Fu nientemeno che Adolf Hitler, nel 1924, mentre era in prigione, ad annunciare così una svolta parlamentare: «Quando io riprenderò la mia attività, invece di sforzarci di conseguire il potere con un’azione armata, dovremo turarci il naso ed entrare nel Reichstag», riporta lo storico William Lawrence Shirer in Storia del Terzo Reich (Einaudi).
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Grazia Sambruna commenta sul sito del Corriere della Sera la terza edizione del Gialappa Show trasmessa da Tv8: «Eccezion fatta per le bravissime Alessia Marcuzzi ed Ema Stokholma, infatti, le altre si sono dimostrate in grado di centrare con la trasmissione quanto un pandoro a Pasqua in casa Ferragnez». Quando il giornalismo non c’entra niente con la grammatica.
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Su Avvenire, Ilaria Solaini prende in esame l’aumento delle condanne capitali nel 2023 (+31 per cento) nei Paesi dove vige la pena di morte: «Quasi il 90 per cento delle esecuzioni registrate ha avuto luogo in soli due Paesi del Medio Oriente e dell’Africa del Nord: in Iran (74%) e in Arabia Saudita (14%)». Giustiziata anche la geografia.
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Considerazione di Massimo Fini sul Fatto Quotidiano: «Perché la Dc aveva quel senso dello Stato che sempre gli abbiamo rimproverato, a torto, di non avere, come dimostrò all’epoca del rapimento di Aldo Moro, quando Papi e socialisti, corrotti nell’anima prima ancora che sul piano degli affari sporchi, si schieravano per la trattativa con le Brigate rosse».
Non sapevamo che tra il marzo e il maggio del 1978 vi fossero due pontefici regnanti: eravamo rimasti fermi al solo Paolo VI. E chiudiamo un occhio sul pronome maschile gli riferito alla Democrazia cristiana.
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Enrica Roddolo sul sito del Corriere della Sera: «E in effetti l’artista Jonathan Yeo, tra i più quotati ritrattisti britannici del momento vide per la prima volta Carlo per una seduta ai fini del ritratto era solo principe, l’ultimo dei quattro sitting necessari per realizzare l’opera svelata il 14 maggio a Buckingham Palace, si è tenuto invece a Clarence House con davanti l’attuale sovrano».
Allora: le è rimasto nella tastiera un quando, prima di era, e vabbè, cose che capitano. (Peraltro più avanti si è pure scordata la maiuscola dopo un punto, e vabbè, cose che capitano).
Dopo principe ci sarebbe voluto almeno un punto e virgola, ma la punteggiatura è sempre questione di gusti, si sa. Stendiamo un velo anche sulla rozza costruzione con davanti. Ma perché usare la parola inglese sitting al posto dell’italiano sedute? E perché scritta al singolare, nonostante le sedute siano state quattro?
flaubert difende madame bovary
E perché volgerla al maschile, considerato che i generi dei nomi comuni in inglese non esistono, e di solito convenzionalmente prevale il genere della traduzione italiana (esempio: la cheesecake)?
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«Schiaffo Usa all’auto tedesca: “Usano gli schiavi cinesi”», titola La Verità. «Il Congresso accusa Bmw, Volkswagen e Jaguar», specifica il sottotitolo. Non si capisce che cosa abbia di tedesco la Jaguar, visto che si tratta di una casa automobilistica che dal 1945 ha sede a Coventry, nel Regno Unito. Rilevata nel 1989 dalla Ford, fu acquistata nel 2008 dal gruppo indiano Tata motors, al quale tuttora appartiene.
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Da Anteprima: «“Scrivere significa riscrivere”. Gustava Flaubert». Che cosa gustasse Gustave Flaubert non è chiaro. Segue testo di Andrea Garibaldi tratto da Professione Reporter, che rievoca le direzioni di Paolo Mieli alla Stampa e al Corriere della Sera: «Mieli era Direttore della Stampa, dove ha già cominciato a ringiovanire e a rendere più brillanti le pagine». A parte la superflua maiuscola reverenziale, ci sfugge come possa aver cominciato un direttore che era.