Maria Corbi per www.lastampa.it - Estratti
Per raccontare Acca Larentia, la morte di tre giovani missini, uccisi all’uscita della sezione del partito al quartiere Appio Latino, il settimanale l’Espresso, il 15 gennaio del 1978 titolò: “La guerra civile italiana”.
Era solo l’annuncio della ferocia di quell’anno tanto drammatico da non essere ancora oggi consegnato alla storia e nemmeno a una pietà condivisa. Così quando un romanzo, Dalla stessa parte mi troverai (edizioni Sem), ripercorre quei fatti e viene candidato al più importante premio letterario italiano, lo Strega, si rialzano le barricate e si scatena la polemica per «l’odio politico» che, come scrive Annalisa Terranova su Il Secolo d’Italia, «macchia lo Strega».
A firmare il romanzo contestato una giovane scrittrice, Valentina Mira, che a quel tempo non era nata ma che ha deciso di raccontare la storia d’amore di Rossella Scarponi e Mario Scrocca, arrestato dieci anni dopo la strage, sospettato di essere uno degli esecutori, e che perse la vita in cella, al Regina Coeli, in circostanze poco chiare nonostante un’inchiesta frettolosa bollò quella morte come suicidio.
La quarta vittima di quel 7 gennaio 1978, anche perché gli altri ragazzi che vennero arrestati con lui, vennero prosciolti per insufficienza di prove. Ma ancora oggi mettere insieme le vittime di fronti opposti non sembra possibile. E quel tentativo di Walter Veltroni di fare incontrare gli sguardi (nel 2008 sul palco del Palalottomatica a Roma fece abbracciare la madre di Valerio Verbano, ucciso dai Nar, con Gianpaolo Mattei, fratello di Stefano e Virgilio uccisi nel rogo di Primavalle rivendicato da Potere Operaio) è rimasto tale.
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«Spiace vedere un’ombra inquietante allungarsi anche sul Premio Strega: la solita ombra che tende a offuscare la strage di Acca Larentia e vilipendere quei ragazzi innocenti uccisi negli anni più bui della Repubblica, solo perché militanti del Movimento Sociale Italiano», si legge in una nota, diramata ieri, del capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera dei deputati, Tommaso Foti.
Mira proprio all’inizio del libro fa la cronaca di quel che accadde a Acca Larentia con una distanza che non è solo temporale: «Mentre escono dalla sezione, due di loro vengono ammazzati. Gli sparano. Sono anni in cui succede. Sono anni in cui loro sono i primi ad ammazzare. Carnefici; qualche volta, come ora, anche vittime. Del resto, lo sai, se frequenti certi ambienti, che puoi morire. Che sei Romolo oppure Remo».
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Non dice niente di falso, perché in quegli anni si spara, si uccide, ci si vendica. Ma derubricarlo a “normalità” a “te la sei cercata” riporta al clima di anni feroci, come se niente fosse cambiato e niente debba cambiare.
E quel titolo de l’Espresso, “La guerra civile” viaggia nel tempo, fino a noi, all’oggi anche se, bisogna ricordare come il libro della Mira non è un saggio, ma un romanzo dove le emozioni possono rimanere ferme al loro tempo, senza per questo diventare un manifesto.
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Per Fabio Rampelli, FdI, vicepresidente della Camera, «quello che si prova di fronte a certe affermazioni è di profonda afflizione. La banalizzazione del male che approda al Premio Strega grazie ai favori dell’amichettismo di sinistra non era mai arrivata a tanta spietatezza». E ancora: «Da queste parti abbiamo sempre parlato con rispetto di tutte le vittime della violenza politica, anche di quelle che non appartenevano al nostro schieramento. Altrettanto rispetto abbiamo avuto da parte di molti esponenti del Pd che, a Roma, hanno dedicato piazze e vie ai caduti di quel periodo».
Certo, Mirri è troppo giovane per avere letto le parole di Pietro Ingrao nei giorni successivi ad Acca Larentia: «Guai se qualcuno scrollasse il capo solo perché quei giovani sono di estrema destra o cercasse una giustificazione citando la lunga lista di giovani di sinistra aggrediti da squadre fasciste. Sarebbero ragionamenti aberranti».
“Noi” e” loro”, pronomi usati per sottolineare un confine invalicabile segnato anche dalle reazioni della destra che vede nella candidatura del romanzo allo Strega un modo per attaccare il governo e il presidente del Consiglio, come spiega il presidente della Commissione cultura della Camera e Responsabile Nazionale cultura di FdI Federico Mollicone facendosi anche critico letterario: «Il libro, che abbiamo letto per intero, oltre ad una forma sciatta e affatto indimenticabile, non è certo all’altezza di un premio così prestigioso».
Peccato che la stessa fermezza di giudizio non sia stata usata, a destra, lo scorso 7 gennaio per la commemorazione di Acca Larentia con una folla di mani alzate nel saluto fascista. A quasi mezzo secolo di distanza gli “sguardi” non riescono ancora ad incrociarsi anche se tante storie al di qua e al di là della barricata si assomigliano. Viene in mente, leggendo la storia di Mario Scrocca, quella di Nanni De Angelis, (Terza posizione), morto suicida in carcere, dopo essere stato arrestato. Molti anni dopo suo fratello Marcello, anche lui nelle fila di Terza posizione (poi diventato senatore di An), disse «che tutti i morti devono avere giustizia prima di seppellire quegli anni».
Mentre Mira ha spiegato quale è stata la spinta a scrivere questo libro: «Il senso di ingiustizia, per non far scomparire nell’oblio un fatto storico dell’Italia contemporanea. Nessuno racconta questa storia, nessuno la conosce. Acca Larentia è unicamente raccontata dai fascisti. Mi piaceva far saltare il loro impianto vittimistico». Sguardi che non si incrociano mai, se lo facessero si ritroverebbero almeno nel dolore e nella pietà.