Marco Giusti per Dagospia
Uma Thurman and Harvey Weinstein
Cosa saranno gli Oscar senza Harvey Weinstein? O, soprattutto, cosa saranno gli Oscar e il cinema americano col peso di un rovesciamento totale del sistema machista e lobbystico che un produttore potente come Weinstein controllava da vicino?
Intanto, ai Gotham Awards, assieme agli Spirit Awards, i premi più di tendenza della stagione, trionfano Call Me By Your Name di Luca Guadagnino, miglior film, Get Out di Jordan Peele, con premi anche a The Disaster Artist di James Franco, Lady Bird di Greta Gerwig.
Subito dopo, ai NBR, cioè ai National Board of Review, che hanno uno spettro più ampio e popolare, vincono The Post di Steven Spielberg, con premi anche ai suoi due protagonisti, Tom Hanks e e Meryl Streep, poi Lady Bird per la miglior regia, Greta Gerwig, Phanton Thread di Paul Thomas Anderson e The Disaster Artist di James Franco per le miglior sceneggiature, attori non protagonista Willem Dafoe per The Florida Project e Laura Metcalf per Lady Bird, Coco della Pixar come miglior lungometraggio animato, Call Me By Your Name per la miglior rivelazione, cioè Thimothée Chamelet.
Tutti i film che abbiamo citato, e poco altro, probabilmente I, Tonya per la protagonista Margot Robbie, The Shape of Water di Guillermo Del Toro, Dunkirk di Christopher Nolan, Three Billboards Outside Ebbing, Missouri di Martin McConagh, dovrebbero rientrare nella grande rosa di candidati agli Oscar. Tutti segnati da tematiche forti, storie d’amori impossibili o difficili, tutti diretti da registi o esordienti o piuttosto giovani, a parte Spielberg e Anderson, che sono maestri riconosciuti e rispettabili.
Ovviamente, nemmeno un film prodotto da Weinstein o lontanamente imparentato. E nessun film che vede Kevin Spacey tra i protagonisti. Sperando che la brutta ombra di molestatore gettata sul paffuto John Lasseter non comprometta la sicura vittoria di Coco come miglior film animato dell’anno. E Hollywood, alla fine, non vede l’ora di premiare un film diretto da un italiano su una iniziazione gay nella lontana Europa, inoltre scritto da un vecchio maestro indiscusso come James Ivory, o da una giovane attrice di culto, o una bizzarra commedia horror-politica scritta e diretta da un giovane nero contro la borghesia democratica bianca che ha contribuito a trascinare il paese nelle braccia di Trump.
Perché, al di là del caso Weinstein e della frenesia di Hollywood di ripulire la propria immagine compromessa dalle molestie machiste, già da qualche anno la tendenza era quella della fuga dal grande cinema ricco e la scoperta di talenti freschi e giovani, cioè non compromessi in nessun modo con la vecchia Hollywood dei produttori trafficoni. Non si spiega altrimenti la corsa all’Oscar di un anno fa di film, in fondo, piuttosto piccoli come La La Land o Moonlight, diretti da registi molto giovani o la glorificazione del cinema messicano degli ultimi tempi, da Birdman di Alejandro Inarritu a Gravity di Alfonso Cuaron.
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L’Academy, insomma, sembra preferire, oggi più che mai, un cinema più d’arte e di innovazione che di cassetta. Ancor meglio se diretti da cineasti giovani anche non americani, o con tematiche forti, come l’omosessualità repressa tra i giovani neri o il vero volto della borghesia sorridente che ha votato Obama. O il coraggio di un piccolo gruppo di giornalisti contro il potere della Chiesa Cattolica Americana che protegge i preti pedofili.
HARVEY WEINSTEIN CON L EX MOGLIE GEORGINA
Su questa base, forte del caso Weinstein, molto visibile fino a un paio d’anni fa a Cannes, dove impose fra i tanti titoli Fruitvale Station, Carol, Macbeth, ma che già da qualche tempo aveva però perso gran parte della sua forza con film pensati per l’Oscar ma totalmente sbagliati, The Founder, Gold, è ovvio che rilanci in maniera ancora più forte verso un cinema diverso e indipendenti, se non fuori dai giochi, almeno fuori dai soliti giochi.
Per questo un premio come miglior film a Call Me By Your Name o a Get Out sarebbe perfetto per ridare prestigio al cinema americano. E andrebbe bene anche un ritorno al sano passato, penso a The Post di Spielberg. L’importante è allontanare da sé l’ombra pesante e le battute sulle passioni e gli orrori di Harvey Weinstein. Anche se, poi, il problema maggiore, per chi è cresciuto con il cinema di questi ultimi venti-trentanni è davvero un altro.
quentin tarantino harvey weinstein
Come riuscire a amare nello stesso modo negli anni a venire capolavori come Kill Bill o Death Proof o Jackie Brown o lo stesso The Hateful Eight di Quentin Tarantino. Tutti inesorabilmente prodotti da Weinstein, come i film politici di Michael Moore, le opere importanti di James Gray e di tanti altri registi. Ma il caso di Tarantino è più pesante. Perché non sono solo grandi film epocali che hanno formato più generazioni, sono film che hanno davvero ribaltato l’immagine della donna nel cinema americano e mondiale.
Non c’è ragazzina che non si sia identificata nelle ragazze vendicatrici di Tarantino o nel personaggio della sposa di Uma Thurman. Sapere che questo immaginario femminile sia passato nell’ufficio di un mostro come Weinstein ci apre una voragine paragonabile a quando scoprimmo il razzismo di D.W.Griffith o il feroce anticomunismo, diciamo così, di maestri come Raoul Walsh o John Ford o Samuel Fuller.
oscar per shakespeare in love.”
Abbiamo passato anni, da bravi militanti con in mano i Cahièrs, a fare salti mortali per riuscire ad amare ancora Ford dopo il suo documentario sulla guerra in Vietnam e a dichiarare rivoluzionari film evidentemente reazionari. Rivoluzionari, dicevamo, perché il cinema che ci leggevamo era rivoluzionario al di là delle storie. Mentre un film di Rosi o di Petri era fascista perché girato in maniera fascista. Ahi! Capisco l’imbarazzo di Tarantino e la rabbia di Uma Thurman, che ha dichiarato che Weinstein “non vale i soldi della pallottola”, come avrebbe detto un suo personaggio.
seth macfarlane emma stone oscar 2013
Perché il caso Weinstein sporca pesantemente un cinema rivoluzionario sia nella forma che nelle storie che mostrava i personaggi femminili davvero in modo totalmente nuovo. Le ragazze di Death Proof si vendicano sul mostro machista e sadico Stuntman Jack fra le urla del pubblico femminile, la strega di The Hateful Eight è la donna dei saggi di Leslie Fieldler, la donna forte che si oppone a maschi che sono pronti a massacrarsi senza spararsi, bianchi o neri che siano.
seth macfarlane emma stone oscar 2013 battuta su weinstein
Tutto questo non è vanificato dal caso Weinstein, ma certo getta sul progetto meraviglioso del cinema di Tarantino un’ombra bruttissima che tutti vorremmo venisse lavata. E ce la porteremo avanti ben oltre gli Oscar. Anche se agli Oscar, è evidente, più lontani siamo da Weinstein e da quello che rappresenta per Hollywood e meglio sarà.