Marco Giusti per Dagospia
“Il verde non si intona al mio rossetto”, spiega Lady Gucci/Lady Gaga alla maga della tv Signora Pina/Salma Hayek/Lady Pinault rispetto ai colori da mettere. “Non sapevo di aver sposato un mostro”, fa ancora Lady Gaga/Lady Gucci al marito Maurizio/Adam Driver. “No. Hai sposato un Gucci”, fa lui.
C’è da divertirsi, è vero, a vedere questo pur interminabile fumettone camp “House of Gucci”, diretto da Ridley Scott a 80 anni inoltrati che si ostina a ricostruire l’Italia degli anni ’80, anzi qui la Milano da bere degli anni ’80 e il celebre delitto Gucci, come se fossimo a Roma negli anni ’60.
Un film, insomma, che avrebbero diretto magnificamente sia Martin Scorsese che Luca Guadagnino, che hanno astutamente declinato l’offerta, per non parlare della buonanima di Carlo Vanzina.
Perché c’è da divertirsi, ripeto, e Lady Gaga come Patrizia Gucci è strepitosa in versione mora alla Carmen e Adriana Russo, donnetta avida (“Non mi ritengo una persona particolamente etica…”) e piena di brillocchi, sembra una star della commedia sexy del tempo, e Adam Driver come Maurizio Gucci, così rigido, così poco interessante, è perfetto, ma il problema morale che ha giustamente tirato fuori Tom Ford, che con Maurizio ha lavorato, cioè rendere camp e trash comica una storia così tragica e sanguinosa, esiste.
E, a parte i personaggi di Maurizio e Patrizia Gucci, gli altri sono dei pupazzi terrificanti. E parlo di star del calibro di Jeremy Irons come il vecchio Rodolfo Gucci, padre di Maurizio e vecchia star dei telefoni bianchi col nome di “Maurizio D’Ancora” (ma come si fa a confondere “Treno popolare” di Matarazzo con “Rotaie” di Camerini, il film che lo lanciò?!).
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Di Al Pacino che fa Aldo/Al Gucci, lo zio di Maurizio, una sorta di gangster italo-americano eccessivo e cialtrone. Per non parlare di Jared Leto, in versione calva e truccata, come Paolo, il figlio idiota di Aldo che vorrebbe aprire una sua linea di moda perché si sente artista.
Davvero invedibile, anche se l’attore è un volto del marchio Gucci di oggi, cioè targato Alessandro Michele. Ma non funzionano nemmeno gli altri attori eccellenti usati qui come manichini vanziniani, Camille Collin, la “nasona” (lo ha detto l’Aspesi) di “Chiami il mio agente”, come la modella Paola Franchi, amante di Maurizio, Jack Huston come il fedele Domenico, uomo di Rodolfo, la stessa Salma Hayek come la “sederona” (lo ha detto l’Aspesi) Signora Pina che aiuta Lady Gucci prima nelle macumbe contro il marito e poi nell’assoldare i killer.
Scena sì, ha ragione l’Aspesi, clamorosa, perché sembra una citazione delle Brigate Pecorine di “Paolo Roberto Cotechino centravanti di sfondamento” di Nando Cicero, con le due star, che sembrano Totò e Peppino quando sono Lady Gaga e Lady Pinault truccate da donne del popolo un po’ buzzicone (mi sa che non si può dire), che portano la borsa piena di soldi ai due balordi.
Ovvio che in un film così ricco e con un cast così forte, alcune scene funzionino e facciano ridere. Anche se rimane il problema di fondo del perché rendere una storia vera così tremenda del tutto camp con punte di comicarolo imbarazzanti. Perché sono ricchi e firmati come gli “Yuppies” dei film di Vanzina? Allora chiama Greggio e Boldi e non Pacino e Jared Leto. Non sono certo io a non adorare il camp e il trash, ma qui diventa spesso fuori luogo e perfino noioso.
Magari gli americani ci cascano con Jeremy Irons che vede i suoi vecchi film in 16 mm a Villa Necchi, già usata da Guadagnino in “Io sono l’amore”, ma qui tutto sembra solo ridicolo. E ci rimane solo la voglia di vedere il documentario autobiografico sulla sua vita che il vecchio Rodolfo mostrò agli amici e parenti pochi anni prima di morire e oggi conservato dal Centro Sperimentale di Roma.
Per non parlare di come Ridley Scott abbia usato le canzoni italiane a caso. L’entrata in scena di Patrizia Gucci in versione pin up della Milano cafona del 1978 è sottolineata da “La ragazza del maglione” di Pino Donaggio, boh?, mentre “Sono bugiarda” di Caterina Caselli accompagna Maurizio che lavora nella compagnia di camion del padre di Patrizia, ariboh? Ma il massimo è “Ritornerai” di Bruno Lauzi, che noi italiani abbiamo assorbito da anni come brano morettiano, buttata lì in una scena senza significato con Maurizio e Patrizia in mezzo alle vacche.
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Certo, i brani di Donna Summer e George Michael funzionano bene. E ci credo! Magari la moglie e co-produttrice di Ridley Scott, Gianina Facio, che ben si ricorda la Milano da bere craxiana e le feste del tempo, già attrice in “Vacanze di Natale 90” di Enrico Oldoini e star dei capolavori cinematografici di Anna Carlucci, poteva dargli una mano. Ma Ridley Scott non solo non riesce a uscire dagli stereotipi di come gli americani vedono gli italiani, ci costruisce proprio tutto il film.
Con gli attori, tutti o quasi premio Oscar, che parlano un inglese italianizzato un po’ assurdo e ridicolo, al punto che penso sia decisamente meglio vedere il film doppiato. E sarà un peccato, perché Lady Gaga fa un gran lavoro sulla lingua e sul personaggio, che modella come una Liz Taylor di Rogoredo nella prima parte e diventa poi una stellina Gucci da offrire sull’altare di Alessandro Michele. Alla fine, credo, rimarranno solo lei, Lady Gaga. E il marchio Gucci. In uscita il 15 dicembre.
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