Marco Giusti per Dagospia
“Tremate, questa è Roma”. Sì, vabbé. Quando eravamo piccoli alla storia di Romolo e Remo e della fondazione di Roma, con le maestre cresciute nel ventennio, eravamo tutti affezionati. I due gemelli, figli di rea Silva, allattati dalla lupa, che crescono, combattono e alla fine si corcano di botte, quando Romolo traccerà il solco delle mura della futura città, perché solo uno dovrà il primo re di Roma.
Una storia non trattata moltissimo dal cinema, a parte una versione peplum non bellissima, ma che molto aspettammo, Romolo e Remo, di Sergio Corbucci con le due star Steve Reeves e Gordon Scott, e una versione parodistica, Remo e Romolo – Due figli di una lupa, di Castellacci e Pingitore con Pippo Franco e Enrico Montesano, con tanto di Gabriella Ferri come lupa de Roma e Bombolo al suo esordio.
Non possiamo che salutare con gioia, quindi, anche questo Il primo re di Matteo Rovere, nuova versione ultramacha, ultracoatta, ma anche ultrasofisticata della storia, interpretata da due belli e bravi come il romano Alessandro Borghi, Remo, e il napoletano Alessio Lapice, Romolo, tutta parlata in un latino sofisticatissimo ricostruito dai professoroni della Sapienza.
Diciamo che siamo più dalle parti del cinema come esperienza fisica di set alla Revenant o alla Mad Max, o a quello coi linguaggi assurdi con sottotitoli alla Games of Thrones, che non nelle vicinanze del peplum di Corbucci coi due Mister Muscolo patinati, che si menarono per sbaglio e Gordon Scott ci rimise pure un dente, anche se Alessandro Borghi, che domina letteralmente la scena, si rivela come nuova grande star italiana, anzi romana, da esibire alla Steve Reeves, pronta per il mercato internazionale.
Al di là di quello che si possa pensare del film, soprattutto della struttura che gli hanno dato Rovere con Filippo Gravina e Francesca Manieri, va detto che per il nostro cinema è qualcosa di nuovo e inaspettato. Non solo una prova fisica di set, con gli attori che recitano seminudi nelle foreste laziali, ma un film di grande intensità emotiva e visiva, grazie alla fotografia di Daniele Ciprì, ma anche alla passione per il progetto del regista, alla musicona di Andrea Farri.
Soprattutto nella prima parte del film, più libera di improvvisare e di staccarsi dalla storia che conosciamo dai libri di scuola, con il Remo di Borghi che è un vero condottiero e bravo fratello in grado di salvare il ferito Remo da qualsiasi situazione. Quando, nella seconda parte della storia, tutto questo amore fra fratelli dovrà risolversi nello scontro fratricida voluto dagli dei, magari Rovere perde un po’ di controllo, forse proprio perché è obbligato a tornare nei binari della storia.
Ma il film non perde la forza della prima parte e Borghi seguita, anche nella follia del suo personaggio a confronto col fato che lo vuole burrattino delle divinità per bocca della sibilla, a essere padrone della scena, riportandoci ai grandi scontri del cinema d’avventure della nostra infanzia. Penso a quello fra Kirk Douglas e Tony Curtis nei Vichinghi di Richard Fleischer. Magari non un film perfetto, ma sentito, pieno di idee e di voglia di spingersi oltre i confini del cinemino italiano. E alla fine ci credi, come credi al latino barbaro di Borghi&Co, decisamente meglio di un italiano da anni 2000. E credo che i ragazzini lo adoreranno. In sala da giovedì 31 gennaio.