IL CINEMA DEI GIUSTI - "VOLEVO UN FIGLIO MASCHIO” NON SOLO NON HA UN GRAN RICHIAMO DI PUBBLICO, MA, A DIFFERENZA DI TUTTI O QUASI I FILM DI NERI PARENTI, SEMBRA INERTE - IL FILM SOFFRE PER UNA CRISI PIÙ GRAVE, CHE TOCCA TUTTA LA NOSTRA COMMEDIA CHE OGGI IL PUBBLICO, GIOVANE, DEL CINEMA NON VUOLE PIÙ VEDERE, MA CHE È VIVA SULLE PIATTAFORME E NELLE PRIME SERATE DELLE GENERALISTE. DA STUDIOSO LO VEDO COME UN FILM INTERESSANTE… - VIDEO

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Marco Giusti per Dagospia

 

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Entrato in sala 4 all’Adriano al primo spettacolo, dovevo dare ragione al mio amico Ciro Ippolito, che per il 46° film di Neri Parenti, “Volevo un figlio maschio” con Enrico Brignano e Giulia Bevilacqua, scritto da Neri assieme a Gianluca Bomprezzi e Pier Paolo Piciarelli, non è che ci fosse proprio questa folla. Ciro ne aveva ipotizzati cinque. Invece erano ben sette spettatori, più due noi, nove in totale, e tutti di una certa età. Diciamo sopra i 60 per gentilezza. Ora. I precedenti 45 film diretti da Neri Parenti, che ho sempre seguito con interesse, quale più quale meno, sono sempre stati film di grande se non enorme successo.

 

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E non penso solo ai cinepanettoni prodotti da De Laurentiis, ma ai suoi Fantozzi, ai Fracchia, al favoloso “Fratelli d’Italia” con Boldi tifoso del Milan che scende a Roma e si imbatte nei romanissimi Bernabucci e Mattioli. Perfino a un riscoperto, non lo avevo mai visto, “Casa mia, casa mia” con Renato Pozzetto. Invece “Volevo un figlio maschio” non solo non aveva un gran richiamo di pubblico, magari tra sabato e domenica porterà qualche famiglia al cinema, ma, a differenza di tutti o quasi i film di Neri Parenti, sembrava inerte. Una storia che, cercando di trovare qualcosa di interessante, mi ricordava certi film di Antonio Gandusio diretti da Mattoli nei primi anni ’40, come “Eravamo sette vedove”.

 

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E un Brignano, così teatrale e artefatto, che si ritrova una famiglia con una moglie, Giulia Bevilacquia, e tre figlie femmine più una quarta in arrivo, che per un miracolo si trasforma in una famiglia con tre figli maschi e un quarto in arrivo, mi ricordava un po’ nella recitazione un Gandusio. Nome che per il pubblico di oggi penso conti ben poco. Ma, come Gandusio, Brignano deve riempire la scena quasi sempre da solo alle prese con famiglie borghesi troppo moderne per lui. Ora. Neri Parenti che è bravissimo nella costruzione di gag comiche visive, qui non ne ha, che è bravissimo nella costruzione pochadistica a più personaggi, ha Brignano praticamente da solo per tutto il tempo.

 

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E Brignano non è un attore alla Fabio De Luigi, in grado cioè di funzionare con dei bambini o con dei ragazzetti non granché recitanti. Alla fine, respiri quando Brignano incontra il suo capo, Maurizio Casagrande, o il professore pazzo di Mariano Rigillo, e ancor meglio quando incontra qualche attore romano verace e popolare, come Pablo e Pedro o Lallo Circosta, sempre sul pezzo, sempre in grado di strapparti una risata. Mai borghesi. Mentre Brignano punta a fare un personaggio di romano benestante. Insomma.

 

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Anche se “Volevo un figlio maschio” soffre per una crisi più grave, che tocca tutta la nostra commedia media o medio-alta di un tempo che oggi il pubblico, giovane, del cinema non vuole più vedere, ma che è viva sulle piattaforme e nelle prime serate delle generaliste (lo sappiamo tutti che un film come questo può andare benissimo su Canale 5), da studioso lo vedo come un film interessante per capire la crisi del genere e cerco comunque di spiegarmi perché un film di Neri Parenti, maestro della commedia, con un attore popolare come Brignano funzioni così poco.

 

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Penso che sia per un complesso di elementi che, già in partenza, non andavano bene gli uni con gli altri. Brignano non è adatto a una commedia alla De Luigi. Parenti non è adatto a una commedia alla Brignano. Il cinema in sala soffre nel vedere questi schermi superpiatti, senza alcuna profondità del digitale, già pronti per la tv. La commedia piena di rutti (ce ne è uno minimo di un bambino…) di Neri Parenti mal si adatta a questo tipo di pulizia etnica della battuta politicamente scorretta. Perché è un film dove si dosano le battute sui generi, sul razzismo, sui rapporti tra maschi e femmine, cioè una commedia col freno tirato.

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E mentre le vecchie battute più triviali dei cinepanettoni sono accettabile nel loro contesto di cinema più trash, qua non sai mai bene dove sei e stride sentire un ragazzo che parla col padre delle sue avventure sessuali con battute scorrette (“la addobbo come un albero di Natale…”, ma dove siamo). Magari ha ragione De Laurentiis a dire che il cinema, almeno questo cinema non esiste più. In sala.

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