Marco Giusti per Dagospia
L’onore, anzi l’orgoglio come dice a cazzo la Meloni, del cinema italiano questo Natale è ormai tutto nelle mani dei due cafonissimi, considerati anche un po’ di destra, comici foggiani Pio e Amedeo che si presentano oggi, forti della distribuzione della Vision e della produzione Freemantle, gli stessi del sofisticato “C’è ancora domani”, quindi con le sale ancora calde del pubblico delle femministe di Testaccio (lo so che non sono solo di Testaccio…), con il loro nuovo film, “Come può uno scoglio”.
Una piacevole commedia ancora scritta e diretta, come il precedente “Belli ciao”, inferiore nella struttura e anche nel funzionamento comico, da Gennaro Nunziante, barese, ben più intellettuale di loro e già regista e cosceneggiatore dei successi epocali di Checco Zalone che resero ancor più inutilmente ricco il produttore berlusconiano Pietro Valsecchi, che a sua volta cercò per primo di far successo al cinema coi due comici foggiani in versione post-Zalone ma combinò un mezzo disastro.
Tanto che cercò di metterci una pezza rigirando parte del film con Fausto Brizzi. Ma i racconti delle vacanze a Ibiza col produttore erano davvero divertenti. Pio e Amedeo, campioni del politicamente scorretto televisivo, dalle uscite non proprio di gran classe (Pio ha parlato di “degrado culturale”…), al cinema, col trattamento Gennaro Nunziante, cercano esattamente l’opposto. Cioè di riposizionarsi come bravi attori da commedia. Per questo sono generalmente meno divertenti, ma i film sono macchine ben fatte, più funzionali.
Perché Gennaro Nunziante, da vecchia volpe dello show business pugliese fin dai tempi di Tele Norba e Tele Bari, sa come trattarli per costruire una qualche solidità di coppia e non spremerli come post-zaloniani. E riesce a mettere nelle sue storie, come Ficarra e Picone e come già Zalone, qualche idea innovativa sulla società italiana. Non vi prendo per il culo, è così. In questa commedia dal titolo impossibile da ricordare, l’idea innovativa è quella sulla composizione della famiglia, quella tradizionale del sangue e quella invece che si compone coi legami umani. Ecco.
La storia vede Pio, il biondo, ereditare dal ricco padre un impero al nord. Ha una moglie, Francesca Valtorta, un gruppo di manager e avvocati come Rodolfo Corsato, che gli fiatano sul colle e lo considerano un fantoccio. Uno scemotto facilmente manovrabile. Fino a quando il prete della zona, un redivivo Claudio Bigagli, gli procura una sorta di autista-tuttofare appena uscito di galera, il cafonissimo Amedeo, dai comportamenti scorretti, che non solo gli reimposta la villa che ha al nord, ma gli addestra alla maleducazione divertente i figli, e per svegliarlo e lo porta giù in Puglia. Ma non quella intellettuale del Salento o l’opulenta Bari dei commercianti e della Laterza, ma quella meno vista di Vieste e del foggiano.
Lo porterà dal boss dei latitanti, un sempre divertente Nicola Rignanese, lo metterà in contatto con la malavita, ma soprattutto gli farà aprire gli occhi sulla sua vita e sulla sua vera famiglia. Non so se come dicono Pio e Amedeo la loro comicità sia in linea con il pensiero popolare. Lo vorrei sapere qual è il pensiero popolare. Certo, non è in linea con il pensiero considerato più “evoluto” di “C’è ancora domani”, che malgrado gli arricciamenti di naso di molte radical chic di Roma Nord, con 32 milioni di euro incassati è il massimo del “popolare” oggi in Italia. E credo che a Vision, gli stessi distributori del film della Cortellesi, si accontenterebbero anche della metà di quell’incasso.
I produttori sono tutti un po’ Valsecchi. Curiosamente, in questo film, ho trovato molto più divertente il personaggio di Pio rispetto a quello, più risaputo, di Amedeo. E trovo che la coppia comica, costruita fin dall’inizio con un clown bianco, Pio, e un “augusto” tipico, cioè Amedeo da filma. Film stia cambiando cercando nuovi modelli. Ma Gennaro Nunziante fa benissimo a costruire un’ossatura narrativa dove i due possano ricostruire i modelli di comicità di coppia più classici e più fedeli al loro tipo di comicità popolare. Che significa non sbracare narrativamente. Alla fine, ma lo sapevo da subito, è un film ben più sofisticato di quel che vi diranno. In sala da oggi.