1 – NETFLIX PIGLIATUTTO – AL DI LÀ DEI RISULTATI DEGLI OSCAR, IL COLOSSO DELLO STREAMING HA VINTO LA SUA SFIDA E HA DAVANTI A SÉ UNA PRATERIA: HOLLYWOOD ORMAI È IRRILEVANTE (COME SOSTIENE BARRY DILLER E COME DIMOSTRA PURE L’OSCAR ‘POLITICO’ DATO A ‘GREEN BOOK’)
http://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/netflix-pigliatutto-ndash-risultati-oscar-196583.htm
2 – DILLER KILLED THE VIDEO STARS: ''HOLLYWOOD ORMAI È IRRILEVANTE. NETFLIX HA VINTO LA PARTITA''. L'EX BOSS DI PARAMOUNT E FOX SUONA IL REQUIEM PER GLI STUDIOS CHE HANNO DOMINATO PER OLTRE UN SECOLO
3 – ORA IL CINEMA SI BLINDA CONTRO NETFLIX
Ilaria Ravarino per “il Messaggero”
Doveva essere una prova generale di pace, ma è stata una dichiarazione di guerra. Doveva essere un tavolo di confronto, ma a parlare è stato uno solo dei contendenti. Tra industria cinematografica italiana e piattaforme digitali - Netflix, soprattutto - l' intesa stenta ad arrivare. Anzi: il nebuloso limbo di proroghe in cui è caduta la legge Franceschini, nata anche per salvaguardare il cinema dall' avanzata del fronte digitale, ha lasciato il campo a recriminazioni e proposte in libertà.
Si è visto ieri a Roma, durante un dibattito sul tema organizzato dai senatori Cangini e Moles all' indomani del risultato storico ottenuto da Netflix agli Oscar. «Non è chiaro come queste grandi piattaforme si pongano nei confronti del Paese - ha subito attaccato Francesco Rutelli, presidente Anica - Netflix non ha un solo dipendente in Italia ma in Italia ci lavora: deve sottostare a una regolamentazione. Non parlerei di sovranismo, ma di tutela dell' interesse nazionale. Non possiamo essere solo un Paese che offre bei fondali e bravi esecutori di progetti altrui».
Una regolamentazione, in effetti, ci sarebbe. Da una parte, infatti, c' è la direttiva del Parlamento Europeo, che obbliga le piattaforme ad avere in catalogo almeno il 30% di contenuti europei. «Non abbiamo ancora raggiunto quella quota, ma siamo sulla strada giusta. Abbiamo prodotti in licenza, coproduzioni, film, serie, programmi per bambini - ha detto qualche giorno fa Kelly Luegenbiehl, vicepresidente originals Netflix in Europa - ma se investiamo in Europa non è perché c' è un numero da rispettare, ma perché c' è un pubblico che ce lo chiede».
AFFAMATO
BABY LA SERIE DI NETFLIX SULLE ESCORT DEI PARIOLI
Il pubblico, appunto. Quel pubblico che la legge Franceschini a fine 2017 aveva immaginato affamato di contenuti nazionali, tanto da obbligare i principali broadcaster del Paese (e in misura minore le piattaforme) a rispettare quote minime di trasmissione per produzioni italiane ed europee. «Assurdo imporre a un' azienda delle quote in prime time, assurdo imporre le quote a un pubblico che oggi, se vuole, può scegliere altro - è stato il commento di Nicola Maccanico, executive Sky -. Il vero tema è che Netflix oggi fa affari su contenuti originali che passano solo su Netflix. È un modello parallelo alla sala, e diverso da quello di Sky, Mediaset e Rai: i nostri prodotti incidono diversamente sul territorio, perché realizzati da aziende italiane. Chi fa le regole dovrebbe accorgersene».
CRESCITA
E mentre Giampaolo Letta, ad di Medusa, invoca «regole uguali per tutti», Netflix sui cosiddetti originals in Europa sta costruendo un impero: nel 2018 erano 81, nel 2019 saranno 153. In Italia le serie originals sono due (Suburra e Baby), saranno quattro (Winx Club e La luna nera), ma secondo Luegenbiehl «aumenteranno ancora. Possiamo parlare di una crescita esponenziale nelle serie che produrremo in Italia tra il 2020 e il 2021. Ne annunceremo altre due nei prossimi mesi».
Un impegno che secondo Paolo Del Brocco, ad di Rai Cinema, al sistema non porterebbe vantaggi: «Questi signori non hanno inciso positivamente sulla nostra industria. Non hanno una comunicazione trasparente, non si sa quanto fatturano, non si sa quanta gente veda i loro prodotti, non si conosce l' entità degli investimenti. E il cinema non gli interessa: quella di Roma per Netflix non è stata un' operazione culturale, ma di marketing. La mia idea è che dovremmo obbligarli a sostenere l' industria che esiste già. Per esempio forzandoli ad acquisire film italiani per il primo sfruttamento dopo la sala».
Film italiani che per il momento, ammesso che da qui al 31 luglio - quando scadranno le proroghe - non cambi qualcosa, si affidano per la sopravvivenza fuori dalla sala ai broadcaster nazionali. Tipo Mediaset, in prima fila contro Facebook («Colosso di dimensioni mai viste nella storia del capitalismo, che fatica ad ammettere di dover pagare gli altri»), Netflix («Con il film su Cucchi e le loro serie vendono un' immagine poco edificante del Paese») e la legge Franceschini, «una mannaia sui produttori, uno scimmiottamento del sistema francese - ha detto Stefano Selli, direttore Relazioni Istituzionali Mediaset - fuori da ogni logica di mercato. Devastante, un po' come l' idea di imporre in radio una canzone italiana su tre».
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