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Quella della dell’Idiota di Dostoevskij, opera musicata da Mieczyslaw Weinberg (sovietico di origine polacca con famiglia morta nei campi di concentramento) è una compassione che disarma in un mondo molto armato nel quale, dal 24 febbraio 2022, la Russia di Vladimir Putin schiaccia una rivendicata cultura ucraina.
L’opera, in scena al Festival di Salisburgo sotto la onnipresente cornice del femminicidio, fu scritta da Dostoevskij mentre la Polonia (tanto per cambiare) era occupata dai russi e in essa esprime la sua fede incondizionata nella grandezza del popolo russo, il solo che possa salvare l'Europa dalla degenerazione culturale.
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“Siamo coscienti di cosa pensasse Dostoevskij sull’Europa, sugli ebrei e sugli altri popoli slavi ed è sorprendente che quest’opera vada in scena pochi giorni dopo il rilascio di Oleg Orlow, della ong Memorial, e del dissidente Kara-Murza, anche perché Orlow aveva dichiarato che in prigione aveva tempo per leggere Kafka, ma non Dostoevskij”, dichiara Christian Longchamp, drammaturgo dell’opera. “Non vuole essere uno spettacolo politico”, dice Longchamp a conferma che, un po’, lo è. E lo è tutto il contesto.
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Nel febbraio del ’22 ci fu una alzata di scudi dell’Occidente colto contro gli artisti russi non disponibili a dichiararsi apertamente contro Putin e contro l’invasione dell’Ucraina. Gergiev lasciò la Scala, la Netrebko cancellò un recital e si chiuse nella casa di Vienna, si sbarrarono le porte agli artisti russi in varie parti d’Europa e in tutti i teatri degli Stati Uniti.
Ma col tempo, sottotraccia, il diktat è sparito (l’unica prima della Scala non italiana è stata proprio un’opera russa) e, due anni dopo il diktat il Festival di Salisburgo – mecca dell’élite europea – ci sbatte in faccia proprio questo: due nuove produzioni su tre sono opere russe (“L’idiota” di Weinberg e “Il giocatore” di Prokof’ev). Chiamiamola distensione culturale, se si vuole, oppure la classica incapacità dell’Europa di mantener fede ai propri propositi; sta di fatto che sono affiancati in queste opere russe vari artisti dei Paesi più belligeranti tra loro.
Il protagonista dell’Idiota, diretta dalla giovane lituana (Paese che teme l’invasione) Mirga Grazinytè-Tyla e composta dall’ebreo-polacco divenuto russo Weimberg, è Bogdan Volkov, ucraino con studi a Kiev che recita la parte dello spirito russo par excellence.
Nastassia è la lituana Ausrine Stundyte mentre Rogoschin è il baritono bielorusso Vladislav Sulimsky: gli altri cantanti sono russi e ucraini (regia del polacco Warlikowski). È bello vedere che si abbracciano a fine spettacolo ma i loro coetanei, o più giovani, che non sono noti cantanti lirici vengono ancora oggi fermati per strada dalle polizie sia russa che ucraina e mandati al fronte a morire.
Questa musica non cambia se passiamo a “Il giocatore” di Prokofiev. Il direttore è il russo Timur Zangiev, sostituto di Gergiev la sera in cui la Russia invase l’Ucraina in “La dama di picche” e suo allievo.
Lo scenografo è George Tsypin, colui che su incarico di Putin ha curato le olimpiadi invernali di Soci nel 2014. Amisk Grigorian e Violeta Urmana sono lituane, mentre Bianca (una specie di escort) è l’ucraina Nicole Chirka di Karkiv, giusto dove si muore. Peixin Chen, il Generale in bolletta, è un basso cinese.
Poi di nuovo russe (Elizaveta Kulagina), americane e via dicendo nel melting pot del Mondo nuovo e woke. Anche in “Il giocatore” Dostoevski fa sì che Polina ammiri e forse ami Alexey, il giovane, indipendente che vive secondo l'ideale di Dostoevskij dell'uomo russo illuminato, libero dal capitalismo e dal denaro.
“Siamo coscienti – conclude Longchamp - di come i russi abbiano sempre guardato i vicini come popoli di secondo livello. Dostoevskij era un genio, ma con un mondo oscurato dalla filosofia panslavista e filorussa”. Diciamo che i principi sono andati in cavalleria (ussara). Come diceva Jannacci: “Quando si parla di principi si parla di soldi”.
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